La legge di bilancio 2025 del Governo Meloni può essere descritta in maniera molto semplice: una serie di tagli feroci e politiche restrittive, mascherati da una fitta coltre di bugie e chiacchiere. Queste sforbiciate alla spesa pubblica, che superano gli 11 miliardi di euro nei prossimi anni, colpiranno direttamente servizi pubblici fondamentali come sanità, istruzione e welfare locale, compromettendo ulteriormente il benessere delle fasce più vulnerabili della popolazione.
Impatto sugli Enti Locali
I tagli previsti per gli enti locali sono particolarmente significativi e superano i 4 miliardi di euro nel triennio. Non stiamo parlando qui di cifre su un foglio di bilancio, ma di minori risorse per regioni e comuni, i principali fornitori di servizi ai cittadini. Il settore scolastico subirà drastiche riduzioni, con una perdita stimata di oltre 5.600 posti di lavoro per docenti e circa 2.174 per il personale ATA. Nonostante l’inizio dell’anno scolastico sia ancora cosa recente, il Governo pare essersi dimenticato delle condizioni pietose del sistema di istruzione pubblico che i giornali denunciano ogni volta che arriva settembre. A rendere le cose ancora più odiose, occorre ribadire che i tagli in questo settore non rappresentano solo un assalto ai posti di lavoro, ma sono anche un attacco diretto alla qualità dell’istruzione di chi muove i primi passi nel suo percorso di formazione. Tutto questo, manco a dirlo, in un contesto di austerità che si applica a tutto meno che alla logica della guerra. La legge di bilancio, infatti, non solo aumenta i fondi per il ministero della difesa ma, seguendo i calcoli presentati in un articolo apparso su Sbilanciamoci qualche settimana fa, porta nel 2025 a più di 12 miliardi la spesa per nuovi armamenti.
Sanità e Welfare
Nonostante le affermazioni del governo riguardo a un incremento della spesa sanitaria, la realtà è ben diversa. Come hanno avuto modo di notare anche i sindacati, che il 20 novembre hanno proclamato uno sciopero di 24 ore dei lavoratori del settore, la spesa sanitaria rimarrà al di sotto dei livelli pre-pandemia in rapporto al PIL, senza prevedere nuove assunzioni nel settore. Questo scenario lascia i nostri ospedali e le strutture sanitarie in una situazione precaria e, considerate le infinite liste di attesa, rende di fatto la tutela della salute inaccessibile al pubblico. In aggiunta, il welfare locale e i trasporti pubblici subiranno un duro colpo con i cittadini più vulnerabili che saranno coloro che pagheranno il prezzo più alto. La logica del governo sembra ripetersi: da un lato ci sono piccole mance che non risolvono i problemi reali, dall’altro pesantissimi tagli che compromettono la sopravvivenza di molti servizi pubblici.
Mance e Austerità
Le misure destinate alle donne esemplificano ulteriormente questa contraddizione. Da un lato, con una mano si prevede un incremento di soli 3 milioni di euro per il fondo dedicato alla formazione delle donne vittime di violenza; dall’altro, con l’altra mano si abbatte una scure sugli enti territoriali che finanziano direttamente i servizi di welfare e assistenza alle donne, come i centri antiviolenza, gli sportelli di ascolto e i consultori.
Un tassello importante di questa offensiva contro la popolazione femminile riguarda il mondo del lavoro. È di pochi giorni fa il famoso lapsus della Premier, la quale si vantava di essere più femminista delle femministe avendo portato il tasso di disoccupazione femminile al livello più alto (lapsus) di sempre. Dietro il lapsus, come Freud insegna, si annida ancora una volta una verità. Se si guardano i dati, infatti, si nota come – a differenza di ciò che è accaduto per gli uomini – il tasso di inattività femminile nell’ultimo anno sia aumentato, arrivando, nei primi due trimestri del 2024, ad essere superiore del 40%: 40 donne su 100, 4 donne su 10 non lavorano e neanche cercano lavoro!
Questo dato sconcertante nasconde poi importanti differenze territoriali, dato che la partecipazione femminile alla forza lavoro è particolarmente bassa nelle regioni del Mezzogiorno. E purtroppo la situazione è destinata a peggiorare, poiché i tagli al welfare che si annunciano scaricheranno ulteriori oneri sulle spalle delle donne, rubando loro tempo di vita e rendendo sempre più difficile conciliare vita lavorativa e tempo libero.
Inoltre, come summa dell’ipocrisia e del cinismo, mentre viene confermato lo sgravio contributivo per l’assunzione di lavoratrici madri, ci si appresta a tagliare pesantemente i posti nei comparti del settore pubblico dove le donne sono maggiormente presenti, come nella scuola e nella sanità. La contraddizione è qui evidente e odiosa: da un lato gli sgravi si tradurranno, come sempre accade, in un regalo alle imprese che prendono i bonus e non aumentano l’occupazione totale ma al massimo optano per lavoratrici beneficiarie di bonus a scapito di altre categorie di lavoratrici: l’eterna sfida tra poveri. Dall’altro lato si sferra un’offensiva al lavoro pubblico, specificamente nei settori in cui le donne sono più rappresentate, a suon di tagli. Valga come esempio il blocco (parziale) del turnover nel pubblico impiego, in virtù del quale chi va in pensione non verrà sostituito da una nuova lavoratrice o lavoratore. Ecco, quindi, che la decontribuzione parziale per le lavoratrici madri, estesa alle autonome con almeno due figli e reddito fino a 40mila euro, appare nella migliore delle ipotesi come un palliativo e, nella peggiore, come un diversivo che deve spostare l’attenzione dalla riduzione di posizioni lavorative disponibili nel comparto pubblico.
Sempre a proposito di pubblico impiego, il Governo – spalleggiato dal sindacalismo più complice di CISL e altre sigle filogovernative – ha sbandierato come grande progresso il fatto di prevedere la sperimentazione della settimana lavorativa di 4 giorni a parità di orario settimanale. Peccato che questo voglia dire una giornata lavorativa che durerà almeno 9 ore e mezza (addirittura una regressione rispetto al canone delle 8 ore giornaliere). Quante donne, anche volendo, potranno accedere a questo istituto, in un contesto in cui vengono tagliati i servizi (ad esempio quelli per l’infanzia) e il lavoro di cura come ben sappiamo finisce per ricadere soprattutto su di loro? Stessa cosa vale per lo smart working (che potrebbe costituire un valido strumento di conciliazione vita-lavoro): il ministro Zangrillo si è impegnato a promuoverlo, e, facendo il caso di Roma, il Sindaco Gualtieri nella veste di commissario straordinario per il Giubileo ha emanato una circolare invitando le strutture della Pubblica Amministrazione operanti su Roma a incrementare il ricorso a tale istituto fino all’8 gennaio 2025. Siamo quindi a un semplice auspicio, peraltro per un periodo di poco più di 1 mese, quando chiunque lavori a Roma sa perfettamente che si preannuncia un anno denso di complicazioni per chi si dovrà spostare in città per lavoro e contemporaneamente sostenere la maggior parte del lavoro di cura.
L’austerità si conferma, ancora una volta, una potentissima arma che il Governo Meloni non esita a brandire per favorire il padronato e il settore privato, scaricando gli oneri su tutte le fasce della popolazione in difficoltà e, in misura maggiore, sulle donne. È per questo che la Giornata internazionale per la lotta alla violenza sulle donne e di genere è l’occasione anche per ribadire una opposizione netta e totale a questo Governo, a partire dalla manifestazione organizzata da Non una di meno di sabato 23 novembre, che si terrà a Roma e a Palermo.
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