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26/04/2023

“This is not a drill”. Reportage dal concerto di Roger Waters a Bologna

È stato un motivo piuttosto singolare ad aver portato Roger Waters a suonare alla Unipol Arena di Bologna il 21 aprile 2023. Nella stessa data era prevista una tappa del suo tuor mondiale a Cracovia, in Polonia, che è stata però cancellata per via delle posizioni pacifiste del musicista inglese fondatore dei Pink Floyd, profondamente sgradite al governo guerrafondaio di Varsavia.

Che non sarebbe stato possibile districare l’arte dalla politica, quindi, lo si è capito dal momento in cui si era sparsa la voce dell’evento, e come si poteva immaginare di conseguenza non è stata solo la musica ad averlo reso memorabile.

Il palcoscenico scelto per i concerti del tour occupa il centro dell’arena, con il pubblico disposto tutto intorno. Quattro strette passerelle si gettano nel parterre, per ospitare le occasionali escursioni dei solisti e di Waters.

A parte una raffica di mitra contro gli spalti, sparata a salve da Waters durante In the flesh, travestito per l’occasione da Pink-dittatore del film The Wall, i musicisti hanno onorato il grandioso repertorio in maniera molto composta, senza darsi alle tipiche coreografie incandescenti delle rockstar (scivolate, salti e capelli tirati su e giù...), mostrando anzi una notevolissima intesa nonostante una disposizione sul palco molto libera – d’altronde lo spettacolo, in senso letterale, si svolgeva prevalentemente al di sopra di loro.

Un sistema di schermi sovrastante il palco ha infatti costantemente proiettato una complessa sequenza di immagini e video intervallati da riprese in diretta dei musicisti. Una martellante concatenazione di messaggi che si è intrecciata ed ha amplificato il contenuto lirico dei brani, soffermandosi soprattutto in accuse e demistificazioni contro la narrazione dominante delle oligarchie occidentali riguardo molti temi.

Si è detto che sono diritti umani di pari dignità quelli che rivendicano i palestinesi, gli yemeniti, le popolazioni indigene, i gay, i trans...

Che tutti i presidenti USA da Reagan in poi sono responsabili di orrendi crimini di guerra, e che sono quindi criminali di guerra allo stesso modo, senza che essere democratici piuttosto che repubblicani (o aver vinto il Nobel) li assolva.

Che gli omicidi commessi dalle forze di polizia, tanto a sfondo razziale/etnico quanto ai danni di oppositori politici, sono a tutti gli effetti omicidi politici, anche se a commetterli sono i difensori delle cosiddette democrazie.

Ma forse su tutti il passaggio che è emerso maggiormente è stato un altro.

Parliamo dell’esecuzione di Sheep, brano del 1977 contenuto in Animals, durante la quale una mega-pecora gonfiabile è stata fatta volare sopra le teste delle persone – “mimando” l’altro animale-simbolo presente sulla copertina del disco, il maiale, del quale un’altra versione gonfiabile si è presentata durante il concerto a rappresentare la cupidigia e il disinteresse dei potenti (il maiale recava scritto su di sé “Fuck the poor”).

Fra le sequenze proiettate ce n’è una in cui le pecore (che saremmo noi) si schierano, indossano una tuta da arti marziali con scritto “resist” e cominciano a combattere. Così, i singoli frammenti paralleli emersi duranti i vari brani sono stati portati ad un punto di convergenza – un punto visibile e in fondo avvicinabile, sembra dirci Waters.

Un’opera d’arte, per quanto politica, non può costituire un discorso politico sistematico (come invece un trattato, un manifesto...), ma il concerto di Waters è riuscito a costruire una rappresentazione coerente, chiara e argomentata del bisogno di radicale cambiamento e di autentica democrazia che esprimono ampie fasce di mondo – anche qui in Italia, a giudicare dagli apprezzamenti del pubblico.

Ma ha soprattutto espresso che la sola sintesi possibile di tutte le istanze di democrazia radicale è quella che può trovarsi nel conflitto, inteso come lotta di popolo e di popoli oppressi contro le oligarchie capitaliste – e che il primo passo oggi deve essere, come detto a voce dallo stesso Waters, fermare la guerra.

Tutto il concerto si è svolto in un’atmosfera da cui filtrava l’asprezza del clima creatosi negli ultimi tempi attorno a questa tournée e a Waters. Non sarà sfuggito agli amanti dei Pink Floyd presenti a Bologna che la parola “Pink Floyd” è stata pronunciata solo due volte da Waters durante tutto il concerto.

All’inizio: “se vi piacciono i Pink Floyd ma non le mie posizioni politiche, andate a farvi fottere al bar“. E alla fine, quando ha introdotto Two suns in the sunset tratta da The final cut, l’ultimo disco dei Pink Floyd con Waters e non certo il più amato dai fan – mentre invece un capolavoro come Have a cigar è stato genericamente introdotto come una canzone scritta “...quando suonavo con un’altra rock band“.

Ad aver complicato la sua frattura dai Pink Floyd, esacerbata da anni di contenziosi e reciproco isolamento, è sicuramente subentrato negli ultimi mesi anche (di nuovo) il fattore politico, con ulteriori accuse di “antisemitismo” che sono venute niente meno che dalla Polly Samson, moglie del chitarrista dei Pink Floyd David Gilmour – accuse alle quali ha risposto con un messaggio molto chiaro trasmesso sugli schermi: “resist anti-semitism“.

Per il resto, il racconto degli anni nei Pink Floyd da parte di Waters si è esclusivamente fermato sul suo rapporto con Syd Barrett – il ricordo della sua presenza, il dolore per la sua assenza.

Il passaggio più toccante è stato sicuramente quello conclusivo. Fra le dediche dell’ultimo brano suonato da Waters c’è stata quella al fratello maggiore John, scomparso un anno fa – una figura molto importante nella sua vita.

Il padre di Roger e John, Eric Fletcher, morì nel 1944 nelle operazioni militari seguenti lo sbarco di Anzio, quando Roger aveva solo pochi mesi. L’assenza della figura paterna strappatagli dalla guerra mondiale ha fortemente segnato la vita di Waters, come descritto in diversi brani.

Amore, famiglia, dolore, fragilità, morte, arte, politica, guerra, pace... alla fine di tutto, guardando il contesto, gli articoli usciti sui giornali, guardando le stesse affermazioni di Waters, è chiaro che questo è stato un “concerto politico”, e inteso da tutti come tale, ma in un contesto in cui è il confine di ciò che è politico ad essersi dilatato fino a toccare tutto ciò che è più profondamente personale. Ironia della storia, in questa fase di politicizzazione e radicalizzazione delle contraddizioni è il rock di un arzillo ottantenne a rivelarsi avanguardia.

Si sgretola il vecchio mondo, dominato con violenza, sopraffazione e devastazione dalle potenze occidentali, e se ne apre uno nuovo, in cui nuovi equilibri, potenze e alleanze reclamano i propri spazi e in cui comincia a delinearsi una nuova avanguardia progressista su scala continentale: l’America Latina, che Waters non ha mancato di omaggiare proiettando durante i brani di The dark side of the moon la Whipala, la bandiera a scacchi rappresentante i nativi.

Un mondo nuovo che è già qui, che nasce avvolto nelle spire di piombo di una guerra apparentemente destinata a non spegnersi che con brevi tregue e che segna la profondissima linea di demarcazione fra le opzioni e i nuovi percorsi politici che la società dovrà intraprendere.

Nuovo mondo e nuova politica, staremo a vedere come, vorranno dire nuova arte, nuova musica. Roger Waters lascia la staffetta agli artisti che verranno, anche loro sarà il compito di interpretare il nuovo mondo; nostro compito sarà quello di organizzarci e creare le condizioni perché questi siano testimoni del bisogno di pace, giustizia ed emancipazione che sempre più spesso vediamo esprimersi.

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