10/06/2015
Distintivi e ideologie
A volte è nei piccoli particolari che si annidano i segni del tempo, nelle minuzie compare la spiegazione di cose tanto più grandi. E’ il caso dei distintivi di partito su cui vorrei intrattenervi brevemente.
Quando ero giovane (più o meno un secolo fa), erano ancora molto usati distintivi di partito che molti portavano al bavero della giacca come orgogliosa affermazione di identità. Non era solo una forma di propaganda, ma anche una dichiarazione di fede: la politica, all’epoca, aveva sfumature che sconfinavano nel religioso e tutti i partiti erano un po’ chiese, chi cambiava partito era guardato con sospetto e, forse, diventava sospetto a sé stesso. Erano un po’ l’equivalente laico della piccola croce al collo che, non a caso, molti portavano insieme al distintivo, magari di un partito di sinistra.
Ricordo la sofferenza, ancora dopo molti anni, di alcuni ex comunisti che, dopo l’Ungheria, si erano indotti a togliere il distintivo, ma senza sostituirlo con altri: l’abbandono di quella fede aveva lasciato un vuoto che, anche chi era passato al Psi o al Psdi non riteneva di poter colmare con una nuova fede altrettanto pervasiva, ed i distintivi restavano nel cassetto.
L’amara disillusione sul “dio che aveva tradito” li aveva fatti diffidenti verso ogni altra fede. Ricordo anche molti vecchi militanti (non solo socialisti o comunisti, ma anche missini o democristiani) che, morendo, lasciavano come una reliquia il proprio distintivo a figli e nipoti, insieme alla serie ininterrotta di tessere di partito.
Conseguentemente, i distintivi avevano una loro “importanza” anche materica: in genere erano di ottone o ferro su cui era riprodotto a smalto il simbolo del partito, pesavano una ventina di grammi e costavano qualcosina. Il costo, il peso e la materia ne facevano oggetti destinati a durare nel tempo.
Poi vennero le spillette tonde, larghe ma leggerissime fatte di materiale plastico o di stagnola, effimere sino al futile, intercambiabili e quasi mai avevano un simbolo di partito, ma lo slogan di una qualche campagna o di qualche movimento (come quello contro la guerra). Non erano più segni di una identità politica, culturale, forse esistenziale, ma segnali provvisori di confluenze occasionali e segmentate. Ecco, appunto: non una identità invariante, ma l’espressione di un segmento di vita che lascia l’individuo fluttuare fra esperienze e momenti diversi.
Il segnale di una contaminazione fra l’iper individualismo di massa che fece irruzione negli anni ottanta e la secolarizzazione della politica. Laicità ed effimero: con Nicolini, nell’ottanta, iniziò la moda dell’effimero, anticamera dell’esplosione del narcisismo della nostra epoca. I distintivi di partito si fecero di plastica aprendo la strada ai partiti di plastica.
Nostalgia del tempo della politica “pesante”? No, per lo meno non di come essa fu e del come non potrebbe mai tornare ad essere. Ma critica dell’esistente riflettendo su un piccolo oggetto come un distintivo di partito.
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