Il 28 novembre diverrà una giornata per certi versi periodizzante per la fine del dominio occidentale in Africa.
Le truppe francesi – dopo essere state cacciate grazie ai colpi di Stato dei “militari patriottici” in Mali, Burkina Faso e Niger, fortemente sostenuti dalla popolazione e poi unitisi nell’Alleanza degli Stati del Sahel – dovranno fare letteralmente “armi e bagagli” e sloggiare sia dal Ciad che dal Senegal.
L’annuncio, per quanto riguarda il Ciad, è stato dato – senza specificare le tempistiche della partenza dei militari francesi – attraverso un comunicato ufficiale questo giovedì in cui viene espressamente messa nero su bianco la volontà di mettere fine agli accordi militari con Parigi che sembra non sia stata preventivamente informata della decisione.
Un vero e proprio schiaffo in faccia alla Francia che aveva nel Ciad uno dei suoi ultimi perni nell’area ed aveva taciuto sulle criticità del processo di transizione militare triennale che ha portato alla presidenza Mahamat Idriss Déby, che era capo di quella giunta, dopo la morte in combattimento del presidente precedente, padre del nuovo presidente eletto a maggio di quest’anno.
L’aiuto militare di Parigi era stato fondamentale alla classe dirigente ciadiana per respingere l’insorgenza dei “ribelli” in due occasioni: nel 2008 e nel 2019. Ed il legame con la Francia era stato un’assicurazione sulla vita per uno dei regimi più inclini ad assecondare la strategia dell’Africa Francese anche durante gli anni della transizione.
Andando ancora indietro, bisogna ricordare che il Ciad è il paese che ha avuto il più gran numero di operazioni francesi sul suo territorio dai tempi dell’indipendenza, in cui fu amministrato per i primi 5 anni dall’esercito francese: “Limousin” (1969-1971) e “Epervier” (1986-2014).
Per questo Parigi aveva sempre tenuto un “bassissimo” profilo anche quando, in piena campagna elettorale presidenziale, era stato assassinato il capo dell’opposizione nella sede della propria formazione politica con una operazione di tipo militare da parte dell’esercito.
E pensare che il 4 ottobre Macron e Déby si erano visti all’Eliseo, e si erano pubblicamente accordati per rafforzare la propria cooperazione bilaterale a livello economico, militare e culturale.
Parigi aveva annunciato di voler ridimensionare il suo contingente di un migliaio di militari, ma non la loro partenza, come ora chiede ufficialmente il Ministro degli Esteri proprio il giorno del 66simo anniversario dell’indipendenza.
Non si tratta di una rottura netta con Parigi e si lascia la porta aperta ad un “dialogo costruttivo per esplorare nuove forme di partnership” – come recita il comunicato – ma ormai il paese ha una pluralità di partner con cui ha intensificato gli scambi, come la Turchia, l’Ungheria e soprattutto gli Emirati Arabi Uniti; deve inoltre affrontare le difficili conseguenze della guerra in Sudan e la minaccia terrorista di Boko Haram.
Inoltre l’attuale uomo forte del Ciad ha caratterizzato i propri discorsi in senso “sovranista”, non nascondendo le critiche alla Francia, per cercare di guadagnare il consenso di un’opinione pubblica che vede con grande ostilità la presenza militare francese sul proprio territorio.
Recentemente, al ritorno dal suo viaggio in Africa, Jean-Marie Bockel, inviato personale del presidente francese nel continente – nonché ex segretario di stato alla cooperazione durante la presidenza Sarkozy (2007-2012) – aveva formalizzato questa settimana al presidente francese (senza che fosse reso pubblico) il piano di ridimensionamento dell’impegno militare transalpino in Africa.
Una fonte militare confidenziale dell’AFP aveva rivelato che, nei piani di Parigi, il progetto mirava a conservare un centinaio di militari in Gabon (contro i precedenti 350), così come in Senegal (contro 350 attuali) ed in Costa d’Avorio (contro i 600 di oggi), oltre a circa trecento in Ciad.
“Wishfull thinking”, si direbbe.
Ma, come abbiamo scritto all’inizio dell’articolo, la partenza dal Ciad non è stata l’unica cattiva notizia per Parigi.
In un’intervista ufficiale a “Le Monde” il neo-eletto presidente del Senegal, Bassirou Diomaye Faye, in quella che probabilmente era stata pensata come occasione di discussione sul “massacro di Thiaroye” – avvenuto il primo dicembre del 1944 nei confronti dei soldati senegalesi che avevano combattuto per la “Francia Libera”, ammesso solo da poco come tale da Parigi – è stato più che esplicito rispetto alla prossima partenza delle truppe francesi.
Riportiamo integralmente la risposta al giornalista che chiede se la presenza di militari francesi mini oppure no la sovranità senegalese:
“Quanti soldati senegalesi ci sono in Francia? Perché ci dovrebbero essere soldati francesi in Senegal? Perché deve competere al Signor M. Bockel od ad un altro francese decidere che, in un paese sovrano e indipendente, bisognerebbe mantenere 100 soldati? Questo non corrisponde alla nostra concezione della sovranità e dell’indipendenza. Bisogna rovesciare i ruoli (...) sia che i francesi l’accettino o meno”.
Parole come pietre da parte dei uno dei leader della coalizione pan-africanista che ha vinto le elezioni presidenziali, otto mesi fa, e che nelle elezioni politiche anticipate del 17 novembre ha fatto incetta di voti ottenendo una maggioranza schiacciante, conquistando 130 seggi su 165.
Questo successo ha posto fine alla difficile coabitazione tra l’ex maggioranza eletta nel 2022, fedele al presidente uscente Macky Sall – la cui formazione ha ottenuto ora solo 16 deputati – ed alla possibilità di realizzare il proprio programma “di rottura” da parte del governo, con a capo l’ex prigioniero politico Sanko.
Sall, che ha governato il Paese dal 2012 al 2024, e che ha gestito la sua campagna elettorale dal Marocco attraverso messaggi “Whatsapp”, dovrà rispondere anche a livello giudiziario all’Alta Corte di Giustizia dell’edificazione di un sistema il cui principale beneficiario, a parte una ristretta élite a lui legata, era la Francia stessa, ora derubricata a partner come gli altri.
Se il progetto della FrançeAfrique è ormai al tramonto, lo è anche quello dell’Unione Europea che ha considerato il continente il proprio “cortile di casa”, trattandolo come una “periferia integrata” colonizzata dal proprio polo imperialista in formazione.
Il “mancato” intervento militare in Niger da parte della CEDEAO/ECOWAS, dopo il colpo di Stato in Niger che la Francia avrebbe fortemente voluto, aveva suonato le campane a morte per le aspirazioni francesi in Sahel.
Questo doppio “scacco matto alla Francia” è duro colpo per Parigi e per Bruxelles – ed in generale per il blocco euro-atlantico – ed un ottima notizia per la nuova alba dei popoli africani contro il giogo neo-colonialista che prende forma nel mondo multipolare.
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