I padroni riconoscono che il governo Draghi è “roba loro” e pretendono che non si facciano più mediazioni con nessuno: “ora basta davvero”, come ha chiosato l’inguardabile Carlo Bonomi, presidente di un’associazione – Confindustria – che concentra interessi privati trasformandoli in “cultura di governo”.
La standing ovation riservata all’ex presidente della Banca Centrale Europea ha avuto il rumore di un “clang”, la chiusura di un ingranaggio meccanico di grandi dimensioni, pronto ora a stritolare e macinare qualsiasi cosa ci debba passare in mezzo.
Dal punto di vista padronale, in effetti, sono andati a posto tutti i pilastri fondamentali per dare loro il potere totale.
L’Unione Europea ha fissato la lunga lista delle condizioni da rispettare per avere due spicci di prestiti prima di tornare alle politiche di austerità. Le privatizzazioni di tutti i servizi pubblici, dall’acqua alla sanità ai trasporti, daranno qualche altro spiraglio di profitto sicuro a una classe imprenditoriale da quattro soldi, abituata a lucrare su concessioni pubbliche, monopoli, salari da fame e precarietà.
Del resto, proprio la Ue ha messo a disposizione uno degli uomini di punta del proprio establishment per traghettare anche l’Italia sulla via delle “riforme” a favore del grande capitale multinazionale.
Nella squinternata imprenditoria italiana, da decenni in fuga dagli investimenti e dal “rischio di impresa”, questo assetto – al di là di alcuni ministri ritenuti non particolarmente all’altezza del compito loro attribuito – conferisce il massimo di controllo possibile.
E dunque “ora basta davvero”...
Bonomi ha ricordato a tutti quel che, con meno informazioni a disposizione, avevamo provato a dire fin dagli esordi del governo Draghi: questo esecutivo è fatto di due governi in uno. E l’inner circle di Draghi controlla i ministeri chiave per le “riforme chieste dall’Europa”, mentre ai partitucoli chiamati a votarne i decreti sono affidate le materie minori, quelle dove ci si può scannare a favore di telecamera per dimostrare che esistono “differenze” tra centrodestra e centrosinistra, ma del tutto inessenziali.
E dunque Bonomi “si augura” (è già sicuro) che Draghi “continui a lungo nella sua attuale esperienza“: e vada avanti “senza che i partiti attentino alla coesione del Governo pensando alle prossime amministrative con veti e manovre in vista della scelta da fare per il Quirinale“.
Sistemate le istituzioni e il loro sviluppo futuro, teoricamente affidato al Parlamento e alla sovranità popolare, il presidente di Confindustria è potuto passare alle pretese più concrete.
Ai sindacati già complici è stato mandato il comando: ora “un patto per l’Italia” – mantra ripetuto anche da Draghi, subito dopo, a ribadire totale identità programmatica e retorica – che non prevede alcun conflitto sociale. “Non siamo partiti in lotta, l’antagonismo non serve e a niente“, non bisogna “perdere altro tempo“.
Come se la “lotta” tra interessi diversi fosse una “specialità dei politici”, un gioco di società, perché nei posti di lavoro – nella testa degli imprenditori – c’è chi comanda e chi obbedisce e basta.
Poi la lista.
Togliere l’Irap (la tassa per le imprese che serve in buona parte a finanziare la sanità pubblica), tagliare l’Iva e le accise (entrate per lo Stato, ma moltiplicatori della crescita dei prezzi, che dunque riducono le vendite possibili e i relativi profitti per le imprese, che al contrario pretendono di pagare salari ancora più bassi che a loro volta riducono i consumi complessivi).
E ancora: più soldi per gli ammortizzatori sociali (la cassa integrazione, ricordiamo, è una misura a vantaggio delle aziende, perché le esime dal pagare una parte dei salari).
Ma soprattutto le “riforme”, quelle imposte come condizioni dalla Ue per i prestiti del PNRR.
“La mano decisa – ha detto Bonomi – con cui Draghi e il suo Governo hanno mutato energicamente su finalità e governance le prime 80 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il modo in cui il Governo sta scrivendo le riforme fondamentali, pilastri del Piano, introducendo obiettivi prima inesistenti, come produttività e concorrenza, hanno rapidamente ed efficacemente risposto alle aspettative delle imprese.”
Questo è “il nostro governo”, sia chiaro per tutti, dice Confindustria.
Una nota di colore è arrivata dal richiamo sui no vax (“A chi flirta coi NO VAX invece di pensare alla sicurezza di cittadini e lavoratori, come a chi pensa che questo Governo sia a tempo, e allora basta tergiversare, perché poi le riforme si faranno quando governerà l’una o l’altra parte. NO, le riforme occorre farle adesso”), chiarendo indirettamente il ruolo di questi utili idioti che, se non fossero esistiti, i padroni li avrebbero inventati.
“La mano ferma con cui è stata ridefinita e accelerata la campagna vaccinale ci ha, in pochi mesi, condotto a una percentuale di vaccinati sulla popolazione che nei primi mesi dell’anno appariva fuori portata. La stessa mano ferma con cui il Governo ha assunto una settimana fa, la decisione dell’obbligo di introdurre il green pass per tutto il lavoro pubblico e privato. Una decisione che noi, condividiamo integralmente: finalmente ha prevalso la sicurezza dei luoghi di lavoro e la continuità delle nostre produzioni”.
La preoccupazione di Bonomi&Co non è tanto quella di vaccinare tutti, insomma, quanto la disponibilità di un “documento formale” – il green pass, appunto – che permetta alle aziende di lavorare sempre senza avere le migliaia di “cause per malattie sul lavoro”, moltiplicatesi in seguito all’esplodere della pandemia.
Ma è la parte sulla “nuova Europa” quella che restituisce meglio il senso delle necessità strategiche dell’imprenditoria (residua) nel nostro Paese: “Non è solo nell’interesse dell’Italia, che il Governo Draghi continui a rappresentarci al tavolo dove, l’anno prossimo, si discuteranno la revisione del Patto di stabilità e crescita, degli aiuti di Stato e delle misure straordinarie assunte dalla BCE. È nell’interesse dell’Europa, in cui noi fermamente crediamo, che il Presidente Draghi rappresenti una delle personalità di riferimento nella prossima stagione di future riforme europee. Serve un’Europa più coesa nelle sue regole finanziarie, più unita nella sua politica estera, più forte e più integrata nella politica di difesa”.
Traduciamo per chi ancora non capisce che “la borghesia europea” è ormai un dato di fatto, al di là dei passaporti in tasca (più d’uno, spesso) a ogni singolo imprenditore. È quella i cui affari dipendono dal quadro istituzionale e normativo continentale, oltre che dalla disponibilità di un mercato al di là dei confini nazionali.
La politica di “riforme” che la presenza di Draghi permette di realizzare serve a questo tipo di establishment continentale, non solo o non tanto “nazionale” (quello che un quacquaraqua come Salvini pretende ancora di rappresentate elettoralmente). E tutto, in questo schema, si tiene: nuovo “patto di stabilità”, quadro normativo europeo per le attività finanziarie, esercito continentale, affermazione di una “proiezione militare” in Africa e Medio Oriente (per ora).
Stesso ragionamento anche per il PNRR, che dovrebbe servire soprattutto a “riformare” strutturalmente l’ambiente economico-sociale italiano in senso padonale. E dunque privatizzando tutto.
“Sulla concorrenza, leggiamo che i partiti non mollano nella difesa dei troppi settori dell’economia italiana sottratti alla logica della concorrenza e del mercato. Cioè sottratti ai più forti stimoli necessari per accrescere la produttività: quella produttività che in tutti questi anni è stata stagnante. Non facciamo polemiche contro i partiti: le loro difese delle rendite si commentano da sole.”
Il ragionamento di Bonomi è particolarmente infame e falsario. Anche uno studente del primo anno di economia sa che “la produttività” discende dagli investimenti nel processo produttivo. E che non può aumentare se pensi solo a ridurre i salari o aumentare il tempo di lavoro. In questo modo – quello preferito da 40 anni, e che è alla base del declino industriale italiano – puoi anche mantenere buoni livelli di profitto, ma “la produttività” non cresce. E ad un certo punto la “concorrenzialità” di merci prodotte in questo modo viene superata da altre economie che fanno le stesse cose con salari simili, o anche leggermente superiori, ma con processi produttivi più evoluti.
“Facciamo invece un appello al governo su almeno tre nodi essenziali. Primo: basta gestioni in house dei servizi da parte di Comuni e Regioni, servono gare vere aperte ai privati e non impugnate poi al TAR come accaduto negli ultimi anni per quasi tutte quelle sul Trasporto Pubblico Locale. Secondo: più accesso ai privati nell’offerta di servizi sanitari secondo gli standard del Servizio Sanitario Nazionale, come indicato dall’Autorità Garante del Mercato nelle proposte inviate al governo. Terzo: una regola standard in linea con le Direttive comunitarie sulla durata delle concessioni pubbliche, essa va ricondotta ai 5 anni standard europei, le eccezioni vanno giustificate solo laddove sia comprovato che davvero rechino benefici economici e non siano rendite dei concessionari”.
Privatizzare i servizi pubblici, insomma. Così questi poveri pezzi di m***a potranno lucrare qualche euro in più senza muovere un dito o investire un euro.
E soprattutto abbassare le tasse per le imprese.
“Quanto all’imposizione sui redditi societari, pensiamola come strumento di crescita e non dimentichiamoci che è strumento di competitività internazionale: sosteniamo gli investimenti a massimo valore aggiunto, ricerca, digitale, efficienza energetica in primis, riducendo i gap che ci dividono dai nostri principali Paesi competitor. Mettiamo un po’ di olio negli ingranaggi nei processi di riorganizzazione aziendale e accompagniamo le operazioni di patrimonializzazione e capitalizzazione.
Come ci sollecita anche la Commissione europea, vanno ripensate le attuali modalità di utilizzo delle perdite fiscali, ricorrendo a meccanismi di carry-back e prevedendo una maggiore flessibilità nel loro utilizzo, oltre a un trattamento fiscale più favorevole dell’indebitamento, come consente il diritto UE.”
Notate come conclude questa parte del discorso – dopo aver ricordato che anche la tassazione è sottoposta a “concorrenza”, e infatti moltissime imprese italiane mettono la sede fiscale in Olanda o Irlanda – e poi chiedetevi se davvero “l’Europa” non c’entra con le dinamiche del conflitto di classe in questo disgraziato paese.
Si può andare avanti a lungo, perché un “vasto programma” come quello iniziato con il governo Draghi va a toccare tutti gli aspetti della vita del Paese. Ma il segno, già con questi primi punti, ci sembra abbastanza chiaro.
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