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28/04/2023

Deglobalizzazione e competizione asimmetrica

di Guido Salerno Aletta

Era stato immaginato un mondo ideale: un Occidente prospero, sempre più deindustrializzato, terziarizzato e finanziarizzato, avrebbe comprato a condizioni convenienti la manifattura prodotta nei Paesi del Terzo Mondo, Cina in testa, e dell'Est europeo ex-comunista. Se i loro costi del lavoro infimi e le inesistenti tutele sindacali spiazzavano le produzioni occidentali, causando fallimenti ed imponendo la delocalizzazione, l'Occidente avrebbe comunque spadroneggiato, estraendo profitti, rendite ed interessi attraverso gli investimenti diretti, l'indebitamento delle imprese e delle popolazioni, l'intermediazione commerciale e finanziaria.

Al dunque, il verso dell'operazione si è rovesciato: la deindustrializzazione dell'Occidente è stata irreversibile, ma a suo danno. La penetrazione finanziaria si è scontrata contro un muro invalicabile: i profitti, gli interessi e le rendite rimanevano appannaggio del sistema di potere locale. Come in Russia, d'altra parte, dove gli oligarchi si sono impadroniti di tutto.

La grande crisi americana del 2008 e quella dell'Eurozona del 2010-2012 hanno indotto un ripensamento tardivo: non si può vivere facendo continuamente debiti. Il benessere era fondato sui consumi pagati con le carte di credito revolving e sulle case comprate con i mutui che coprivano il 100% del prezzo d'acquisto.

Un quindicennio di politiche monetarie eccezionalmente accomodanti in Occidente, tra Fed, Bce e BoJ, con i tassi a zero o negativi e l'immissione di moneta senza sosta, ha dato la illusione che il problema dell'economia reale fosse risolto: i debitori avevano avuto tregua, ma i soldi erano stati tutti investiti in azioni già in circolazione o in iniziative imprenditoriali che non creavano né nuova occupazione né reddito. Si investiva su "idee di business innovativo", ipotesi tanto promettenti quanto inconcludenti.

La guerra in Ucraina, con l'invasione da parte della Russia, ha rotto l'incantesimo di un mondo senza frontiere. Ma prima, già ai tempi di Trump, la Cina era stata messa nel mirino: non poteva solo vendere all'America, arricchendosi di continuo. I dazi contro la Cina e le sanzioni contro la Russia hanno fatto cadere l'illusione di un mondo globalizzato, senza frontiere, dove i prezzi delle merci sono uguali dappertutto mentre i costi si differenziano solo per i salari e le tasse da pagare.

Gli Usa hanno ampie risorse energetiche, soprattutto il gas di scisto, ma ad un costo elevato. Sono un grande esportatore, tra i più grandi al mondo, sia nell'agricoltura che dall'allevamento di animali da carne. L'Europa non ha niente di tutto questo: per secoli ha occupato colonie in giro per il mondo, per acquisire risorse naturali di ogni genere.

I dazi alla Cina e le sanzioni alla Russia hanno creato una concorrenza asimmetrica: l'Europa ed il Giappone, ancor più dell'America, pagano care le importazioni, di tutti i prodotti, non solo quelli energetici. I prezzi sono aumentati in modo ragguardevole perché gli euro, gli yen ed i dollari si sono svalutati agli occhi degli esportatori che pretendono prezzi più elevati per le loro merci.

Le Banche centrali ora tirano il freno, mentre gli Stati non possono spendere e spandere all'infinito, con i debiti pubblici già cresciuti in modo considerevole, ma inutile: perché mentre si erogano indispensabili sostegni a chi non ha lavoro, il sistema finanziario occidentale ha continuato ad inseguire il miraggio dei guadagni virtuali: senza economia reale, che dà vera occupazione e salari, non si va da nessuna parte.

Questo è il problema irrisolto.

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