Il titolo “Praga è sola”, dell’allora rivista Il Manifesto durante il periodo dell’invasione della Cecoslovacchia da parte dei paesi del patto di Varsavia, è di quelli che fece epoca. Denunciava la solitudine di un paese invaso nel silenzio, o nell’impotenza materiale, di tutta l’Europa. Si trattava soprattutto di una critica rivolta alla sinistra, al di qua ed al di là della linea che spaccava in due il continente, ai suoi ritardi e alle sue connivenze. Finì come sappiamo: l’invasione militare della Cecoslovacchia lasciò il posto ad un governo di nuovo coloniale, congelando economia e società di quel paese. Poco più di vent’anni dopo la Cecoslovacchia diventò uno dei tanti satelliti dell’economia neoliberale dell’area a seguito della caduta del muro di Berlino. L’economia socialista sperimentale degli anni ’67-’68, voluta dal nuovo corso del partito comunista cecoslovacco, i cui massimi dirigenti furono tutti arrestati prima e dopo l’invasione, non si era potuta sviluppare. Non solo, visto che nell’area la globalizzazione liberista richiedeva la frammentazione degli stati per funzionare (piccole patrie per diverse aree di mercato) nei primi anni ’90 il paese si spaccò in due: nacquero la repubblica ceca e quella slovacca.
A qualche decennio di distanza da tutta questa storia c’è da chiedersi se Atene sia sola e cosa comporti il suo eventuale isolamento. Indubbiamente Atene è sola a livello di vertici dell’eurozona. E’ impressionante vedere vertici, che siano di primi ministri o di capi dei dicasteri economici, dove il dissenso è solo di uno: Tsipras o Varoufakis. E la questione in ballo non è solo quella nazionale greca. Sono state messe in discussione le politiche di austerità dell’eurozona ma il risultato è invariato: solo i greci sono i dissidenti. Il resto è un muro liberista. E qui il significato politico è ben preciso: se l’eurozona punta, per sopravvivere, a deflazione salariale, modello economico con l’export come primato, e ad essere un nuovo spazio di attrazione dei capitali (con diverse concezioni, ed interessi su cosa significhi) per il continente e per la Grecia non può esserci che l’austerità. Non solo: lo stesso tentativo (complesso) di sganciamento dal rapporto tra crescita del debito pubblico e salvaguardia delle banche – operato tra governance continentale e Bce – approda comunque alla conferma delle politiche di austerità. No exit, insomma. Poi c’è l’altra questione: a parte la Spagna, il resto dell’Europa non fa ribollire le piazze a favore della Grecia. Eppure anche la metà delle partecipazioni alle manifestazioni contro la guerra in Iraq del 2003 avrebbe messo seriamente in discussione la legittimità delle politiche di austerità. Atene è quindi sola e finirà come Praga? Sottomessa e poi magari divisa?
La situazione, in effetti, è differente e non solo perché allora l’invasione di un paese si misurava con i carri armati mentre oggi la si fa con i prestiti del Fondo Monetario Internazionale (responsabile, non dimentichiamo, di un piano di “risanamento” della economia della Jugoslavia che ha causato la più sanguinosa guerra civile europea dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi). Ma anche perché la crisi dell’invasore può essere più veloce di quella del patto di Varsavia degli anni ’60 che ebbe bisogno di almeno vent’anni per maturare definitivamente la propria spettacolare implosione. E se la crisi dell’Eurozona, in qualche modo accelera, allora Atene può diventare, per forza di cose, un po’ meno sola. Certo l’asse franco-tedesco, che è l’asse bancario di chi si è fatto ripagare i debiti greci grazie all’intervento dei bilanci pubblici europei lasciando Atene alla fame, sulla Grecia non sembra cedere. Ma le frasi di Draghi sulla crisi greca “rischiamo di navigare in acque inesplorate” rivelano la fragilità di fondo dell’eurozona. Certo, sono le frasi di chi da una parte cerca di ammonire, avvertendo dei rischi in corso sui mercati finanziari, l’ala più dura dei paesi dell’eurozona. Ma sono anche le frasi di un istituto che, come oggi tutte le banche centrali, rilascia effetti annuncio ad uso dei mercati per giocare come un gigantesco fondo speculativo. Altrimenti i bond che emette finiscono per valere sempre zero. E così la Bce, in questo caso, deve generare un po’ di profitti sui bond pubblici dell’eurozona grazie a qualche notizia, oggi nella veste delle dichiarazioni di Draghi in persona, che muove un po’ la volatilità sul mercato (favorendo stavolta i ribassisti di ogni taglia. Non a caso lo stesso Draghi aveva parlato di possibile volatilità dei mercati le scorse settimane). Già perché, ad esempio, i fondi pensione tedeschi, a secco di rendimenti sicuri dall’obbligazionario pubblico, hanno bisogno di giocare sulla volatilità come, a suo tempo, fatto col rublo nel momento più duro delle sanzioni a Mosca. Quando si dice mettere a valore la notizia e l’incertezza, insomma.
C’è da chiedersi quanto è forte un avversario del genere, costretto ad anticipare un po’ di mosse della speculazione per non venirne travolto, causa movimenti ribassisti troppo repentini, oppure per favorire qualche fondo in affanno. E c’è da chiedersi, come ha fatto recentemente l’Economist, quali strumenti abbia questo avversario per affrontare, sempre con le solite misure di austerità, la prossima crisi. Perché l’Europa – se perdurano la flessione della locomotiva americana, il rallentamento della crescita globale e si rinnova la crisi del settore bancario e dei bilanci pubblici nel continente – rischia di non avere gli unici strumenti che piacciono al liberismo in questi casi: ribasso dei tassi (sono già a zero e, in alcuni casi, sotto lo zero), debiti delle banche trasferiti sui bilanci pubblici (un incubo la sola idea, infatti da anni si preparano politiche per evitare un nuovo 2008 in questo senso), leva finanziaria per l’economia e moneta competitiva (il regalo del dollaro alto non è destinato a durare in eterno nell’epoca delle currency war). Quindi l’avversario può essere fortissimo, se i vertici dei paesi dell’eurozona fanno blocco contro la Grecia, o debolissimo. Se questo blocco genera una crisi greca che scoppia in faccia agli stessi paesi dell’austerità – come ipotizzato dal Financial Times in inverno – o se una nuova ondata recessiva manda in corto circuito gli strumenti di politica monetaria, o di politica economica tout court, della governance europea. A quel punto la Grecia avrebbe maggior forza politica per far valere le misure antiausterità in Europa.
Giuste o sbagliate che siano le scelte fatte – onestamente non può averci convinto tutto di Syriza ma in politica è naturale vederla diversamente – i greci hanno comunque mostrato il coraggio epico di un popolo già espresso nel respingere la flotta persiana a Salamina. E sembra anche spuntare l’astuzia di Ulisse: se si applicano le regole dello stesso FMI ci vorrebbero perlomeno 15 mesi per maturare un vero default dopo la tranche di insolvenza dei pagamenti del 30 giugno. E, in ogni caso, con la Grecia piena di turisti in estate è difficile pensare che la Bce chiuda la liquidità bancaria a quel paese almeno fino a settembre. Tutto tempo guadagnato per logorare il gigante avversario e attendere le elezioni spagnole. Quando, se Podemos riuscisse a vincere, si potrebbe davvero parlare di assedio spezzato ad Atene. Per questo la stampa tedesca non ha esitato, su più testate, a definire il governo greco come un organismo di giocatori di poker. Tutto vero, l’azzardo sembra palese e le scommesse da vincere tante, ma in questo caso è il minimo stare dalla parte dei giocatori di poker. Perché Atene, al momento sarà anche sola, ma ha dimostrato di saper giocare a carte. E se vince barando ci sarà anche più gusto. Non è il piacere del tifo contro. Ne va della salute di un continente e del futuro delle generazioni che lo abitano.
Certo, l’Italia dovrebbe anche scoprire la questione greca come problema interno – estremamente più pressante delle vicende di Buzzi e di “er cecato” e delle litanie sull’onestà – ma il nostro è un paese strano. Spesso politicamente asimmetrico rispetto all’Europa: conflittuale quando nel continente tutto sembra tacere e pacificato e provinciale quando oltrefrontiera accadono le cose importanti. Intanto, teniamoci stretti i nostri coraggiosi greci. Che le potenze oscure che proteggono i bari li ispirino.
Redazione, 17 giugno 2015
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento