di Guido Salerno Aletta
La BCE sta riducendo violentemente la quantità di moneta in circolazione: basta entrare sul sito e guardare il grafico che mostra l'andamento dell'M3, l'aggregato considerato significativo che considera la moneta contante, i depositi bancari a vista e quelli a breve termine.
C'è una impressionante analogia nelle pendenze della curva che esprime la percentuale di crescita su base annua di M3: scende velocemente, a partire dai due picchi analoghi di espansione, registrati nel gennaio 2008 e nel gennaio 2021, quando la dinamica era in entrambi i casi attestata attorno al +11/12% in ragione d'anno. Nel gennaio 2010, la crescita di M3 fu addirittura negativa: il ritmo di crescita era stato azzerato in 24 mesi. A gennaio scorso, la crescita di M3 era del +3,8% : il ritmo di crescita è stato ridotto di due terzi in dodici mesi.
Jean Claude Trichet, allora alla guida della BCE, si convinse della necessità di ridurre la liquidità sul mercato finanziario, in considerazione del crollo dei valori azionari e del congelamento del commercio internazionale che era stato determinato dalla crisi americana del settembre 2008. E si convinse della necessità di contrastare l'inflazione risorgente già nel corso del 2011, con due aumenti dei tassi di interesse, di appena un quarto di punto alla volta.
Purtroppo, le condizioni di squilibrio sottostanti, dal default della Grecia nei primi mesi del 2010 alle difficoltà colossali incontrate dalle banche spagnole nel luglio successivo nel rimborsare i prestiti esteri, determinarono un continuo “contagio” di tensioni, con gli spread sul debito pubblico italiano che montavano pericolosamente. Fu solo a novembre del 2011, con l'arrivo di Draghi, che si ribaltò l'orientamento della politica monetaria, azzerando i tassi che erano appena stati alzati ed immettendo con due operazioni di LTRO (rifinanziamento a tre anni) liquidità nel sistema bancario senza un limite preordinato.
Christine Lagarde, ora alla guida della BCE, è stata protagonista di una politica monetaria eccezionalmente accomodante durante il biennio 2020-2021, attraverso due congiunte immissioni di liquidità: attraverso il QE, che era ripreso già nel novembre 2019 e che è terminato nel giugno 2022, e con il PEPP (Pandemic emergency purchase program) iniziato nel marzo del 2020 e terminato nel marzo 2022. Fiumi di liquidità sono stati immessi sul mercato, mentre l'economia era paralizzata per l'epidemia in atto.
Lo stesso aveva fatto la Fed americana, immettendo dollari senza fine, mentre il governo federale erogava sussidi a tutti.
Alla ripresa delle attività produttive, già nella primavera del 2021, si è registrata una violenta fiammata inflazionistica ancora in corso: ancora a gennaio scorso, nell'Eurozona è stato registrato una crescita annua dei prezzi del 10%. Nel frattempo, per via di una congerie di fattori negativi e di incertezza, il tasso di crescita è arrivato a zero.
La determinazione con cui la Fed ha aumentato per prima i tassi di interesse, e poi ha iniziato a ridurre il portafoglio di titoli federali, ha prodotto un indebolimento dell'euro, svalutatosi inizialmente del 20% rispetto al dollaro: i capitali investiti in euro trovavano più attraente la maggiore remunerazione in dollari.
Un euro debole sul dollaro, quando le merci importate sono quotate in dollari, non poteva che penalizzare l'Europa per via di un corrispondente aumento dei prezzi all'importazione: anche se i prezzi delle merci in dollari erano sempre gli stessi, quando venivano pagati cambiando gli euro in dollari, costavano il 20% in più.
La BCE ha dovuto rincorrere la Fed, alzando i tassi a sua volta, ed in effetti il cambio dell'euro è rimbalzato. Ma nell'Eurozona siamo ancora a mezza strada rispetto alla Fed: perdere il ritmo degli aumenti dei tassi potrebbe indebolire nuovamente l'euro, rendendo nuovamente più care le importazioni e dunque alimentando l'inflazione.
Nell'Eurozona, così come negli Usa, siamo di fronte ad un conflitto tra gli orientamenti della politica fiscale rispetto a quella monetaria: la prima è ancora espansiva mentre la seconda è restrittiva. I deficit di bilancio saliranno dai 1.518 miliardi del 2022 ai 1.565 miliardi previsti per il 2023.
Se all'aumento dei tassi già previsto dalla BCE per questo mese di marzo, dello 0,50%, si aggiungesse anche la decisione di avviare la riduzione del portafogli di titoli (Quantitative Tightening), si inciderebbe ulteriormente sul ritmo di crescita della liquidità M3: vendendo i titoli pubblici comprati con il QE e con il PEPP, si ritira moneta dal mercato.
Come se non bastasse, la BCE ha già effettuato una operazione straordinaria di assorbimento dei depositi bancari eccedenti la riserva obbligatoria: le banche non hanno più ampie scorte di liquidità inutilizzata.
Le conseguenze di un QT sarebbero pesantissime per tutti: non solo si alzerebbero i tassi di interesse sui titoli dei debiti pubblici di nuova emissione, ma ci sarebbero perdite enormi sui titoli già detenuti da banche, assicurazioni, fondi di investimento e singoli risparmiatori.
Le perdite, già oggi, sono rilevantissime: i titoli italiani a 30 anni hanno perso il 30% del valore nominale.
Anche i bilanci delle singole Banche centrali avranno perdite: per vendere titoli di Stato che rendono meno del tasso di mercato dovranno incassare somme inferiori al loro valore nominale. Già la Bundesbank ha accusato perdite per 1 miliardo di euro per tener conto del livello dei prezzi delle obbligazioni sul mercato, e per coprirle è dovuta ricorrere agli accantonamenti del Fondo rischi. Anche per Banca d'Italia la situazione potrebbe essere problematica.
Ancora troppe incertezze: è rischioso ridurre l'inflazione strangolando i mercati.
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