di Guido Salerno Aletta
Per l'Eurostat, il quarto trimestre del 2022 si è chiuso con una variazione nulla del PIL: 0,0%, in continua discesa dal pur misero +0,8% del primo trimestre dell'anno.
La tendenza è ancor più negativa se si guarda appena un po' indietro, quando la fine dell'emergenza sanitaria aveva consentito all'economia europea di rimbalzare, passando dal -0,1% dell'ultimo trimestre del 2020 al +2,2% del terzo del 2021. Da allora, sempre in calo.
La tendenza alla crescita dei prezzi al consumo per le famiglie è ancora significativamente elevata, con il +10,1% registrato nel gennaio di quest'anno, rispetto al picco dell'11,5% di ottobre 2022. Come inflazione, siamo tornati al livello di luglio scorso, nonostante le restrizioni monetarie della BCE.
I dati riferiti alla sola Eurozona e non al complesso degli stati aderenti all'Unione europea sono leggermente migliori: l'inflazione di gennaio è cresciuta del +8,6% rispetto ad un anno prima, mentre il PIL è cresciuto del +0,1%. Una inezia, certo.
Ciò che è maggiormente preoccupante è la crescita dei prezzi dei prodotti alimentari, aumentati del 16,3% rispetto a gennaio 2022, soprattutto perché pesano per il 16,1% sulla spesa delle famiglie. È curioso rilevare che invece i prezzi delle spese per l'abitazione, comprese elettricità e gas, sono aumentati dell'11,9% pesando per il 15,1% sul budget delle famiglie. C'è stato un effetto di trascinamento, non trascurabile.
In due anni, la curva dei prezzi dell'Eurozona ha registrato una impennata violentissima: il tasso di inflazione era stato addirittura negativo nell'ottobre 2020, con il -0,3%, mentre si è arrivati al picco del +10,6% nell'ottobre del 2022. Non si rilevano dunque particolari correlazioni con la guerra in Ucraina, iniziata nel febbraio del 2022: a quella data, l'inflazione era già partita alla grande.
La correzione al ribasso dell'inflazione nell'eurozona è stata dunque di due punti, passando dal +10,6% di ottobre 2022 al +8,6% del gennaio 2023.
C'è da considerare poi il tasso di disoccupazione, che nel dicembre scorso secondo Eurostat è stato del 6,1% per il complesso dei Paesi aderenti all'Ue. Il tasso di disoccupazione nell'Eurozona è un po' più alto, con il 6,6%. In Italia, la disoccupazione è a sua volta più alta della media, mantenendosi però sostanzialmente stabile, con il 7,8%. La Spagna ha il livello peggiore di tutti, con il 13,1%, seguita dalla Grecia con l'11,6%.
Siamo comunque lontanissimi dai numeri che vengono forniti dalla Fed per la disoccupazione negli Usa, che a gennaio scorso "sarebbe" stata solo del 3,4% (unemployment rate). Va usato il virgolettato perché i metodi di rilevazione e gli insiemi di popolazione sono assai eterogenei: l'unemployment level è invece del 5,7%.
È un periodo delicatissimo: l'economia si è fermata con la crescita a zero, mentre l'inflazione continua ad essere eccessivamente elevata.
La tendenza alla contrazione dell'economia è già in atto.
Il pericolo è che ulteriori aumenti dei tassi di interesse da parte della BCE inducano una recessione, proprio mentre i prezzi dell'energia dovrebbero essere stabilizzati, andando incontro alla stagione estiva.
È il caso di togliere il pedale dal freno dei tassi: una veloce exit strategy dall'inflazione potrebbe essere davvero infausta.
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