Ed eccoci pronti a stappare una bottiglia di rum per ricordare i 25 anni trascorsi dalle session di registrazione del progetto Buena Vista Social Club, un “case study” in grado di portare a casa un Grammy Award, di conquistare un numero enorme di estimatori, di raggiungere un successo sorprendente persino per gli stessi attempati protagonisti. Nomi come quelli di Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Rubén Gonzalez e Omara Portuondo divennero improvvisamente popolari sul finire degli anni 90, come mai prima di allora, impreviste icone che sulla scia di quella notorietà intrapresero tour mondiali, proprio quando ormai non se lo sarebbero più aspettato. Fu anche grazie a quel riuscito esperimento che si moltiplicarono le attenzioni nei confronti della musica latino-americana: il mondo si accorse di come il fenomeno salsa, che in quegli anni stava spopolando in Italia con migliaia di salseros che affollavano le piste da ballo, avesse un progenitore meno invadente ma altrettanto degno di essere approfondito, il son.
Buena Vista Social Club era il nome di un leggendario club di La Avana, destinato alla popolazione di colore durante la dittatura di Batista e attivo fra il 1932 e il 1959. Molti musicisti cubani si incontravano là per suonare, fin quando l’avvento di Fidel Castro cambiò molti aspetti della vita sociale dell’isola. Ci vorrà il 1995 per riuscire a riunire di nuovo un gruppo improvvisato di quei veterani protagonisti della scena musicale caraibica, molti dei quali nel frattempo scivolati nell’oblio e inevitabilmente invecchiati, talenti enormi rimasti sconosciuti al grande pubblico, ma ancora vispi, e pronti a rispolverare gli antichi splendori.
Registrato in soli sette giorni, non ci mise molto a diventare il disco cubano più venduto di tutti i tempi (secondo le statistiche oggi avrebbe superato i 12 milioni di copie), ancor più - tre anni più tardi – grazie all’omonimo documentario diretto da Wim Wenders, contenente riprese delle session e uno spaccato delle pazzesche vite di quei musicisti, oltre a meravigliose inquadrature della isla blanca e della sua popolazione.
Ry Cooder fu il produttore di quelle canzoni indimenticabili, colui che catturò per sempre quei suoni malinconici e decadenti, come una passeggiata consumata lungo il Malecon, istantanee da un’isola baciata dal sole ma schiacciata da un embargo in grado di tarparne le ali. Alcune tracce scritte per l’occasione, altre ripescate dalla tradizione cubana. Il romanticismo da lacrima sul viso di “Dos Gardenias” e “Veinte Anos” ma anche il ritmo trascinante imposto dalle immortali “El cuarto de Tula”, “Candela” e “De Camino a la Vereda”, gli strumentali “Pueblo Nuevo” e “Buena Vista Social Club”, una “Orgullecida” con sugli scudi la slide di Cooder, e ovviamente il brano chiave della raccolta, “Chan Chan”, che decretò il tardivo successo mondiale di Compay Segundo. Tutto suonato con naturalezza e grande complicità, attraverso una tecnica che permise di regalare all’ascoltatore la sensazione di trovarsi di fronte ai musicisti, come stare con loro nella medesima stanza.
La corposa edizione del venticinquennale comprende le tracce originali rimasterizzate, più un secondo disco di 12 canzoni: quattro alternate take e otto inediti ricavati dai nastri che fissarono le session del 1996, selezionati per l’occasione da Ry Cooder e Nick Gold, il produttore esecutivo. Fra le migliori vanno segnalate almeno “Vicenta” e “A tus Pies”, oltre alle sensazionali piccole jam “Mandinga” e “Descarga Rubén”.
A rendere particolarmente ricca l’edizione, provvedono un booklet di 64 pagine con testi, foto e note, che diviene un lussuoso libro di grande formato nella versione deluxe, nobilitata anche dalla presenza di un doppio vinile 180 grammi. Altre tracce, non altrettanto indispensabili, sono state rese disponibili sulle principali piattaforme digitali.
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