In un articolo abbastanza recente ho sostenuto che la politica è uno specialismo e, come tale, richiede una preparazione specifica. Ora cercherò di spiegare in che senso la politica sia una specialismo e quale sia la sua materia.
Ovviamente la politica tocca tutti i campi della vita sociale: dalle questioni etiche come il fine vita o l’aborto, alle questioni economiche (politiche occupazionali, industriali, fiscali ecc.), dai diritti civili alla politica penale, dall’immigrazione alla scuola, dalla politica estera alla difesa ai rapporti con la Chiesa. Dunque, nessun dubbio che la politica si occupi di tutto. Questo non vuol dire che sia una materia “generalista”, una sorta di equivalente della “cultura generale” nei test di ammissione all’università. E neppure che lo specialismo della politica consista un una specie di confederazione di tutti gli specialismi.
La politica ha un suo campo d’azione e di studio specifico: si chiama potere. La politica è la scienza del potere. E qui già immagino molti musi storti, ma capiamoci su cosa significa “potere”. Il cittadino comunque non gradisce questa parola che associa all’idea di “Palazzo”, di profittatori, di casta ecc. E’ un equivoco che viene da una cattiva interpretazione di un tropo stilistico, verosimilmente una sineddoche che usa verbo come soggetto.
Mi spiego meglio: “potere” in italiano è originariamente un verbo che designa una facoltà di agire (“Io posso muovermi” “Giovanni può parlare”:..); nel tempo il verbo è diventato un sostantivo cui segue un aggettivo qualificativo che ne delimita l’ambito (potere giudiziario, legislativo, esecutivo). Alla fine, questa sostantivazione ha dato luogo alla sineddoche che indica il soggetto che esercita il potere attraverso il verbo, e, siccome l’esperienza storica lega l’idea di potere ad un apparato di persone specificamente dedicato a questo, organizzato gerarchicamente e contrapposto alla società civile, la parola “potere” ha assunto quel giudizio di valore negativo che gli diamo. Ma quel che conta è il significato originario che indica una caratteristica propria di ogni comunità umana: l’assumere decisioni per tutto il gruppo.
Decisioni di tipo normativo (leggi, regolamenti, editti ecc.) o di tipo politico “puro” (alleanze, guerre, trattati ecc.). Ovviamente queste decisioni possono essere assunte in un regime assolutistico (monarchie assolute, dittature ecc.), di tipo oligarchico (come le repubbliche marinare), di democrazia rappresentativa (monarchie o repubbliche parlamentari, repubbliche presidenziali) o anche attraverso meccanismi assembleari o referendari di democrazia diretta: quello che vi pare, sempre di un esercizio del potere sociale si tratta.
Lo specialismo della politica è proprio questo esercizio del potere sociale che richiede:
1. l’individuazione del o dei soggetti abilitati ad usare questo potere;
2. le modalità di esercizio di questo potere: il rapporto con il consenso e la sua qualità (meramente passivo, di condivisione, attivo, limitato, temporale ecc.), il rapporto con l’uso della forza;
3. l’equilibrio fra decisioni umane discrezionali e decisioni limitate dalle norme (per cui si parla di governo di uomini o governo di leggi) ecc.;
4. i limiti di questo esercizio, in primo luogo attraverso l’equilibrio fra potere sociale e diritti individuali, poi fra interesse generale ed interessi particolari ecc.;
5. la composizione dei diversi interessi sociali presenti (aumentare le risorse a disposizione e distribuirle fra i vari gruppi);
6. la mediazione fra le diverse culture presenti;
7. il progetto complessivo di crescita e sviluppo del proprio paese, sia dal punto di vista economico che sociale, culturale e politico;
8. l’equilibrio con l’ambiente circostante (in particolare attinente dalla politica ed al commercio estero, alla difesa, all’azione di influenza ecc.);
9. l’amministrazione delle risorse esistenti;
10. la selezione ed il controllo del personale tecnico che dovrà eseguire le decisioni politiche;
11. l’architettura costituzionale.
Potremmo continuare, ma è già sufficiente per dare l’idea del perché la politica è uno specialismo che non tollera semplificazioni sommarie. E non è nemmeno una semplice sommatoria di specialismi di settore. Piuttosto è uno “specialismo trasversale”
Un’ idea che compare regolarmente nei movimenti populisti è quella di un assetto di poteri per cui c’è una assemblea deliberativa di carattere politico (lasciamo stare se elettiva o di democrazia diretta) composta da comuni cittadini che danno le grandi linee da attuare e poi tecnici meri esecutori. Detto in formula: un condominio di signore Marie di Voghera più un governo Monti: un capolavoro!
La soluzione più probabile di un simile mostro istituzionale sarebbe una rapida riduzione ai margini dell’assemblea e l’appropriazione del potere sociale da parte dei “tecnici”, che non farebbero altro che litigare fra loro. Infatti, proprio le conoscenze specialistiche ed il possesso delle informazioni necessarie, permetterebbero ai “tecnici” (che non sono quei soggetti disinteressati e competenti che spesso si immagina: appunto, pensate al governo Monti) di infinocchiare senza troppe difficoltà i condomini, riservando a sé il vero potere decisionale; però, proprio perché specialisti, avrebbero una visione inevitabilmente settoriale e, quindi, incapaci di sintesi, si scontrerebbero fra loro.
Riuscite ad immaginare un disastro peggiore? Intendiamoci, sono un convinto sostenitore della democrazia e del diritto di ogni uomo ad autodeterminarsi, per cui penso ci si debba battere per assicurare a tutti la maggiore partecipazione possibile a decisioni che avranno un peso sulla vita sua della sua famiglia. Ma questo non è un passaggio semplice ed immediato ma esige una serie di mediazioni. Piacerebbe anche a me che i problemi fossero semplici e non richiedessero tante complicazioni, ma purtroppo, non è cosi: in una piccola comunità di poche centinaia di persone che dovesse assumere poche decisioni relativamente semplici, non ci sarebbe bisogno di questi meccanismi di mediazione. Ma noi viviamo in una società complessa che richiede migliaia di decisioni in tempi compressi, in cui interviene una grande quantità di soggetti che organizzano milioni di persone, e le decisioni possono avere conseguenze ultime difficili da prevedere. Ed il coordinamento strategico diventa sempre meno facile ed intuitivo.
Lo sforzo necessario, dunque, non è quello di abbassare i problemi al livello dell’ ‘”uomo della strada”, ma, semmai, alzare il livello di comprensione dell’ ”uomo della strada” al livello cui si pongono i problemi.
Possiamo convenire sul fatto che sia utile ed opportuno adottare dei “riduttori di complessità” e semplificare nei limiti del possibile le questioni sottoposte a decisione. Appunto: nei limiti del possibile. Ma più di tanto non si può fare, pena una semplificazione arbitraria che, nella maggioranza dei casi, darà risultati molto diversi da quelli attesi e quasi mai migliori.
Se le nostre comunità sono complesse, inevitabilmente anche l’esercizio del loro potere sociale non può che essere complesso e, pertanto esigere uno specialismo idoneo.
Ma allora dobbiamo arrenderci al fatto che la politica è affare di rarefatte èlite di politici di professione? Assolutamente no, ma come dicevo, l’operazione è complessa e richiede diverse mediazioni. Ma ne parleremo in uno dei prossimi pezzi.
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