Partirà dal primo dicembre la Commissione Europea “Von der Leyen 2”, ma ha rischiato fino a notte fonda – dopo numerosi rinvii – di non partire affatto.
Il nuovo “governo” dell’Unione è anche visivamente un pastrocchio degno dei vecchi inciuci democristiani anni ‘60, pesantemente squilibrato a destra, e non per caso proprio i “democristiani europei” ne sono stati i protagonisti assoluti.
Hanno infatti fatto propria, per giorni, l’ostilità dei “popolari” spagnoli – in realtà gli eredi del franchismo, appena riverniciati – alla nomina della connazionale Teresa Ribera, “socialista” e vicepresidente del governo Sanchez, nonché ministro della Transizione ecologica e della sfida demografica.
Hanno preteso che Ribera si presentasse davanti al Parlamento iberico per “provare” la sua innocenza rispetto alla catastrofica alluvione di Valencia (oltre 200 morti), con l’eventuale rimozione dall’incarico europeo in caso di messa in stato d’accusa da un tribunale spagnolo. Un modo per tenere sempre sotto tiro la commissaria, visto che nella magistratura iberica non sembra difficile trovare una “toga nera” disponibile ad aprire un procedimento anche farlocco...
La cosa allucinante è che in Spagna tutti sono consapevoli che il responsabile principale di quel disastro è il presidente della provincia di Valencia, Mazòn che, da convinto negazionista del cambiamento climatico si era rifiutato di lanciare l’allerta alla popolazione nonostante le ripetute segnalazioni dell’agenzia meteo nazionale.
Mazòn, guarda caso, è un “popolare” di destra e la sua giunta si regge con i voti dei fascisti di Vox (quelli che accolgono da anni trionfalmente Giorgia Meloni). Non che il governo nazionale sia completamente innocente, naturalmente, ma la priorità nella scala delle responsabilità è chiara.
A fare sponda con la destra spagnola è stato soprattutto il partito popolare tedesco – quello di von der Leyen, peraltro – che ha usato il nome e l’appartenenza partitica di Ribera per contrastare la spinta dei “progressisti europei” (chiamarli “socialisti” è un insulto alla storia) contro la nomina del meloniano Raffaele Fitto tra i sei vicepresidenti della Commissione, anche se con un portafoglio minore a quello fin qui tenuto dal connazionale “progressista” Paolo Gentiloni.
Poi, nella notte, pace fatta. Almeno per ora. A rimetterci di più è stato alla fine l’altro ultradestro in Commissione – l’ungherese Oliver Varhelyi, uomo di Orbàn – al quale sono state tolte le deleghe sulla DG Hera, inclusa la gestione e la preparazione alle crisi, e la competenza sui diritti sessuali e riproduttivi. Resta in pratica Commissario alla sanità e al benessere animale...
Giochini da quattro soldi, dicevamo, in pieno stile tardo impero. E dire che la nuova Commissione dovrà – o dovrebbe – affrontare un prossimo futuro estremamente agitato, tra recessione economica che morde ormai apertamente Germania e Francia (non proprio due pesi leggeri, nella UE), azzoppa l’Italia e un po’ tutta l’area.
Ma che, soprattutto, sta per essere investita dai dazi promessi da Trump non appena si insedierà alla Casa Bianca, dalla crescita dei Brics+ e del resto del mondo che non ne può più del suprematismo occidentale, ecc.
Che questa congrega di personaggi improbabili, o comunque minori, possa essere in grado di pensare e trovare le soluzioni adeguate, appare una mission impossible. Meglio concentrasi sulle liti di cortile, insomma. In fondo è il loro ambiente naturale...
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