di Alberto Negri - Quotidiano del Sud
Dalla Libia al resto il Paese è privo di una politca estera mediterranea. Non sappiamo neppure se e come ci arriverà ancora il gas libico ma né governo né opposizione dicono una parola.
L’Italia galleggia nel Mediterraneo come un vascello fantasma. La nostra assenza in politica estera è tale che non sappiamo neppure se e come ci arriverà ancora il gas libico convogliato nella pipeline Greenstream. E questo nonostante l’impennata delle tariffe energetiche e la mancanza globale di materie prime.
La Noc Corporation libica qualche giorno prima della fine dell’anno ha annunciato la contrazione dell’output petrolifero di 300 mila barili di petrolio al giorno a seguito del blocco dei siti di produzione da parte delle Guardie petrolifere.
La Compagnia elettrica generale della Libia (Gecol), da parte sua, ha annunciato l’interruzione delle forniture di gas alle centrali elettriche, con una conseguente perdita di 2.500 megawatt di energia.
Intanto il flusso di gas libico in arrivo a Gela, in Italia, tramite il gasdotto Green Stream è passato da 0,2261 a 0,0841 milioni di standard metri cubi al giorno dopo la chiusura di Wafa, in calo del 62,8 per cento.
Il Greenstream, lungo 520 chilometri, ha oggi una portata di 8 miliardi metri cubi di gas è fa della Libia il nostro terzo fornitore dopo Russia e Algeria. Ma se messo a regime la sua portata potrebbe arrivare ben oltre, fino a coprire un terzo dei consumi annuali italiani. Ma non deve essere un argomento interessante né per i nostri strateghi né per gli italici organi di informazione.
Ufficialmente le Guardie petrolifere della Libia (Petroleum facilities guard, Pfg) hanno preso le distanze dalle azioni di “alcuni loro membri” nel sud-ovest del Paese, risultanti nella chiusura forzata di quattro giacimenti di idrocarburi (Wafa, El Feel, Sharara e Hamada) e di due raffinerie (Zuara e Mellitah).
Un comunicato pubblicato sulla pagina Facebook delle Pfg denuncia “la chiusura dei giacimenti petroliferi e il loro utilizzo come mezzo di pressione per soddisfare le richieste”, chiedendo la riapertura dei campi “tenuto conto degli effetti finanziari e tecnici negativi derivanti dal proseguimento della chiusura”.
Eppure Alaa al Adham, direttore dell’ufficio stampa delle Pfg, ha dichiarato che “gli uomini delle Pfg chiedono il pagamento di premi e stipendi, oltre al conferimento di matricole di identificazione militare”. Le Guardie petrolifere chiedono l’assegnazione di matricole militari per ricevere stipendi, bonus, previdenza e tutta una serie di diritti legali.
Ma al di là delle diatribe libiche, acuite naturalmente dall’annullamento delle elezioni presidenziali, la questione gas ci riguarda da vicino. La Noc recentemente ha lanciato un allarme: “Le riserve di gas si stanno esaurendo, urgono nuovi investimenti”, ha dichiarato il presidente della National Oil Corporation, Mustafa Sanallah.
Sanallah ha lanciato l’allarme sulle “gravi sfide affrontate dal settore petrolifero in particolare alla luce di un naturale calo della produzione di gas, dopo che la compagnia non ha ottenuto i fondi necessari per lo sviluppo di scoperte ricche di gas offshore e onshore”.
Il numero uno della Noc ha detto che “nonostante l’inizio della produzione e dell’esportazione di petrolio dall’inizio degli anni Sessanta, la percentuale di esaurimento delle riserve di petrolio in tutti i giacimenti scoperti non ha superato il 30 per cento delle riserve totali”.
Sanallah ha sottolineato che gli studi preliminari hanno indicato che la Libia possiede enormi riserve di gas che le permetterebbero di essere uno dei più importanti Paesi produttori di gas della regione se solo sviluppasse le “numerose scoperte onshore e offshore”.
Insomma se investissimo nel gas, cioè sotto casa, la Libia potrebbe diventare uno fornitore italiano strategico e a prezzi probabilmente inferiori a quelli di mercato.
Sanallah circa un mese fa ha incontrato a Tripoli il nuovo direttore generale di Eni North Africa, Antonio Baldassarre, l’ex direttore generale della società Abdel Moneim Al Arifi, e il vice direttore generale della filiale nordafricana del Cane a sei zampe, Wanis Al Roymi.
Nell’incontro si è discusso dell’attuazione dei più importanti progetti strategici nel Paese, in particolare per lo sviluppo delle strutture offshore che mirano ad evitare eventuali carenze di quantitativi di gas per rifornire il mercato libico e internazionale.
Peccato che le sorti della Libia sfuggano totalmente al governo italiano, visto che in Tripolitania è presente militarmente la Turchia e in Cirenaica la Russia con i mercenari della Wagner. A questo aggiungiamo l’influenza decisiva dell’Egitto, della Francia e degli Emirati.
L’Italia non è mai citata tra gli attori di primo piano e sembra che i capi libici arrivino a Roma soprattutto per visite di cortesia. In poche parole in Libia l’Eni è l’unica nostra entità che fa politica estera nel vuoto più completo delle istituzioni italiane nonostante la presenza sul campo di ottimi diplomatici. È ora di darsi una mossa.
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