Apprendo dalle rassegne stampa di queste mattine che alcuni esponenti politici di cultura radicale non stiano affatto apprezzando lo sciopero della fame condotto da Alfredo Cospito contro il 41 bis.
Un «digiuno violento», avrebbe detto uno di loro. Non esistono scioperi della fame non violenti. Demistifichiamo una volta per tutte questa leggenda.
La semplice inversione di segno della violenza, rivolta contro se stessi, non fa di questo strumento di lotta un metodo pacifico.
Lo sciopero della fame è una aggressione violenta del proprio corpo, catabolismo si chiama, o se vogliamo essere più espliciti: autofagia. Ci nutriamo di noi stessi.
La questione è sempre stata edulcorata da un personale politico che ha impiegato i digiuni in modo propagandistico per acquisire visibilità. In questo caso più che veri scioperi della fame si è sempre trattato di digiuni limitati o vere a proprie diete prolungate, con cappuccino e cornetto al mattino e insalate ben condite durante la giornata...
Niente a che vedere con uno sciopero della fame condotto all’interno di mura carcerarie, spesso in isolamento, dove in genere si viene condotti quando si assumono proteste del genere.
In altre culture i periodi di digiuno erano forme di purificazione. Nulla a che vedere con chi, privato di ogni altra cosa, mette in gioco il proprio corpo trasformandolo in strumento di lotta.
Chiarito ciò, appare evidente il disappunto di un ceto politico che da molti anni si è intestato la battaglia contro il 41 bis facendone uno strumento clientelare.
I Radicali come forza politica non esistono più dopo la morte di Pannella, ridotti ormai a clan che guerreggiano l’uno contro l’altro. La battaglia di Alfredo Cospito, condotta in modo indipendente e autonomo, li ha messi all’angolo.
Invece di solidarizzare e partecipare alla mobilitazione generale portando il loro contributo, sono rimasti in disparte, privati del loro ruolo supplente, di rappresentanza, di supporto paternalistico intessuto con i detenuti della criminalità organizzata, da sempre incapaci di condurre battaglie politiche aperte e conflittuali, di mettersi in gioco in prima persona, di rischiare, abituati ai classici metodi della cultura mafiosa.
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