Le milizie curde hanno annunciato nelle scorse ore che, dopo una feroce battaglia, sono riuscite a cacciare i jihadisti dello Stato Islamico dalla maggior parte dei quartieri di Tal Abyar, città siriana al confine con la Turchia da tempo nelle mani di Daesh che subisce ora un duro colpo. Sacche di resistenza sono ancora segnalate in alcune zone e nei villaggi ad est della città di confine ma i curdi e la brigata dell’Esercito Siriano Libero che da alcuni mesi combatte al fianco delle Unità di Protezione del Popolo e delle Unità di Protezione delle Donne hanno conquistato il valico di frontiera con la Turchia, quello di Akçakale. Nelle ore precedenti, i combattenti avevano conquistato anche la strada principale da cui passano i rifornimenti destinati allo Stato islamico verso Raqqa, la roccaforte dei jihadisti in Siria, ad una ottantina di km più a sud.
Ora i jihadisti, molti dei quali si sono consegnati all'esercito turco o sono fuggiti a sud, controllano un solo valico di frontiera con una Turchia dove il regime di Erdogan, dopo la sconfitta alle elezioni del 7 giugno, ha non poche difficoltà a continuare a sostenere i fondamentalisti che lottano per rovesciare il governo di Assad e per indebolire l’autogoverno creato dai partiti curdi siriani insieme alle rappresentanze delle altre etnie e minoranze che vivono nel Rojava. Tal Abyad era finora unanimemente considerata la via di passaggio preferenziale delle armi e del petrolio destinati al gruppo Stato islamico e la principale via di fuga dei jihadisti verso il territorio turco. Con la conquista di Tal Abyad la resistenza curda ha potuto ricongiungere i territori liberati ad est e ad ovest e finora interrotti proprio a ridosso della località di frontiera con la Turchia.
I combattimenti lungo la frontiera, i bombardamenti della coalizione a guida statunitense e anche la pressione delle milizie islamiste che hanno tentato di usare la popolazione locale – per lo più sunnita – come scudo umano e per rallentare l’avanzata delle Ypg hanno provocato negli ultimi giorni un vero e proprio esodo di abitanti di Tal Abyad e dei villaggi circostanti verso il confine con la Turchia. Nel corso degli ultimi giorni, secondo l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati, circa 23 mila profughi, per lo più donne, bambini e anziani, sono riusciti ad attraversare una frontiera che Ankara ha a lungo sigillato anche con l’uso di idranti e gas lacrimogeni e che apre a singhiozzo quando la pressione sulle recinzioni diventa troppo forte. Tra i profughi arrivati in Turchia ci sono, informa l'Onu, anche duemila iracheni fuggiti dalle città di Mosul, Ramadi e Falluja.
Intanto però una decina di gruppi armati della ‘opposizione siriana’ –manovrata dalle petromonarchie, dall’Occidente e dalla stessa Turchia – ha accusato le milizie curde di aver compiuto alcuni atti di ‘pulizia etnica’ ai danni della popolazione araba e turcomanna delle regioni del nord della Siria recentemente conquistate. In un documento firmato tra gli altri da gruppi integralisti islamici come Ahrar al Sham e Jaish al Islam – e naturalmente subito rilanciato da Ankara – si accusano i curdi di avere compiuto violenze durante l'avanzata compiuta negli ultimi mesi nella provincia a maggioranza curda di Hassake e nella regione di Tal Abyad. Anche Abdülhakim Ayhan, sindaco della città turca di Akçakale, ha accusato i ribelli curdi di «spingere alla fuga arabi e turcomanni» sfruttando la battaglia anti-Isis «a fini di pulizia etnica». L’accusa è stata risolutamente respinta dalle Ypg che accusa i gruppi dell’opposizione islamista siriana di fare il gioco delle potenze straniere.
Più a sud invece è allarme per il possibile esodo di massa della popolazione drusa – circa 700 mila persone – che si sente minacciata dalle milizie dello Stato Islamico, oltre che da quelle di Al Nusra, che negli ultimi giorni hanno preso di mira alcune comunità della minoranza etnica tradizionalmente fedele al governo di Damasco e schierata contro gli integralisti. L’epicentro della nuova crisi umanitaria è la regione del Monte Druso, a 60 km dalla Giordania e 50 da Israele, paesi verso i quali potrebbero riversarsi decine o centinaia di migliaia di profughi drusi se la persecuzione di Daesh nei loro confronti dovesse continuare dopo che un raid jihadista contro un villaggio ha già causato alcune decine di vittime. In allarme ci sono soprattutto le comunità druse del vicino Libano, che si stanno già adoperando per formare una milizia che intervenga a protezione dei loro fratelli siriani “per evitare un genocidio”.
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