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27/09/2021

Sempre più poveri. Rapporto 2021 di Poverty Watch

La povertà in Italia è aumentata in maniera assolutamente preoccupante. Il Rapporto “Poverty Watch” 2021 ci fornisce informazioni aggiornate. Lo trovate a questo link. È stato realizzato da Cilap Eapn Italia, una rete fra organismi non profit, che si occupa di povertà e di esclusione sociale a livello nazionale ed europeo da più di 25 anni. Le politiche sociali, anche in relazione alla pandemia da Covid – ovvero le politiche sui diritti fondamentali della persona, sulle tutele e le opportunità, connesse alle politiche fiscali necessarie a finanziarie gli interventi di lotta alla povertà – non sono adeguate al contrasto. La promozione sociale di atti rivolti a “intercettare”, sostenere, accompagnare verso la piena autonomia le persone e le famiglie in difficoltà, non fornisce strumenti che consentono di superare lo schema più proprio della beneficenza, erogazioni di sussidi o beni che non creano interventi strutturali.

L’emergenza sanitaria ha generato in Italia un aggravamento delle condizioni della vita dei minori, facendo emergere disuguaglianze sociali ed economiche con difficoltà di accesso alla rete informatica, a dispositivi elettronici e alla capacità dell’uso delle nuove tecnologie, difficoltà di accesso ai servizi del territorio. Durante il lockdown molte famiglie hanno affrontato l’improvvisa mancanza di disponibilità economica facendo ricorso ai propri risparmi, o riducendo da subito la spesa per l’acquisto di beni alimentari, anche quelli di prima necessità. Secondo un’indagine di Save The Children, fra queste famiglie il 73,8% ha perso il lavoro o ridotto drasticamente il proprio impegno retribuito, il 17,6% è andato in cassa integrazione. Le conseguenze potrebbero essere di portata significativa con un aumento di diversi punti percentuali del tasso di povertà assoluta fra i minorenni: si stima che 1 milione di bambini in più possano cadere nella povertà assoluta, ritrovandosi privi dell’indispensabile per condurre una vita dignitosa, arrivando a 2,2 milioni. Il rischio è che il tasso di povertà minorile possa avere un balzo drammatico, come è accaduto nella precedente crisi del 2008.

L’emergenza sanitaria ha acuito la fragilità dell’offerta dei servizi socio-educativi e per il tempo libero del territorio: minori opportunità di accesso a occasioni di sostegno educativo, cultura, sport compromettono i processi educativi e di socializzazione e determinano condizioni di marginalità sociale, aumentando il rischio conseguente del senso di solitudine e abbandono istituzionale. La crisi sociale ed economica ha risvolti pesanti sul fronte educativo: la prolungata chiusura delle scuole ha allontanato molti studenti, soprattutto coloro che sono più fragili e a rischio; l’accesso alla didattica digitale è stata una grande sfida da cogliere per il sistema scolastico, le famiglie e i giovani; spesso però device e connessioni sono un privilegio che molte famiglie non possono permettersi. Inoltre questa emergenza ha colpito i ragazzi accolti nelle case-famiglia e giovani stranieri non accompagnati, soprattutto quelli in uscita, il cui percorso di integrazione e inclusione è più a rischio. Durante il lockdown molti di questi giovani che hanno raggiunto la maggiore età hanno visto interrompersi l’avvio del processo di inserimento lavorativo trovandosi nella precarietà di una sistemazione alloggiativa autonoma.

In Italia esistono due stime differenti di povertà. Si distingue infatti povertà assoluta, il valore monetario, da quella relativa. 2 milioni di famiglie sono risultate in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza pari al 7,7% dal 6,4% del 2019, per un totale di oltre 5,6 milioni di individui. Nel 2020 la soglia di povertà assoluta per un singolo individuo di età 18-59 residente in un’area metropolitana del Centro Italia è di 761,02 euro. Quindi se una persona in un mese spende meno di questa cifra può essere definita “assolutamente povera”. La stima della povertà relativa, invece, si basa sull’uso di una linea nota come International Standard of Poverty Line (Ispl) che definisce povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o uguale alla spesa media per consumi pro-capite. Nel 2020 il valore di riferimento per una famiglia di due persone è di 1.001,86 euro: in Italia, nel 2020, le famiglie che sono risultate in condizioni di povertà relativa sono pari a poco più di 2,6 milioni, circa 8 milioni di individui, il 10,1% contro l’11,4% del 2019. Dal punto di vista dell’occupazione, nel corso del 2020, in Italia il livello di occupazione per la fascia d’età 18-64 anni ha registrato – rispetto al livello di febbraio dello stesso anno – un primo calo già nel mese di marzo (-143 mila unità rispetto a febbraio), raggiungendo il livello minimo a giugno (-541 mila). La crisi occupazionale causata dall’emergenza sanitaria da covid ha colpito prevalentemente i soggetti più vulnerabili del mercato del lavoro (giovani, donne e stranieri), le posizioni lavorative meno tutelate e l’area del Paese che già mostrava i dati occupazionali più preoccupanti, il Mezzogiorno.

Un altro elemento fondamentale da tenere in considerazione quando si parla di povertà e benessere economico riguarda le condizioni di deprivazione materiale, definite dall’Istat come “la disponibilità o meno di determinati beni di consumo durevoli, le condizioni dell’abitazione in cui si risiede e la possibilità di acquisire determinati beni e servizi, qualora lo si voglia”. Avere degli indicatori che consentono di cogliere tali aspetti è importante, poiché essi non possono essere spiegati solo mediante il livello del reddito o del consumo. Inoltre, consentono di monitorare uno dei principali obiettivi del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali, che è quello di combattere la povertà senza lasciare indietro nessuno. Secondo gli ultimi dati disponibili (del 2019) in Italia il 6,4% della popolazione risulta in una situazione di grave deprivazione materiale ed emarginazione sociale, in confronto al 6,6% della media Ue.

P.S. È il caso di sottolineare come la crescita della povertà (sia assoluta che relativa) dipenda dal modello economico adottato, dalle priorità sociali difese dai poteri pubblici (Stato italiano ed Unione Europea, visto che molte prerogative “sovrane” sono state cedute alle istituzioni sovranazionali).

Non è insomma un “destino cinico e baro” che si accanisce casualmente su questo o quel Paese. È invece un risultato delle politiche economiche e del tipo di “comando sociale”. Nel caso italiano ed europeo è un risultato voluto e perseguito consapevolmente dalle istituzioni e dalle associazioni padronali, in obbedienza al “modello mercantilista” orientato alle esportazioni.

Il grafico qui sotto (fonte OpenPolis) segnala chiaramente la crescita costante nel tempo della fascia di popolazione in pessime condizioni economiche tra il 2005 e il 2017. La situazione in questi ultimi anni è ulteriormente peggiorata, come mostra l’articolo e la ricerca di cui si parla.

Su un arco di tempo sicuramente più lungo, ma comunque nell’arco di un trentennio, la Cina ha eliminato la povertà tirandone fuori ben 850 milioni di persone. Pensate ancora che il modello di società non conti?


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