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21/04/2023

Per fare figli bisogna guadagnare bene. Ma governo e imprese non possono ammetterlo

Un lettore distratto di giornali (sempre meno, e ci sarà un perché...) o un telespettatore senza memoria potrebbero in questi giorni aver capito che il governo Meloni si sta finalmente interessando al problema del drammatico ‘calo demografico’.

A prescindere da come la si pensa in tema di natalità, la riproduzione della popolazione in quantità sufficiente a mantenere gli equilibri economici e sociali dovrebbe occupare un posto di prima fila tra le preoccupazioni di un governo. Sia a Cuba che in Italia, insomma.

Nel nostro piccolo ci siamo occupati con una certa frequenza del calo demografico disastroso che caratterizza questo paese individuando una lunga serie di cause che “fanno sistema”, in senso ovviamente negativo, e che richiederebbero risposte all’altezza.

Confrontandoci con altri punti di vista, abbiamo perciò sviluppato non solo una qualche “sensibilità” al tema, ma anche individuato una serie di possibili correttivi molto concreti, ossia adottabili ancor prima di “arrivare al socialismo”.

Possiamo dire perciò con assoluta certezza che le “proposte” avanzate alla bell’e meglio dai ministri, oltretutto, considerati “meno incompetenti” sono delle boiate pazzesche, tali da far impallidire la fantasia di Fracchia.

Sia Giorgia Meloni che Giancarlo Giorgetti, in questi giorni, hanno occupato le prime pagine con parole in libertà che rivelano ignoranza assoluta ma soprattutto una mentalità pericolosa per la sopravvivenza di questo paese.

Vediamole separatamente, perché sono concretamente diverse tra loro (e questo già garantisce che il governo nel suo complesso non sa assolutamente che pesci prendere) ma figlie della stessa mentalità. Reazionaria, certo, ma soprattutto all’origine di due “soluzioni” che non potranno mai funzionare e dunque aggraveranno il problema (semmai si farà qualche passo in quelle direzioni).

Il “lodo Giorgetti”

Rivelata da Il Foglio, e indirettamente confermata dal leghista Massimo Bitonci, sottosegretario al ministero delle Imprese e compagno di partito di Giorgetti, viene descritta sinteticamente così: “un bonus famiglie modello ‘110%’ pensato per i genitori con figli. In sintesi: niente tasse per chi fa figli”.

Più precisamente Bitonci, vista l’impossibilità di eliminare totalmente la tassazione, fissa la detrazione fiscale ad almeno 10mila euro l’anno per ogni figlio a carico.

Seguono ipotesi di dettagli tecnici che diventano sempre più arzigogolati e fantasiosi ad ogni domanda, ma che mirano a nascondere il punto chiave: far pagare allo Stato – mediante la riduzione delle tasse – quella quota di reddito ritenuta necessaria per “incentivare” la voglia di far figli.

Si possono immediatamente far notare due cose: la “detrazione di 10.000 euro” (o qualsiasi altra cifra) non sarebbe la cifra in più a disposizione delle famiglie, ma solo la quota di reddito su cui non si pagherebbero le tasse (nel caso di reddito a 25.000 euro si pagherebbero solo su 15.000, con un risparmio forse di circa 2.000 euro l’anno).

Difficile pensare che uno sconticino del genere possa essere sufficiente a programmare un figlio, sicuramente più “costoso”, come sa ogni madre e ogni padre.

Ma a chi sarebbe rivolta questa misura? Evidentemente a chi un reddito di una qualche consistenza ce l’ha, sia perché lavora, sia perché può mettere a valore qualche proprietà. Insomma, la classe media e quella benestante.

Resterebbero fuori tutti gli altri: occupati a basso reddito, disoccupati (neet), precari, in nero, incapienti, ecc. La stragrande maggioranza assoluta tra quanti sono in età “fertile”.

Considerando la misura dal punto di vista puramente numerico, comunque, ed anche se l’idea avesse incredibilmente successo, il “lodo Giorgetti” porterebbe un incremento delle nascite estremamente basso, assolutamente insufficiente a coprire il gap con le generazioni precedenti.

Ricordiamo sempre che nel 2022 sono nati meno di 400.000 bambini, a metà anni ‘60 erano oltre un milione.

Insomma, l’unico lato positivo del “lodo Giorgetti” sta nel riconoscimento indiretto – negato invece in ogni talk show – che le condizioni economiche sono decisive nel consentire, oppure nello sconsigliare, di mettere al mondo un figlio.

Un po’ pochino, no?

La “pensata” di Meloni

Onestamente sgangherata, invece, l’ideuzza buttata lì dalla presidente del consiglio, nel mezzo di una dichiarazione volante finalizzata a giustificare le strette emergenzialiste contro i migranti.

“Io penso che la prima soluzione a cui bisogna lavorare è il lavoro femminile. Credo che prima di arrivare al tema immigrazione, per esempio, sulla possibilità di coinvolgere molte più donne nel mercato del lavoro. Poi c’è il tema di incentivare la natalità, queste sono le priorità su cui lavorare”.

“È oggettivo – ha aggiunto – che noi in Italia abbiamo un problema di tenuta del nostro sistema economico e sociale dato dal fatto che per troppi anni non abbiamo investito sulla natalità e sulla demografia”.

“Il modo sul quale lavora il governo non è risolverlo con i migranti ma risolverlo con quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile, perché alzando i livelli del lavoro femminile e portandoli alla media europea già i nostri dati cambierebbero molto, e lavorando sulla demografia e, quindi, sull’incentivazione della possibilità da parte delle famiglie di mettere al mondo dei figli”.

Come si vede, di concreto non c’è assolutamente nulla. Se anche tutte le donne attualmente disoccupate venissero immediatamente inserite al lavoro al posto di migranti (e come? con delle mobilitazioni militari di massa? con un ukaze presidenziale?) resterebbe irrisolto il problema – su cui pure Giorgia Meloni straparla a sproposito – di “allineare le competenze” alle esigenze delle imprese, che dichiarano di non trovare facilmente quel che a loro serve.

Le due questioni sono infatti chiaramente distinte.

La gran massa degli immigrati è occupata in mansioni che richiedono in prevalenza resistenza fisica ma non troppe “competenze” (nei campi, nella logistica, nella ristorazione, ecc.). E mettere al loro posto un “esercito” di donne non sarebbe probabilmente sufficiente; né incontrerebbe, pensiamo di poter dire, il “consenso degli imprenditori”. Non c’è infatti alcuna possibilità concreta che le “competenze” di una massa generica di donne siano proprio del tipo per cui le imprese hanno selezionato lavoratori immigrati.

Ma, quand’anche fosse possibile, non si capisce in base a quale ragionamento quelle donne-faticatrici dovrebbe sentirsi “incentivate” a fare figli che finora hanno evitato di fare. Avrebbero certamente un po’ di reddito in più (non molto, come riferisce ogni inchiesta sui lavoratori migranti), ma le condizioni del mercato del lavoro in quei settori garantiscono che ogni eventuale maternità si tradurrebbe all’istante in licenziamento...

In ogni caso, i processi demografici che pure dovessero per miracolo derivare da questa chiamata alle “braccia femminili per la patria” avrebbero tempi di sviluppo decisamente lunghi (una generazione, ossia venti anni, se non parecchi di più). E dunque sarebbero senza effetti concreti per gli anni a venire...

Dunque la “pensata” di Meloni non vale un fico secco. È propaganda spicciola, buona per tenere occupate redazioni servili, accompagnata dalle solite genuflessioni agli imprenditori – il governo sarebbe “al lavoro per creare un ecosistema favorevole alle imprese, con tasse giuste, giustizia e burocrazia al servizio dei cittadini. La prima di queste riforme è già sul tavolo: una delega con cui ci poniamo l’obiettivo di abbassare la pressione fiscale per le imprese” (non sanno pensare altro...) – che però potrebbero trovare un po’ troppo vacue le idee meloniane.

Il problema vero: occupazione, salario, servizi

In definitiva, messi alle strette dalla domanda che viene dal mondo imprenditoriale e dalla stabilità di lungo periodo della spesa pubblica, entrambi questi fantasiosi esponenti di un governo stolido perché reazionario arrivano ad ammettere – controvoglia – che le condizioni di vita hanno un peso negativo rilevante sulle possibilità di riproduzione. Vanificando così la loro stessa propaganda (“i giovani che non hanno voglia di prendersi responsabilità”) e quella delle imprese (“non troviamo dipendenti per colpa del reddito di cittadinanza [580 euro, al massimo]).

Ma non ne vogliono trarre le conclusioni necessarie.

Nel mondo contemporaneo i figli sono diventati un costo elevato, anziché una “ricchezza potenziale” (il proletariato si distingueva, appunto, per avere come unica ricchezza “i figli”). Anzi, un costo sempre più elevato quanto più lo Stato “si ritira”, chiudendo asili di infanzia, tagliando la sanità, riducendo le possibilità di difesa dei lavoratori dipendenti (quante donne dichiarano di aver rinunciato a fare figli per la certezza, altrimenti, di perdere il lavoro?).

Dunque le donne e le famiglie possono “programmare” una decisione del genere, e magari anche più di una volta, soltanto se:

– l’occupazione in generale viene incrementata anche ricorrendo all’iniziativa “pubblica” (è curioso che si possa addebitare allo Stato i costi della “detrazione fiscale”, o addirittura il “60% del salario di un giovane nuovo assunto”, ma non quelli per la creazione di nuovi posti di pubblica utilità, o addirittura direttamente produttivi di nuova ricchezza);

– i salari pagati dalle imprese sono adeguati a consentire il mantenimento di se stessi e dei figli (attualmente la situazione è che una famiglia con due salari “regolari” fa fatica ad arrivare a fine mese anche senza figli);

– i servizi sociali (asili, sanità pediatrica, tutela delle madri sul lavoro, ecc.) vengono potenziati, anziché distrutti come fatto dai governi degli ultimi 30 anni (Meloni e Giorgetti erano già stati ministri prima di questa tornata, giusto?).

Inutile dire che il governo Meloni, come quello Draghi e tutti gli altri, sta seguendo la via completamente opposta, E che, dunque, stia ormai quasi consapevolmente perseguendo l’obiettivo dell’estinzione. Altro che “sostituzione etnica”...

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