Il primo tema è quello che riguarda le ragioni della crisi del ciclo progressista apertosi in America Latina alla fine del Novecento. Ragioni sia di carattere politico che economico.
Tra queste ultime il calo dei prezzi delle materie prime sul mercato internazionale che ha gravemente danneggiato i Paesi la cui economia dipende in modo preponderante dalla loro esportazione (prodotti agricoli, petrolio, gas naturale, rame, litio ecc.). Clamoroso il crollo dei prezzi del petrolio nel 2008 che nel giro di 5 mesi sono passati da 147 a 32 dollari al barile. Queste dinamiche hanno reso molto difficoltosa la continuazione di quei programmi sociali che nei primi anni 2000 avevano permesso di contrastare efficacemente le disuguaglianze e la povertà: solo per citare alcuni dati, dal 1990 al 2017 l’aspettativa di vita dei boliviani è passata da 56 a 71 anni. In Venezuela il tasso di povertà è passato dal 48,6% del 1998 al 26,5% del 2011, in Brasile tra il 1992 e il 2013 il numero di persone che soffrono la fame è sceso di quasi 10 milioni di unità.
Tra le ragioni politiche, sicuramente la classe dirigente dell’area progressista ha dimostrato in molti casi la propria inadeguatezza, fino ad arrivare a episodi di clamoroso trasformismo (come nel caso di Lenin Moreno in Ecuador), o di involuzione autoritaria e clientelare in alcune realtà nate da esperienze popolari o rivoluzionarie.
Ma hanno un ruolo fondamentale le strategie di destabilizzazione orchestrate dall’esterno, oggi molto più articolate rispetto al golpismo tradizionale che negli anni ‘70 aveva portato tutto il cono sud del continente americano sotto il tallone delle dittature militari (sponsorizzate dagli USA -ndR).
Nel 2009 in Honduras veniva inaugurata la strategia dei cosiddetti “golpe blandi”, che prevede la destituzione di presidenti regolarmente eletti da parte di settori della magistratura, delle istituzioni e delle Forze Armate sulla base di accuse costruite ad arte. Questa strategia si è ripetuta in Paraguay nel 2012 con il presidente Lugo e e in Brasile nel 2016 a danno di Dilma Rousseff.
Nel corso del tempo questa strategia si è ulteriormente affinata, articolandosi su una rete di servizi di intelligence, agenzie di comunicazione e di consulenza che lanciano nuovi candidati neoliberisti, ONG e media (tradizionali e social network) finanziati da governi e multimilionari stranieri in grado di influenzare pesantemente l’opinione pubblica internazionale tramite la creazione e la diffusione di notizie false.
Non è superfluo sottolineare il ruolo centrale che hanno in questa rete imprese e agenzie israeliane, a supporto di forze politiche e personaggi che promettono supporto incondizionato all’apartheid sionista.
In caso di elezioni in un Paese governato dalla sinistra, come nel 2019 in Bolivia, il “format” prevede la creazione di centinaia di migliaia di account falsi, la diffusione di accuse di corruzione totalmente infondate e di risultati di presunti sondaggi che danno la vittoria ai candidati neoliberisti, poi attacchi hacker ai sistemi di gestione del voto che dovrebbero dimostrare l’inaffidabilità dei risultati ufficiali, la denuncia di presunti brogli e l’organizzazione di violente manifestazioni di protesta.
Tutto lascia pensare che nelle recenti elezioni in Venezuela si sia assistito ad una riproposizione di questo schema.
La posta in gioco come sempre è di carattere geopolitico ed economico: in questo momento il blocco atlantista è molto preoccupato per l’avvicinamento alla Cina e alla Russia di molti governi che non sono “sotto controllo”.
Per quanto riguarda gli enormi interessi economici, basta citare Elon Musk, il proprietario di Tesla e di X, oggi tra i più attivi sostenitori del neoliberismo estremo trumpiano, che mira per le sue auto elettriche alle immense riserve di litio di cui la Bolivia è il maggior produttore del mondo.
Negli anni il cosiddetto “latifondo mediatico”, cioè lo strapotere delle oligarchie sul terreno dei mezzi di comunicazione, si è ulteriormente rafforzato, aggiungendo alla tradizionale egemonia sui media generalisti anche una gestione estremamente efficace dei social network. A questa egemonia, in America Latina come in Europa, la sinistra non ha trovato al momento alcuna contromisura.
I personaggi della destra estrema che sono emersi negli ultimi anni, da Milei a Bolsonaro, da Bukele a Guaidò, dalla peruviana Dina Boluarte alla boliviana Yanine Añez, sono stati “costruiti” in questo modo. Oggi è possibile parlare di una nuova “internazionale reazionaria” che ha in Trump il proprio esponente di punta nella quale i confini tra neoliberismo estremo e tradizionale golpismo fascista sono sempre più sfumati. Per questo appare di estremo interesse anche una discussione su che cos’è il fascismo oggi e di conseguenza sull’attualità di una rinnovata militanza antifascista.
Non bisogna però pensare che ogni manifestazione di dissenso o di protesta nei Paesi governati dalla sinistra sia il frutto di complotti orchestrati dall’esterno: la crisi economica, la corruzione, la contrazione del welfare e la continuazione di politiche estrattiviste nel corso del tempo hanno provocato in molte realtà una forte riduzione di credibilità delle forze progressiste.
In Argentina la vittoria di Milei è certamente dovuta ad una crisi economica che appare senza fine e che ha spinto soprattutto le giovani generazioni a cercare un’alternativa in un personaggio che è riuscito ad accreditarsi come un “outsider” estraneo al sistema politico tradizionale.
Altrove, nonostante le enunciazioni introdotte in molte costituzioni sulla difesa dell’ambiente, molte terre abitate da popolazioni originarie continuano ad essere devastate e deforestate suscitando le proteste dei loro movimenti. Centinaia di ambientalisti vengono sequestrati e uccisi da bande paramilitari.
Per quanto la costruzione di un’alternativa possa essere faticosa e costosa e impatti contro fortissimi interessi di classe, in tempi di emergenza climatica l’abbandono dell’estrattivismo, dell’agrobusiness e degli allevamenti intensivi sono una priorità assoluta per tutto il pianeta.
Sull’agrobusiness citiamo un solo dato: in Argentina l’utilizzo di suolo per la coltivazione della soia (transgenica) è costato negli ultimi 30 anni circa 14 milioni di ettari di alberi del Chaco, il secondo ecosistema forestale più grande del Sud America dopo l’Amazzonia.
Un altro importante elemento di discussione che ci unisce alla realtà latinoamericana è quindi la necessità di contrastare l’ideologia dell’impossibile crescita indefinita e il negazionismo climatico.
Vi sono poi altre importanti componenti che in America Latina contribuiscono alla creazione di consenso a favore della destra autoritaria e neoliberista: la prima è l’enorme influenza delle sette pentecostali, che negli ultimi decenni hanno sottratto alla Chiesa cattolica decine di milioni di fedeli. Dagli anni ’60 ad oggi i pentecostali sono cresciuti in modo esponenziale in tutto il continente, si parla di circa 160 milioni di fedeli.
Le ragioni del loro radicamento risiedono nell’assenza di gerarchie religiose (ogni predicatore può creare intorno a sé una piccola Chiesa), alla proposta di una religiosità miracolistica che promette una vita diversa qui e ora e per certi versi si richiama alle tradizioni “magiche” delle religioni di provenienza africana, le enormi risorse economiche derivanti dall’imposizione della decima ai fedeli, l’uso spregiudicato dei media e la realizzazione di concrete attività di supporto ai più poveri.
E naturalmente supportano una visione fondamentalista della società che porta a vedere nell’estrema destra conservatrice il proprio punto di riferimento politico naturale. In molti casi le case madri di queste sette sono ubicate negli Stati Uniti e inviano enormi somme di denaro a queste “sorelle” latinoamericane.
La questione delle sette pentecostali è una delle ragioni fondamentali che hanno portato all’elezione di un papa latinoamericano, nel tentativo di rimediare alle conseguenze della distruzione della Teologia della Liberazione realizzata ai tempi di Karol Wojtyla, probabilmente uno dei fattori principali della migrazione di fedeli dalla Chiesa cattolica alle sette protestanti.
Un altro elemento che favorisce la destra autoritaria è la criminalità, endemica in molti Paesi, che si è rafforzata grazie alla tratta di esseri umani e al narcotraffico. Il tasso di omicidi per abitante vede ai primi posti a livello mondiale El Salvador, Honduras e Venezuela.
In questo senso va citato il “caso Bukele”, l’attuale presidente del Salvador che si definisce “Il dittatore più cool del mondo”. Bukele, personaggio che si è avvalso molto dei social media, si è dato come priorità la lotta alla criminalità organizzata e ha incarcerato più di 75mila persone su 6 milioni di abitanti. È riuscito a costruire una macchina propagandistica capillare che sfrutta notizie false, disinformazione, attacchi agli oppositori e profili falsi che ripetono il suo messaggio. Nelle elezioni 2024 si è riconfermato con l’83% di voti e 58 seggi su 60.
Come si vede, la realtà politica, sociale e culturale dell’America Latina continua ad essere strettamente legata alla nostra e molti sono i temi che rivestono un grande interesse anche per noi. Per questo siamo certi che molti, come i partecipanti al dibattito di Perignano, saranno interessati ad approfondire con noi questi temi nei prossimi mesi.
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