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25/08/2024

La Serbia continua ad essere a rischio sfinimento

Al di là degli aspetti contingenti, è ormai delineata e praticata da anni una strategia di affossamento e di sottomissione della dirigenza nazionale serba, non asservita ad interessi stranieri o ai diktat occidentali. La domanda che molti esperti ed osservatori internazionali indipendenti si pongono è: la Serbia riuscirà a mantenere un proprio governo che risponda prima di tutto agli interessi nazionali o la pressione salirà a livelli non più controllabili?

Questa è in sintesi la situazione odierna nel paese balcanico.

Maidan serbo?

Il vice primo ministro della Repubblica di Serbia, A. Vulin ha pubblicamente denunciato che l’opposizione nel paese sta preparando uno scenario “Maidan” in Serbia.

“...abbiamo fondate informazioni che sono in preparazione disordini pianificati e il tentativo di sovvertimento del Presidente Vucic e delle istituzioni statali. Ma tutti sappiano che abbiamo uno Stato forte e solido, e il presidente Vučić non è Yanukovich, non ha alcuna intenzione di scappare e di cedere il potere a farabutti. Hanno avuto le elezioni che chiedevano e hanno fallito. Hanno provato e sperato di arrivare al potere e non ci sono riusciti, quindi ora dicono: ok, non possiamo farlo alle elezioni, dobbiamo farlo per le strade. Credono che in questo paese siano alcuni stranieri a decidere chi andrà al potere. Questo perché hanno una cultura da servitori, credono che qui non dipenda nulla dai cittadini serbi, ma da qualche ambasciatore che li chiamerà e dirà: d’ora in poi il primo ministro sarai tu. Mosca ci ha avvertito della preparazione di un colpo di stato. Non c’è motivo di avere paura, ma abbiamo motivo di essere cauti e molto seri. Nel nostro Paese esiste un numero significativo di gruppi organizzati, interconnessi, che si preparano a proteste quotidiane, si preparano a provocare incidenti, fare caos, lanciare allarmi, diffondere voci, creare trambusto e confusione e cercheranno di sfruttare ogni occasione per potenziali conflitti. Lo schema già collaudato è che se questo sarà bloccato, verrà attuato lo scenario del Maidan, si costruiranno tende e blocchi, con la parola d’ordine ‘resteremo finché le richieste non saranno soddisfatte’. Hanno già preparato delle squadre che rimarranno in servizio tutta la notte. Dal lavoro che ho svolto in precedenza come capo della BIA (Sevizi Sicurezza serbi), di ministro degli Interni e della Difesa, so molto bene cosa fanno i servizi stranieri occidentali in questo paese e so molto bene con chi lavorano, e so che ogni volta che la Serbia ha l’opportunità di progredire, abbiamo proteste nelle strade, abbiamo persone che si preparano a mostrarci cos’è una ‘rivoluzione colorata’, abbiamo persone che stanno cercando di cambiare il governo con la forza. Circa le minacce di morte al presidente Vucic, i nostri servizi scopriranno chi si nasconde dietro l’ordine con cui si indicava di impiccare il presidente , è solo questione di tempo...”.
Continui arresti in Kosovo di serbi, con accuse datate 25 anni fa. Una precisa strategia pianificata di terrore, per spingere all’esodo la restante popolazione serba nella provincia e spezzare la Resistenza civile contro la pulizia etnica.

Ai primi di agosto altri cinque serbi sono stati arrestati con irruzioni violente nelle loro case, nel distretto di Kosovo Pomoravlje, come le altre centinaia di serbi arrestati in questi anni, anch’essi hanno finora vissuto pacificamente nelle loro comunità, senza precedenti di attività illegali. È particolarmente grave che gli arresti vengono effettuati senza ordinanze legali circostanziate, sulla base di elenchi segreti, il che indica ulteriormente l’arbitrarietà e la natura politica e terroristica di queste azioni. Lo sconforto e la percezione dell’isolamento in queste terre, fanno parte della strategia di discriminazione sistemica, legata alla costruzione forzata delle comunità ghetto, enclavi, come unico modo in cui è possibile sopravvivere per i serbi.

Gli ultimi arresti sono avvenuti il 3 agosto: Dragan Cvetkovic, Dragan Nicic, Milos Sosic e Slobodan Jevtic di Pasjane e Nenad Stojanovic di Bosce. La polizia ha fatto irruzione nelle loro case la mattina presto, puntando armi automatiche contro i membri delle famiglie. Gli arresti che sono, come sempre, motivati su accuse di presunti crimini commessi 25 anni fa durante il conflitto in Kosovo, dimostrano la situazione dello “stato di diritto” della provincia kosovara, in quanto queste persone, nei trascorsi decenni hanno vissuto pacificamente nel loro villaggio con le loro famiglie, rispettati da tutti i vicini di casa.

Anche la Chiesa ortodossa serba ha espresso profonda preoccupazione per i continui arresti di civili serbi con accuse inammissibili. La COS ha espresso piena solidarietà alle famiglie degli arrestati, inviando un messaggio di sostegno e di perseveranza: “... Tali atti di repressione non dovrebbero intimidirci, ma rafforzare la nostra determinazione a continuare a vivere nei nostri antichi focolari con dignità e pace...”. La stessa Chiesa serba è continuamente attaccata e minacciata, per recidere le radici millenarie dell’identità storica e spirituale dei serbi in KosMet.

“Questa non è libertà, questa non è vita!”, ha detto Vasilije Šošić durante la protesta a Pasjan. Suo figlio Miloš è stato arrestato con l’accusa di crimini di guerra e lui, di fronte a diverse migliaia di serbi, ha ripercorso il dramma dell’arresto di suo figlio e ha testimoniato con esempi personali, i rapporti tra serbi e albanesi. “...Quando mi sono alzato la mattina per vedere, c’era il cortile pieno, tutti armati fino ai denti, come se avessimo calpestato il mondo intero, come se mio figlio avesse fatto chissà cosa”, ha detto Vasilije.

L’arrestato Miloš Šošić, era stato uno dei primi serbi aggregati nella polizia del Kosovo, vi ha trascorso 23 anni con premi e decorazioni. Quando le forze speciali armate sono entrate nel cortile di casa sua, suo padre ha pensato che fosse stato ucciso e quando ha visto che lo conducevano via legato e piegato, pensò che Miloš avesse ucciso qualcuno. Mentre lo portavano via ha detto a suo padre che era accusato di crimini di guerra.

Dragan Cvetković un altro degli arrestati è disabile, la famiglia non intende vendere la terra e andarsene, un figlio è insegnante e l’altro prete. Ed è stato quest’ultimo, padre Jovan, a raccontare: “…All’alba del 3 agosto, poliziotti di Pristina sono entrati nelle nostre case, nelle nostre vite, nei nostri diritti, nella nostra libertà senza spiegazioni e con il chiaro intento di spaventarci. Per dirci che non apparteniamo a questo posto, che non vogliono vederci qui. Ma devo ribadire questo: non siamo spaventati, ma siamo incoraggiati... Mi appello a tutti coloro che hanno sofferto e ai santi, conosciuti e sconosciuti, che hanno testimoniato la loro fede e hanno amato questo Paese, sono sicuro che gli abitanti di Pasjana sopravvivranno anche a questo tormento e a questa ingiustizia”.

Dragan Ničić è un insegnante in pensione. Ha lavorato nei villaggi dove sono stati commessi i presunti crimini. È uno di quelli che, 35 anni fa, furono accusati di avvelenare i bambini albanesi con i noti e ingegnosi avvelenamenti monoetnici. Accuse poi cancellate, ha continuato a vivere nella sua casa in questi decenni.

Slobodan Jevtić, è un rimpatriato non vedente, che intendeva vivere lì con la sua famiglia e nella sua terra, nonostante che le autorità gli avevano spiegato i rischi che attendono i rimpatriati e il ritorno dei serbi.

Tra i cinque c’è anche Nenad Stojanović del villaggio Bosce vicino a Kosovska Kamenica.

Quando il folto gruppo di poliziotti ha fatto irruzione nella casa e ha messo i bambini e la loro madre in una stanza, una ragazza ha detto: “Questi non sono poliziotti, questi sono ladri, i poliziotti hanno delle facce…Qui ha un volto solo chi soffre e aspetta la liberazione e la libertà...”.

Il 6 agosto nel villaggio di Novake vicino a Prizren, le case di tre famiglie di rimpatriati sono state bruciate e completamente distrutte. Erano delle famiglie di Dejan Petković, della famiglia di Dragomir Nikolić e della famiglia del defunto Stanislav Nikolić. Delle case sono rimasti solo i muri, i tetti sono stati completamente bruciati. I serbi che erano tornati dopo il conflitto erano 70, a causa delle violenze, delle minacce continue e dell’insicurezza quotidiana, ne erano rimasti quindici.

In luglio sono stati aggrediti e picchiati Mladen Djosic a Donja Brnjica vicino a Pristina. “... Un albanese ha aggredito Đošić senza alcun motivo e gli ha rotto il naso, quando suo padre Donja ha cercato di proteggere suo figlio, la polizia lo ha arrestato, invece di arrestare l’aggressore. Sebbene le telecamere di sorveglianza abbiano registrato tutto l’accaduto e l’aggressore del serbo sia stato subito riconosciuto, la polizia lo ha fermato solo dopo ore... I serbi di questo villaggio sono indignati e intimiditi...”, si legge in un comunicato stampa.

Il 12 agosto nel villaggio di Gornje Korminjane nel distretto di Pomoravlje, in Kosovo, due persone mascherate hanno fatto irruzione nella casa della famiglia serba di Nenad Jovanovic. Stando a quanto riportato dalla stampa, Jovanovic è stato aggredito e ferito. I due criminali hanno poi lasciato l’abitazione sparando alcuni colpi di arma da fuoco che non hanno provocato vittime, lasciando dei bossoli all’esterno dell’abitazione.

La brutale irruzione e occupazione con chiusura delle filiali delle Poste della Serbia in Kosovo è la prosecuzione del piano di pulizia etnica del nord del Kosovo Metohija e di tutto ciò che ha radici serbe. L’azione è stata condotta in nove località del nord del Kosovo con la motivazione che sarebbero illegali, non registrati e senza licenza... dopo 25 anni di normale funzionamento! Questa ennesima azione provocatoria, viola anche gli accordi sanciti a Bruxelles nel 2015 sotto gli auspici dell’Unione europea, e quindi compromette l’intero dialogo i cui effetti vengono annullati, minando così la sua già scarsa autorevolezza e reputazione.

L’abolizione dei servizi postali dopo l’abolizione del dinaro rappresenta il colpo più duro al funzionamento delle istituzioni serbe e all’erogazione dei servizi ai cittadini in queste zone.

Tutti i partiti politici dei serbi del Kosovo condannano la proposta di apertura del ponte principale sull’Ibar al traffico, ritenendo che questa azione contribuirà ad un ulteriore allontanamento della popolazione serbo kosovara. Negli anni precedenti proprio in questo luogo sono avvenuti omicidi, scontri anche armati e incidenti. La popolazione serba ha paura di una ulteriore pulizia etnica e di una invasione della parte albanese.

Anche i continui attacchi e provocazioni contro la SRPSKA (Rep. Serba di Bosnia), sono parte del disegno di piegare la Serbia e minare la fratellanza del popolo serbo nei Balcani.

Cosa c’entra il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina, Zukan Helez, con Valery Zaluzhny, attuale ambasciatore dell’Ucraina a Londra, ci sarebbe da chiedersi. C’entra eccome ed è nodale. Helez dichiara che, per preservare la pace, sia necessario prepararsi sistematicamente alla guerra. Questo è quello che fa, e ancor di più ne parla, inviando messaggi minacciosi a un potenziale nemico la cui identità, in base alle opinioni politiche e ai messaggi del ministro, non è difficile da indovinare: i serbi di Bosnia. Helez, per convincere nel modo più chiaro possibile i cittadini della Bosnia ed Erzegovina che non corrono alcun pericolo, non si è limitato a sottolineare la stretta collaborazione con l’EUFOR e la NATO, ma ha anche parlato in modo criptico con “alcune forze di certi paesi”, che sono già disponibili e pronti ad agire, se necessario. Secondo quanto ha affermato, queste “forze di alcuni paesi” sono disponibili sulla base della sua attività di lobbying con quei paesi amici, su base bilaterale, e non sono subordinate all’EUFOR o alla NATO, ma ai propri comandi. Non ha voluto dire di più, ma già ha detto tanto. La parte serbo bosniaca ha chiesto se la Presidenza della Bosnia-Erzegovina ne sa qualcosa. Possono i cittadini della Bosnia-Erzegovina, soprattutto diverse centinaia di migliaia, essere calmi e pacifici, se vengono loro raccomandate “alcune forze di alcuni paesi” come fattore di protezione dalla posizione ufficiale dello stato bosniaco?

Non appena ha assunto l’incarico di ambasciatore ucraino in Gran Bretagna, l’ex comandante in capo delle forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, l’“amico” di Helez, si era affrettato a dare ai padroni di casa, all’Occidente e al mondo intero, soluzioni istruttive e generalmente valide dalla sua esperienza in tempo di guerra, che pervengono alla conclusione che, per raggiungere la pace bisogna passare attraverso la guerra, per la quale tutti gli stati democratici dovrebbero prepararsi. Ma egli sottoilinea che la cosa più difficile è preparare la società, cioè i cittadini, alle inevitabili privazioni: “Forse la componente più difficile e importante è la preparazione della popolazione... Per il bene della propria sopravvivenza, la società deve accettare di rinunciare temporaneamente ad alcune libertà...”.

Anche, nel territorio dell’ex Jugoslavia, c’è un Zaluzhny locale, è il ministro della Difesa della Bosnia-Erzegovina Zukan Helez che, quanto a protagonismo mediatico eclissa il generale-diplomatico ucraino. Helez negli spettacoli televisivi indirizza sempre la conversazione sulla valutazione dell’esistenza di una reale minaccia alla pace in Bosnia ed Erzegovina, con riferimento alle intenzioni separatiste della Repubblica Srpska, con accenni a possibili divisioni, puntando le accuse su Milorad Dodik, il leader dei serbo bosniaci.

I cittadini della Bosnia-Erzegovina non devono preoccuparsi della sicurezza del loro paese poiché hanno un ministro della Difesa così influente e amico dello stratega ucraino Zaluzhny, definito “filo bosniaco”? Quando recentemente un plotone di cadetti serbi disarmati e anziani hanno sfilato per Prijedor in occasione della commemorazione della battaglia partigiana di Kozara, e si sono recati anche a Bratunac per deporre fiori alle vittime antifasciste di Podrinje, questa visita debitamente annunciata ha causato diverse reazioni isteriche nelle autorità bosniache, come se l’occupazione del territorio della Bosnia-Erzegovina fosse quasi in atto.

Secondo quanto ha affermato lo Zaluzhny bosniaco, quelle “certe forze di alcuni paesi” sono arrivate sulla base della sua attività di lobbying con quei paesi amici, su base bilaterale. Chi sono e quante sono? A cosa servono?

Quando si tratta della vicina Serbia, ad esempio, non ha permesso che gli elicotteri serbi del MUP contribuissero a spegnere gli incendi in Erzegovina, perché riteneva che ciò fosse “una mancanza di rispetto” per lo Stato della BiH e delle sue forze armate. Mentre, d’altro canto, informa tranquillamente l’opinione pubblica bosniaca che misteriose e operativamente capaci “forze di alcuni paesi amici” sono già di stanza sul territorio della stessa BiH...

Anche queste campagne allarmistiche e minacciose fanno parte di un progetto di indebolimento e isolamento della Serbia e del popolo serbo, ventilando scenari di guerra o invasioni esterne, additando i leader serbi attuali, votati dalla propria gente, come un pericolo per il mondo “libero e democratico”.

In questi scenari di fatti ed eventi non certo latori di orizzonti pacifici e conciliatori, in queste settimane è esplosa anche la questione LITIO ed il progetto di sfruttamento nella regione serba di Jardar. Una situazione complessa, delicata e che potrebbe essere disarticolante, ma certamente è duramente controversa all’interno degli scenari sociali e politici serbi. Ma di questo tratterò in un prossimo lavoro.

Per chi osserva e conosce dall’interno il paese balcanico, il suo popolo e la sua società, sono ormai delineate chiaramente le direttrici concrete su cui si realizza il progetto destabilizzatore occidentale. QUESTA è la situazione e le problematiche che assediano il governo ed il popolo serbo, e non sono di poco conto per un paese e uno stato. Anche perché hanno come obiettivo finale strategico, sferrare il colpo fatale e portare alla soluzione finale la questione Serbia “indipendente e sovrana”.

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