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17/08/2024

Guerra in Ucraina - L'operazione di Kiev nel Kursk è l'indicatore di una esclation?

di Francesco Dall'Aglio

Sembra ormai assodato che le truppe ucraine abbiano preso il controllo di Sudža, mentre a nord, verso l’autostrada, non riescono a passare. In quella direzione avanzare è complicato non solo per i rinforzi russi ma anche per il fatto che questi ultimi hanno il controllo delle colline che circondano l’area in mano ucraina, e possono quindi godere di questo ulteriore vantaggio. Come avevo detto giorni fa, l’obiettivo che l’Ucraina intenderà mantenere è proprio Sudža, per un complesso di motivi: è una ‟città” (come lo è Avdiivka, ovvero una città molto piccola), il che ne aumenta il prestigio dal punto di vista della propaganda, è una buona base logistica per potenziali altre operazioni verso est o verso sud, ed essendo il centro abitato più grande della zona sarà complicato per i russi sloggiarli da lì, e non è detto che ci provino.

In effetti il comando russo, a più di una settimana dall’inizio dell’operazione, non sembra per niente intenzionato ad aumentare il numero dei rinforzi, e soprattutto non sta facendoli arrivare dal Donbas dove continua ad avanzare. È un atteggiamento sostanzialmente speculare a quello del comando ucraino che invece, pur di avanzare nel Kursk, vi sta trasferendo oltre a reparti della riserva strategica anche unità finora impiegate in Donbas, e sta sacrificando i rifornimenti per questa zona per favorire l’avanzata in territorio russo: lo riferisce Politico (link 1) riportando le parole del portavoce della 110a brigata meccanizzata dal fronte di Pokrovsk, il quale sostiene che per loro le cose stanno andando peggio, per ciò che riguarda i rifornimenti. Le avanzate russe nel Donbas, ovviamente, sono mediaticamente scomparse sui canali occidentali, ma sono tutt’altro che indifferenti.

Allego quattro carte prese da DeepState, ovvero dal servizio di mappatura ‟ufficiale” ucraino (ufficiale nel senso che collabora con le FFAA ucraine), per fare un confronto tra la situazione del 6 agosto, il giorno dell’inizio dell’offensiva ucraina, e il 14 agosto (DeepState aggiorna sempre le mappe al giorno precedente). La prima è quello che un tempo abbiamo chiamato fronte di Avdiivka il 6 agosto, la seconda lo stesso fronte il 14; la terza è il fronte di Torestk/Niu-Iork il 6, la quarta il 14. Ovviamente le carte sono nella stessa scala. Non sono avanzate indifferenti, considerando il passo solito delle avanzate russe.

Avevo già scritto della differente antropizzazione del Donbas rispetto alla regione di Kursk: qui (Donbas) si combatte sostanzialmente un’unica grande battaglia urbana con posizioni fortificate predisposte da dieci anni, lì (Kursk) in un ambiente totalmente diverso e quasi del tutto sgombro da posizioni militari. Fessi i russi a non averle predisposte? Sicuramente, ma in guerra i chilometri non sono uguali e un’avanzata di 10 chilometri nel Kursk è cosa molto diversa da un’avanzata di un chilometro nel Donbas. E questo anche andrebbe valutato nel momento in cui si fanno raffronti entusiasti del tipo ‟l’Ucraina ha conquistato x in tempo y, la Russia invece bello stesso tempo solo z” - x e z sono differenti, non di poco.

Detto questo, veniamo al problema reale per la Russia, che non è la velocità dell’avanzata propria o altrui ma che questa offensiva ucraina ha chiarito, se mai ce ne fosse ancora bisogno, due cose fondamentali. La prima è che l’Ucraina mobiliterà chiunque e farà qualsiasi cosa pur di ottenere lo scopo di vincere la guerra o, almeno, far pagare alla Russia il prezzo più alto possibile. La seconda, ancora più seria, è che l’Occidente la lascerà fare, per non dire che la incoraggerà, e giustificherà qualsiasi tipo di attacco in nome del diritto all’autodifesa – del resto si è giustificato pure Basaev, all’epoca, e non eravamo ancora in guerra con la Russia. Nel Kursk ci sono i Challenger inglesi, gli Stryker statunitensi, i Senator canadesi (non se la passano benissimo, ma questo è un altro discorso) e tutta la pletora delle armi leggere inviate dalla NATO, la logistica russa è colpita dagli HIMARS statunitensi, le basi e gli aeroporti dagli Storm Shadow/SCALP inglesi e francesi, per non parlare dell’intelligence aerea e satellitare (no, non si sono messi col binocolo a vedere come se la passava la guarnigione di Sudža e come era organizzata la rete di difesa russa da quelle parti, hanno usato informazioni un po’ più raffinate). Ogni finzione sull’utilizzo delle armi occidentali su territorio russo è caduta, anche se gli USA fanno ancora finta di non saperne niente.

E se domani l’Ucraina deciderà di dare l’assalto alla centrale di Enerdogar, cosa che pare possibile (la stessa fonte che segnalava da tempo un accumulo di truppe ucraine a Sumy segnala adesso colonne di camion militari a Zaporože, quindi un minimo di credito glielo darei), nessuno avrà niente da ridire come nessuno ha avuto niente da ridire sulla distruzione del Nord Stream 2, cioè di una infrastruttura strategica per la sicurezza energetica di un paese centrale nella NATO fatta saltare, secondo le ultime indiscrezioni, da un commando appartenente a un paese extra-NATO con la complicità o la connivenza dei servizi segreti di altri paesi NATO e della Polonia, che non ha dato seguito alla richiesta di estradizione di uno degli autori dell’attentato fatta dalla Germania (vedi l’articolo del Wall Street Journal; premetto che a parer mio ci sono un po’ di cose che continuano a non quadrare, e che questa insistenza sull’innocenza di Zelensky e la colpevolezza di Zalužnyj mi pare parecchio sospetta, soprattutto ora. Però al momento è la ricostruzione più dettagliata che abbiamo e quindi ce la dobbiamo tenere). Il problema reale è questo, non i chilometri quadrati conquistati.

Ovviamente la Russia sta facendo queste valutazioni, e il fatto che non ci sia ancora stata una risposta di nessun tipo, né militare né diplomatica, lascia probabilmente intendere che al momento sono in corso colloqui a livello piuttosto alto, e certo non con l’Ucraina: anche se, dato il discorso fatto sopra, resta misterioso il livello di fiducia che la leadership russa ripone nell’occidente. Se la Russia vorrà continuare a combattere come ha fatto finora, ossia facendo finta di non essere in guerra, andrà incontro a brutte sorprese e già ne ha avute parecchie; se deciderà invece di essere in guerra le brutte sorprese, oltre all’Ucraina, potremmo averle pure noi. Dal punto di vista ucraino, naturalmente, si cerca di provocare quanto prima possibile una reazione, possibilmente scomposta. Vanno in questa dichiarazione i provvedimenti annunciati oggi da Zelensky e dalla vice prima ministra Iryna Vereščuk: il generale Eduard Moskalov, già rimosso dal suo ruolo di comandante del settore del Donbas nel febbraio 2023, è stato nominato comandante militare della regione occupata e sono stati annunciati ‟corridoi umanitari” per l’evacuazione dei civili. Vereščuk ha specificato cosa significa: i civili verranno trasferiti a Sumy, ovvero in Ucraina. Non penso che queste mosse contribuiranno a rasserenare la situazione; se poi a Kiev qualcuno dovesse pensare di spedire a Sudža qualche esponente della corte dei miracoli di ‟Russia libera” e fargli proclamare l’indipendenza della regione penso che le conseguenze saranno molto, molto negative.

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