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14/08/2024

Crisi finanziaria, Handelsblatt intervista El-Erian “l’atteggiamento di Wall Street è sconvolgente”

Quando nel mondo delle borse si percepisce l’arrivo di crisi e di guerre finanziarie, Mohamed El-Erian è una delle persone i cui pareri nel mainstream sono tra i più richiesti

Mohamed El-Erian, economista e imprenditore egiziano-americano, è una figura di spicco nel mondo della finanza globale. Nato a New York nel 1958, ha studiato economia al Queens’ College di Cambridge, dove oggi ricopre la prestigiosa carica di Presidente. El-Erian è noto soprattutto per il suo ruolo di CEO e co-CIO di PIMCO, uno dei più grandi gestori di investimenti al mondo, dal 2007 al 2014. Durante il suo mandato è riuscito a guidare l’azienda attraverso la crisi finanziaria globale esplosa con Lehman Brothers. Oltre alla sua esperienza in PIMCO, El-Erian ha ricoperto importanti incarichi nel mondo accademico e politico. El-Erian è anche un prolifico scrittore e commentatore, con una vasta produzione di articoli e libri su temi economici e finanziari. Le sue analisi acute e le sue previsioni spesso controcorrente lo hanno reso una voce autorevole e rispettata nel dibattito pubblico.

Pubblichiamo la traduzione della sua recente intervista concessa alla Handelsblatt, il principale quotidiano economico-finanziario tedesco. Come dire, quando c’è aria di crisi capita che nel capitalismo si discuta al massimo livello. L’intervista solleva interrogativi sul ruolo delle banche centrali e sulla loro capacità di gestire le crisi finanziarie. Le decisioni della Fed e della banca centrale giapponese vengono messe in discussione, evidenziando la complessità del loro compito e il fatto che siano gli investitori (leggi i fondi di rischio) a fare la politica monetaria. El-Erian traccia anche lo scenario di una possibile crisi economico-finanziaria americana, che toccherebbe subito bassi salari e potere d’acquisto delle classi subalterne con effetti a catena che abbiamo già visto oltre quindici anni fa. Nonostante che El-Erian valuti al 35% la possibilità di una recessione americana il giudizio sulla stabilità dei sistemi economico-finanziari è netta: rispetto a Cina ed Europa, gli USA sono realmente instabili.

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“L’atteggiamento di Wall Street è sconvolgente”, Handelsblatt intervista Mohamed El-Erian

tratto da Handelsblatt, 10 agosto 2024, a cura di Astrid Dörner, Jens Münchrath. Tutti i diritti di autori ed editore.

Ogni volta che i mercati finanziari globali diventano turbolenti, Mohamed El-Erian è chiamato in causa. L’esperto di mercati finanziari comprende meglio di molti altri analisti le interazioni tra azioni, obbligazioni e politica monetaria, ed è considerato a livello globale un vero interprete del mercato. Gli sviluppi degli ultimi giorni irritano l’economista che definisce i movimenti dei prezzi sul mercato obbligazionario “fuori dal comune”. Le fluttuazioni del Vix, il barometro della paura di Wall Street, addirittura “non si riescono a descrivere nemmeno usando la parola ‘selvaggio’”.

El-Erian guarda con grande scetticismo la gestione della crisi da parte della Federal Reserve statunitense – e in generale le strategie di politica economica da parte dei governi europei e americani.

Signor El-Erian, né la guerra in Ucraina, né il conflitto in Medio Oriente, né il ritorno dell’inflazione sono riusciti a impressionare i mercati azionari. Ma ora sono bastati alcuni dati peggiori sul mercato del lavoro statunitense per innescare un terremoto in borsa. Questo l’ha sorpresa?

Le grandi oscillazioni dei prezzi in quanto tali non mi hanno sorpreso. Dopotutto, ultimamente ci sono stati grandi dubbi sul fatto che i tre principali motori dei mercati azionari possano continuare a esistere. Il primo dubbio, la posizione eccezionale dell’economia statunitense e la questione se possa continuare a crescere in questo modo. Il secondo, il dubbio che la Federal Reserve statunitense farà la cosa giusta in caso di emergenza. E in terzo luogo, la preoccupazione se la rivoluzione dell’intelligenza artificiale (IA) giustifichi le elevate valutazioni dei mercati. Questi dubbi, tuttavia, non esistono solo dallo scorso venerdì.

Qui si sono sovrapposti diversi fattori: i dati del mercato del lavoro statunitense sono stati più deboli del previsto; la Fed aveva rinunciato due giorni prima ad abbassare i tassi di interesse; si discute sempre più se le valutazioni dell’IA non siano in realtà segni di una bolla. Pertanto, la fine del sorprendente buon umore che ha caratterizzato i mercati ultimamente era prevedibile. Tuttavia, il modo in cui sono nate le turbolenze mi ha sorpreso.

In che modo?

Molti osservatori del mercato erano d’accordo mercoledì, il giorno della decisione della Fed, sul fatto che i tassi di interesse dovessero essere mantenuti costanti. Due giorni dopo, improvvisamente chiedono tagli di emergenza dei tassi di interesse tra due riunioni regolari della stessa Fed – non l’ho mai visto prima. È davvero spaventoso quanto sia volubile Wall Street.

L’anno scorso e anche all’inizio di quest’anno, l’economia statunitense ha sorpreso positivamente. Le prospettive sono peggiorate così tanto?

Gli analisti di Citigroup ritengono che gli Stati Uniti siano già in recessione. La vedo diversamente. A gennaio, ho stimato che la probabilità di una recessione negli Stati Uniti fosse del 35% e continuo a pensarla così.

Quali sarebbero le conseguenze se la più grande economia del mondo cadesse effettivamente in recessione?

In questo caso, la debolezza strutturale dei consumatori a basso reddito emergerebbe subito visto che hanno pochissimi risparmi, dipendono completamente dal loro lavoro. E se il mercato del lavoro crolla, la principale fonte di reddito scompare. In secondo luogo, le piccole e medie imprese che stanno ancora cercando di far fronte a un elevato debito si troveranno in difficoltà. Il mercato immobiliare e gli immobili commerciali continueranno a essere sotto pressione. Il rischio maggiore è che si verifichi una stretta creditizia. Rispetto alla Cina e all’Europa, gli Stati Uniti sono ancora un’oasi di instabilità.

I crolli dei mercati azionari globali esprimono la delusione che anche l'ultima grande economia che ha guidato il mondo possa fallire?

Certo, l’Europa – e soprattutto la Germania – sono deboli, e anche la Cina è un fattore di rischio. Se ora finisce anche l’ammirato eccezionalismo americano, cioè il fatto che gli Stati Uniti da soli hanno guidato l’economia mondiale, abbiamo un problema. Questo è ciò che i mercati stanno riflettendo in questo momento.

Vede il crollo dei mercati di venerdì e lunedì ancora come una sana correzione o come l’inizio di un crollo più grande?

Dal mio punto di vista, è stata una correzione necessaria, ma non è ancora finita. La buona notizia: i mercati funzionano, almeno per quanto possiamo giudicare in questo momento. Tutte le “Margin Call” sono andate a buon fine... [ndr, “Margin Call” funzione attiva su piattaforme di trading che comporta la chiusura automatica di una o più posizioni sul conto nel caso in cui queste siano fortemente in perdita]

Queste sono garanzie che gli investitori devono fornire quando i mercati vanno giù e i titoli che hanno depositato non valgono più abbastanza per coprire i prestiti...

Un crash di solito porta con sé interruzioni del mercato. E non abbiamo visto interruzioni del mercato – almeno non ancora. Secondo me, siamo solo all’inizio di un processo. Ci sono ancora molte persone che si stanno leccando le ferite perché sono state sorprese dalle turbolenze del mercato. E la grande incognita è il Giappone.

Il cosiddetto carry trade è stato ritenuto responsabile di gran parte delle turbolenze. Gli investitori volevano sfruttare la differenza tra i bassi tassi di interesse in Giappone e l’alto tasso di interesse negli Stati Uniti per operazioni redditizie, ma questo trade non è più così facile.

Se si hanno tassi di interesse zero per 30 anni e poi improvvisamente si deve cambiare rotta, questo diventa un grosso problema. Questo è sicuramente qualcosa da tenere d’occhio. Non credo che il prossimo crash arriverà da lì anche se la situazione va tenuta sotto osservazione.

Il Giappone è stato recentemente il favorito del mercato perché il paese sembrava uscire da una crisi economica decennale. Ora c’è stata la più grande svendita in borsa dal 1987. La banca centrale giapponese ha segnalato mercoledì in modo insolitamente chiaro che non intende aumentare ulteriormente i tassi di interesse per il momento, al fine di non mettere ulteriormente a rischio la stabilità dei mercati finanziari. È stata una mossa strategicamente intelligente?

No. La banca centrale dovrebbe effettivamente dare agli investitori la possibilità di chiudere i carry trade rimanenti in modo ordinato. Invece, li ha incoraggiati a piazzare nuovi carry trade. Questo alla fine si scontrerà con le esigenze economiche del paese. È tempo che le banche centrali globali pongano fine all’influenza de facto degli investitori sulla politica monetaria.

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