Newco di Stato per riportare il nucleare in Italia. Ormai siamo bombardati da questi termini che, per i non addetti ai lavori, sembrano significare mille cose diverse, ma alla fine la sostanza è la stessa: un colosso finanziario, che si aggreghi alla filiera imperialistica europea.
Questo è il senso delle indiscrezioni che sono girate negli ultimi giorni intorno alla possibilità che, già per la fine del 2024, venga annunciata la creazione di una nuova società “di Stato”. Anche se separare gli interessi privati dagli investimenti pubblici, in una fase in cui il mantra è diventato “più Stato per il mercato”, diventa difficile.
L’ENEL dovrebbe avere la quota di maggioranza (51%), seguita da Ansaldo Nucleare (39%) e Leonardo (10%). Anche se in Italia ad ora non viene prodotta energia dall’atomo, ENEL gestisce 9 Gigawatt di capacità nucleare, installata tra Spagna e Slovacchia, mentre Ansaldo Nucleare guarda al rinnovo delle centrali esistenti e allo studio di nuove tecnologie.
È proprio su questo lato che dovrebbe concentrarsi il lavoro della nuova società. Lo sviluppo degli Small Modular Reactors (SMR), ovvero i “reattori modulari” che da anni sentiamo propagandati come nuova frontiera del nucleare, e la quarta generazione, che comunque non si vedrà prima di una quindicina d’anni almeno, sono gli obiettivi.
A questo scopo potrebbe inserirsi nel percorso del nucleare anche Newcleo, una start-up fondata nel 2021 dal fisico Stefano Buono, che ha già 700 azionisti ed è valutata 1,3 miliardi di euro. Questa sta già collaborando con Ansaldo Nucleare, e sta approfondendo l’opportunità di usare il MOX (miscela di uranio e plutonio).
Questo prodotto aiuterebbe a garantire maggiore autonomia di approvvigionamento, dopo che, ad esempio, il nuovo governo del Niger ha sbarrato la strada allo sfruttamento francese delle miniere di uranio nel paese. E proprio in Francia la Newcleo ha posto la propria sede, perché il quadro regolatore già presente oltralpe permette di accedere anche a fondi europei.
È complesso parlare di nucleare, tenendo insieme le ragioni ambientali, di sicurezza, di fabbisogno energetico del paese (intorno ai 310 terawattora, ma che potrebbe forse raddoppiare nell’arco di una ventina d’anni). Quando si parla di politica energetica, non esiste alcun discorso tecnico che non vada di pari passo ad orizzonti politici.
Basti pensare che secondo alcune stime basterebbero pochi miliardi di investimento in manutenzione e sostituzione di alcuni macchinari della filiera dell’idroelettrico per recuperare 4,4 terawattora all’anno, cioè intorno al 10% di ciò che viene importato dall’estero. Eppure, nella cornice del PNRR si è deciso di continuare sulla strada di concessioni a privati non intenzionati a spenderci granché.
Lasciamo quindi ai tanti contributi di esperti, che si possono trovare anche sul nostro giornale, il dibattito sulle opportunità e sulle criticità dell’energia atomica. Qui ci vogliamo concentrare sul significato della partecipazione di Leonardo in questo progetto, che ne palesa gli orizzonti di guerra collegati.
Perché, se il ruolo di ENEL, Ansaldo e Newcleo è autoevidente, non si capisce per quale motivo l’avventura nucleare dovrebbe interessare a Cingolani e compagnia. Non si capisce, chiaramente, finché non si esplicitano i tanti usi che, in quanto tecnologie dual use per eccellenza, quelle ‘atomiche’ possono avere sul lato bellico.
L’autonomia energetica, tanto sbandierata come necessità per la UE, esce fuori quando si vuole ridurre al minimo il rapporto con altri paesi. La finalità è, appunto, quella di avere maggior spazio di manovra dal punto di vista di misure di scontro, che sia commerciale o guerreggiato.
Il nucleare è inoltre usato come energia propulsiva per sottomarini e navi, oltre che ovviamente nelle testate atomiche. Ma anche se non ci si impegna su questo versante esplicitamente militare, lo sviluppo degli SMR porta con sé anche quello di una filiera per l’High-Assay Low-Enriched Uranium (HALEU).
Si tratta del combustibile per lo più usato nelle ricerche su questo tipo di reattori, e presenta una concentrazione dell’isotopo radioattivo tra il 5 e il 20%, superiore a quella usata generalmente in ambito civile, cioè tra il 3 e il 5%. Ad oggi, solo la Russia e la Cina hanno le infrastrutture necessarie a produrne su una scala commerciale.
Vi sono vari programmi di studio in Occidente al riguardo, che coinvolgono grandi multinazionali – come la Orano – e hanno destato l’interesse di autorità pubbliche come il Dipartimento della Difesa statunitense. La motivazione è facilmente resa chiara sul sito della World Nuclear Association, accreditata presso l’ONU.
1: “Il tempo necessario per produrre HEU (uranio altamente arricchito, ndr) di qualità militare è più breve quando si utilizza HALEU come materia prima”.
2: “Gli impianti per produrre HEU di qualità militare a partire da materie prime HALEU potrebbero essere relativamente piccoli e quindi difficili da individuare”.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica deve ancora implementare delle linee guida di sicurezza sull’utilizzo dell’HALEU. Ma risulta scontato che lo sguardo che stanno allungando su questo settore attori come la Leonardo si innesta precisamente nella tendenza alla frammentazione del mercato mondiale e al riarmo.
Il blocco euroatlantico vuole una filiera dell’uranio completamente indipendente, e lo sviluppo del nucleare civile può aiutare anche sul piano militare. Colossi come la Leonardo, anche se l’Italia non avrà mai una propria arma nucleare, possono avere una funzione in questo percorso, legittimandolo inoltre con la promessa della riduzione delle bollette e di nuovi posti di lavoro.
Proprio Ansaldo Nucleare, insieme a Edison e THEA group, hanno presentato poco tempo fa uno studio nel quale si prevede che l’installazione di impianti nucleari, capaci di soddisfare circa il 10% della domanda elettrica al 2050, si tradurrebbe in un impatto economico superiore a 50 miliardi di euro e fino a 117.000 occupati diretti, indiretti e indotti dal 2030-35 al 2050.
Nello scenario di crisi che viviamo, tali numeri allargano la platea delle persone che guardano in maniera meno negativa al nucleare. Senza però essere informati del fatto che, sul lungo periodo, questa opzione non farà che portarci in maniera più veloce verso la possibilità di uno scontro generalizzato, e dunque della trasformazione della crisi in guerra aperta.
La questione ambientale, in questo caso, assume tutto un altro significato. Al di là del conteggio delle emissioni dell’intera filiera, il tema qui è che il nucleare è un tassello strategico di un salto di qualità dell’imperialismo europeo e della competizione globale in generale.
Dare man forte a Bruxelles su questo lato significa distruggere il pianeta, anche nel caso rimanessimo sotto il grado e mezzo di aumento delle temperature rispetto all’epoca pre-industriale. Teniamolo a mente in ogni discorso al riguardo, perché verrebbe da dire che questa è tutto fuorché una contraddizione secondaria.
Chissà se anche l’incidente verificatosi ieri all’Enea di Casaccia ha una relazione con la sperimentazione necessaria a sviluppare il progetto...
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