Il bacino del Rio delle Amazzoni è la più grande foresta pluviale del mondo, più esteso dell’insieme delle due più grandi foreste pluviali che vengono immediatamente dopo, il bacino del Congo e quello dell’Indonesia, e pari all’incirca agli Stati Uniti.
La sua superficie copre il 40% del Sud America, comprese parti del Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador, Colombia, Venezuela, Guyana Suriname e Guyana francese.
Secondo il World Wildlife Fund (WWF): “L’Amazzonia è di vitale importanza perché le persone in tutto il mondo, così come a livello locale, dipendono dalla foresta pluviale. Non solo per cibo, acqua, legno e medicine, ma per contribuire alla stabilizzazione del clima: circa 76 miliardi di tonnellate di carbonio sono immagazzinate nella foresta pluviale amazzonica.
Gli alberi in Amazzonia rilasciano nell’atmosfera fino a 20 miliardi di tonnellate di acqua al giorno, svolgendo un ruolo fondamentale nei cicli globali e regionali del carbonio e dell’acqua.”
Questo studio quarantennale collega la deforestazione amazzonica alla riduzione delle nevi tibetane e alla perdita di ghiaccio antartico. Entrambi comportano rispettivamente gravi conseguenze, in termini di deperimento dei serbatoi idrici della natura per milioni di persone mentre il livello del mare aumenta ovunque.
Lo studio ha analizzato 40 anni di temperature dell’aria, concludendo che il clima del pianeta è una funzione di diverse forze disparate che interagiscono in modo tale che un nuovo stato planetario ostile alla vita potrebbe essere in corso.
Lo studio ha analizzato le temperature orarie in prossimità della superficie registrate dal European Center for Medium-Range Weather Forecast su una griglia globale di 65.000 località per un ciclo di 40 anni.
In particolare, lo studio ha dimostrato come le variazioni di temperatura dell’aria in una regione si sono propagate attraverso il sistema climatico per influenzare le temperature in altre parti del globo.
Per esempio: “È probabile che la deforestazione in Amazzonia influenzi l’altopiano tibetano attraverso un complicato percorso di 20.000 chilometri determinato da modelli di circolazione atmosferica e oceanica. Lo studio suggerisce che un’Amazzonia sana e funzionante è cruciale non solo per il clima regionale in Brasile, ma per l’intero sistema terrestre.” (Fonte: Claire Asher, Amazon Deforestation Linked to Reduced Tibetan Snows, Antarctic Ice Loss: Study, Mongabay Series, 8 marzo 2023).
Hanno identificato potenziali punti di non ritorno dei principali ecosistemi planetari che potrebbero innescarsi uno dopo l’altro, modificando così la vita in una quantità di modi indesiderabili. Il catalizzatore sembra essere la foresta pluviale amazzonica.
Secondo Jingfang Fan, scienziato del sistema terrestre presso la Beijing Normal University e il Potsdam Institute, diversi elementi di ribaltamento del pianeta potrebbero innescarsi uno dopo l’altro in una massiccia cascata di eventi incontrollabili, cioè il bioma della foresta pluviale amazzonica, le calotte glaciali antartiche est e ovest, il permafrost artico e la grande barriera corallina.
Secondo Teng Lui, Dottore di Ricerca della Beijing Normal University: “Questa è la prima volta che la teoria (matematica) delle reti complesse è stata applicata nel contesto di punti di non ritorno... Abbiamo scoperto che la foresta pluviale amazzonica mostra una significativa connessione con altri elementi di ribaltamento” (ibidem).
Lo studio ha identificato una “forte correlazione” tra le anomalie di temperatura in Amazzonia e l’altopiano tibetano, a circa 15.000 chilometri di distanza. I dati confermano la coincidenza di temperature anomale sia in Amazzonia che in Tibet negli ultimi 40 anni.
Inoltre, lo studio ha identificato la stessa relazione tra l’Amazzonia e l’Antartide. (Fonte: TC Liu, et al, Teleconnections Among Tipping Elements in the Earth System, Nature Climate Change, 2023)
“Le connessioni descrivono relazioni remote tra componenti del complesso sistema climatico e riflettono il trasporto di energia o materie su scala globale. Le distanze del grande cerchio delle connessioni sono in genere migliaia di chilometri“ (ibidem).
In effetti questo studio conferma studi precedenti che suggeriscono che un ecosistema sano, o viceversa malsano, in Amazzonia non soltanto è di impatto per la regione, ma in pari misura per l’intero sistema terrestre.
Secondo il World Wildlife Fund, è molto preoccupante che a partire dal 2022 il 35% della foresta pluviale amazzonica sia totalmente perso o altamente degradato. Sulla base di questo fatto dovrebbe crescere la richiesta di uno sforzo cooperativo a livello mondiale per adottare tutte le misure correttive necessarie, compresa la cessazione della deforestazione da parte dell’uomo.
Un altro studio: Amazon Against the Clock: A Regional Assessment on Where and How to Protect 80% by 2025 pubblicato dalla Amazon Network of Georeferenced Socio-Environmental Information, ancor più inclusivo dello studio del WWF, sostiene che il 26% dell’intero territorio amazzonico mostra prove di deforestazione e degrado di cui il 20% è classificato come irreversibile e il 6% altamente degradato.
Secondo lo studio: “Dei nove paesi che compongono il bacino amazzonico, il Brasile e la Bolivia presentano le quantità maggiori di distruzione e di conseguenza, l’avanzamento della savana è già in atto in entrambi i paesi”.
“Nel numero di febbraio 2020 di Science Advances, il professor Thomas Lovely, membro senior della United Nations Foundation, e Carlos Norbre, esperto climatico dell’Institute of Higher Studies dell’Università di San Paolo, hanno segnalato che la perdita tra il 20 e il 25% della foresta pluviale potrebbe segnare il punto di non ritorno per l’Amazzonia, inaugurando un’irreversibile transizione a un ecosistema più secco tipico appunto della savana.” (Fonte: The Amazon Approaches Its Tipping Point, The Nature Conservancy, 20 agosto 2020). Il Dr. Thomas Lovejoy (1941-2021) e il Dr. Carlos Nobre sono stati a lungo considerati i maggiori esperti mondiali sull’Amazzonia.
“Ci sono già alcune soluzioni implementate in base al principio che la natura e le persone possono prosperare insieme. Ad esempio, a São Félix do Xingú nello Stato brasiliano del Pará, TNC (The Nature Conservancy, un’organizzazione ambientalista statunitense, N.d.R), sostiene un progetto chiamato Cacau Mais Sustentável.
Uno dei suoi obiettivi è aiutare gli agricoltori locali ad adottare pratiche più sostenibili, come piantare alberi di cacao autoctoni in terreni recuperati dal degrado per evitare ulteriori deforestazioni. Tali sistemi agroforestali comportano la piantumazione di colture e alberi autoctoni fianco a fianco, per riforestare le terre degradate”. (ibidem)
Nel frattempo, in netto contrasto con le forze della natura, la massiccia foresta pluviale sta subendo un’enorme commercializzazione: 600 progetti infrastrutturali sui fiumi, 20 nuove autostrade già pianificate, 400 dighe già operative o in fase di pianificazione e operazioni minerarie su larga scala. (Fonte: WWF)
Secondo il Living Amazon Report 2022 pubblicazione del World Wildlife Fund, 8 novembre 2022: “La situazione ha iniziato ad evidenziare che il punto di non ritorno è sempre più vicino: (1) le stagioni stanno cambiando; (2) le acque superficiali si stanno perdendo; (3) i fiumi stanno diventando sempre più scollegati e inquinati e (4) le foreste subiscono un’immensa pressione da ondate sempre più devastanti di deforestazione e incendi”.
Secondo il portale Statista.com: “Nel 2022, più di 145.000 focolai di incendi sono stati segnalati nella regione legale dell’Amazzonia in Brasile”. Di norma, gli incendi non si verificano naturalmente nelle foreste pluviali umide e bagnate.
Gli incendi e l’impronta umana che sono causa di tutto ciò stanno sfidando il 30% delle specie più preziose del mondo, sconvolgendone l’equilibrio naturale e degradando arbitrariamente la più grande foresta del pianeta.
Traduzione dall’inglese di Filomena Santoro. Revisione di Daniela Bezzi.
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