I bollettini ufficiali segnalano che in questi giorni festivi c’è stato un boom di sbarchi e soccorsi di imbarcazioni con migranti in difficoltà nelle acque del Mediterraneo. Da venerdì a Pasquetta sono state tratte in salvo circa duemila persone, grazie ai molteplici interventi in diversi quadranti: da Lampedusa allo Ionio.
La Guardia Costiera segnala un soccorso marittimo di un peschereccio con circa 800 migranti a bordo, intercettati a oltre 120 miglia a Sud-Est di Siracusa, in acque Sar italiane. Un salvataggio reso complesso dal sovraccarico di migranti a bordo; a coordinare le operazioni in mare è la Peluso con il supporto di tre motovedette della Guardia costiera e l’assistenza di una nave mercantile presente in zona.
Ci sono poi circa 400 migranti a bordo di un secondo peschereccio, segnalato anche da Alarm Phone e intercettato dalla Diciotti, attualmente in area Sar italiana a circa 170 miglia a Sud-Est di Capo Passero, a largo della Calabria ionica. Sul posto sono intervenuti anche due mercantili.
Complessivamente a bordo delle imbarcazioni tratte in salvo c’erano tre deceduti durante la traversata.
Anche le navi delle Ong hanno effettuato salvataggi, in particolare Medici senza Frontiere ha soccorso 440 persone mentre Sos Mediterranee ha sbarcato 92 persone nel porto di Salerno.
A Lampedusa, circa 1.700 i migranti approdati sull’isola in 48 ore, con l’hotspot al collasso con circa 1.600 persone, quattro volte la capienza. A Catania sono state montate due tenso strutture per accogliere i circa 700 migranti salvati nell’area ionica dalla Guardia costiera e assegnati al porto siciliano. I migranti sono stati sistemati nell’ex hub vaccinale di via Forcile, a San Giuseppe La Rena.
I diversi gruppi di migranti e rifugiati giunti nelle ultime ore hanno riferito di essere partiti dalla Tunisia, in particolare da Sfax, Zarzis, Chebba, Jebiniana, Kerkenna e d’aver pagato fino a 4 mila dinari per riuscire ad arrivare in Italia.
Gran parte dei migranti partiti dalla Tunisia provengono da Costa d’Avorio, Gambia, Guinea e Senegal, Burkina Faso, Camerun, Mali.
È ormai evidente che le rotte nel Mediterraneo per gli sbarchi in Italia – cioè il primo lembo di Europa per chi viene dal sud – si sono moltiplicate, così come il numero di imbarcazioni di fortuna con cui migliaia di persone affrontano il Mediterraneo.
La dimensione del problema ha assunto dimensioni che non è più possibile affrontare con la propaganda – come fanno questo e i governi che lo hanno preceduto – né criminalizzando le navi delle Ong utilizzate come capro espiatorio.
Come scrivevamo in un altro articolo relativo al sequestro della nave Louise Michel, puntare solo sul blocco delle partenze senza prendere di petto la situazione nei paesi rivieraschi dove queste avvengono (e qui l’arco si è esteso di molto e va al di là della sola Libia includendo Tunisia, Egitto, Libano, Turchia) è una soluzione distorsiva e inefficace.
Per dirne una, il Fmi sta imponendo ad un paese già economicamente al collasso come la Tunisia nuove misure lacrime e sangue. Inevitabile che questo inneschi nuove ondate di partenze di giovani tunisini verso le sponde dell’Europa (quindi l’Italia) alimentando il traffico di essere umani proveniente dai paesi africani. Lo stesso potremmo dire di un altro paese mediterraneo come il Libano. E poi ovviamente c’è l’instabilità in Libia.
Siamo in presenza di un processo epocale di fuga e spostamento di popolazioni, che sulla bilancia tra il peso dell’inferno che si lasciano alle spalle e quello da affrontare con le traversate in mare, vede preferire il secondo. E chi fa i conti con questa alternativa del diavolo molto difficilmente verrà dissuaso da provvedimenti deterrenti e alte grida come quelle messe in campo dal governo.
Inutili, fino ad oggi, anche le tirate per la giacca all’Unione Europea, al massimo Bruxelles tirerà fuori un po’ di soldi per l’accoglienza ma non per una soluzione complessiva che incida sulle cause. Soluzioni semplici e spendibili sul piano elettorale non ce ne sono, non ce ne sono mai state e probabilmente non esistono soluzioni del tutto efficaci, ma continuare a improvvisare, a puntare il dito sulle Ong, ad abbaiare alla luna dell’Europa non contribuisce a fare passi avanti.
Dentro questa contraddizione, la penisola italiana è al centro di un processo epocale che non ha “una soluzione” ma più soluzioni da far agire insieme.
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