“Individuare l’esatto significato dei sintomi, l’estensione del contagio, il condizionamento della malattia, le forze della guarigione” (Ernesto De Martino)
“I politici di destra hanno paura di apparire di destra, i politici di sinistra hanno paura di dire cose di sinistra mentre voi mi credete un attore” (Benito Mussolini in Sono tornato di Luca Miniero, 2018)
“I politici di destra hanno paura di apparire di destra, i politici di sinistra hanno paura di dire cose di sinistra mentre voi mi credete un attore” (Benito Mussolini in Sono tornato di Luca Miniero, 2018)
La destra al potere in Italia è formata da un cartello elettorale articolato e contraddittorio del quale vanno spiegati il comportamento istituzionale e la base sociale. Va anche considerato che il comportamento della destra, che è già stata al potere dall’inizio degli anni 2000 fino al 2011, non è quello del fascismo del 1924 il quale, una volta vinte le elezioni, semplicemente sciolse la struttura della democrazia liberale esistente.
Questa destra non vive oggi di quelle prospettive né ha quella forza politica di rottura: si tratta di un soggetto che si riproduce per occupazione, via elettorale, dei nessi istituzionali cercando di adattarsi al terreno che abita, comprese le istituzioni europee nelle quali al momento vive una crisi di rigetto come il desiderio di piena legittimazione.
In poche parole, questa destra si rinnova appropriandosi di risorse della società tramite consenso elettorale mentre la destra di cento anni prima si appropriava della società italiana con i metodi della guerra sul campo, occupazione militare della capitale e scioglimento del parlamento. Allora la destra era un prodotto di una guerra mondiale oggi è un cartello elettorale che trova spazio nei punti critici delle società globalizzate del benessere che appaiono sempre più verticalizzate in reddito, sapere, disponibilità di risorse.
Quella di allora era una destra immediatamente pericolosa, per la società e la democrazia, quella di oggi sarebbe assimilabile a quella di ieri in caso di un repentino collasso sociale alimentato da liberismo e guerra. E anche oggi è comunque una destra pericolosa perché per riprodursi asseconda le malattie della società. Insomma i differenti modi di sgretolare la società italiana, da parte della destra, si dislocano nel tempo: un passato dittatoriale, un presente fatto di quota di potere nel dispositivo governamentale liberista che alimenta la crisi della società, un futuro fatto di possibili colpi di scena se la crisi precipita.
Va notato come, nel dibattito pubblico, e non solo, spesso si sbagli analisi proprio nella classificazione temporale della destra attribuendo a quella presente troppe caratteristiche del passato e a quella del passato giusto le proiezioni delle paure per il futuro.
La pericolosità della destra attuale sta nella sua facoltà di riprodursi nei disastri del liberismo grazie alla sua continua capacità di mutazione, alla sua adattabilità con la quale, nella formula elettorale detta centrodestra, si riproduce, non senza periodi di crisi, da quasi 30 anni. Si tratta di capire quale società, quale antropologia del potere alimentano questo soggetto elettorale per determinarne il nuovo livello di pericolosità politica. Capire la destra di oggi, infine, è anche comprendere la portata delle criticità che attraversano la nostra società.
Certo, quella italiana è una società ormai profondamente spoliticizzata, la bassa partecipazione elettorale ne è un indice, e la destra attuale ne è il riflesso mentre oltretutto si trova a vivere, come tutto ciò che è immesso nel mondo globale, in una società politeista. Gunther Teubner, definisce i caratteri di questo politeismo globalizzato inteso come un processo accelerato di differenziazione della società che si espande oltre i confini territoriali e nazionali. Si tratta di una accelerazione che riguarda non solo l’economia e la sfera finanziaria ma scienza, cultura, tecnologia, sanità, il settore militare, i trasporti, il turismo, lo sport che divengono mondi che si sviluppano oltre i confini delle società che li contengono travolgendo interi ordini sociali.
Per differenziazione sociale si intende la crescita autonoma di queste, e altre, sfere dalla società, ben oltre ogni confine anche nazionale, in modo così marcato da far perdere di senso la stessa nozione di insieme sociale. Del resto la stessa astensione elettorale si spiega bene, assieme alle dinamiche di impoverimento, grazie al processo di politeismo globale: la società fa sempre più parte, materialmente e cognitivamente, di queste sfere autonome e sempre meno dell’insieme sociale per cui lo stesso voto elettorale, una manifestazione tipica dell’insieme sociale, viene concretamente visto come qualcosa di molto lontano.
L’astensione come altri fenomeni – il crescere del gender fluid, le rivoluzioni continue del mondo del consumo del cibo, dei trasporti, della comunicazione e del capitalismo delle piattaforme – ci mostrano cosa sia oggi la società: un terreno sempre meno definito, incerto nelle prospettive di sviluppo, che contiene sfere socialmente autonome (legate a economia, tecnologia, sport etc.) nelle quali si riproducono comportamenti legati a fluidità e mutazione e continue ristrutturazioni delle condizioni di vita.
In questo scenario, e nonostante l’inaridirsi della dimensione del politico nelle nostre società, la destra riesce a riprodursi, nel tempo, occupando lo spazio istituzionale, via elezioni, in modo molto più efficace di ciò che viene definito come sinistra. Uno sguardo antropologico aiuta a capire la base sociale di questa dinamica per fissare fenomeni che appaiono tutto meno che passeggeri. Vanno quindi definiti almeno quattro piani attraverso i quali comprendere lo spessore di questa base sociale: uno che riguarda i social, uno l’importanza dell’effetto rituale prodotto dalla danza digitale espressione dei social, uno su almeno un paio di categorie antropologiche ineludibili e uno dedicato alla definizione di fascismo.
1. Media anthropology, TikTok e l’elettorato di destra
La base popolare di consenso fatta di ceti medi e ceti subalterni al cartello elettorale di Giorgia Meloni è soprattutto una base social. Non che a Fratelli d’Italia, il soggetto forte del centrodestra di oggi, manchino raduni o comizi tradizionali ma il grosso del consenso arriva dai social, dei quali TikTok rappresenta un interessante punto di analisi. Questo per un motivo molto semplice: TikTok è il social che ha valorizzato il peso della danza nelle culture globali e attraverso la danza, che è una strutturazione artistica della connessione collettiva, si possono leggere importanti mutazioni nelle società che da questa vengono evocate. Inoltre la sua crescita secondo criteri da visual culture, e non da scrittura online, rende TikTok un social ancora più ibrido degli altri tra politica, socializzazione, arti performanti, marketing, provocazione che si distende con naturalezza proprio nelle sfere autonome dalla società che stanno svuotando il senso stesso dell’insieme sociale. Nel linguaggio da visual culture di TikTok il consenso elettorale circola quando la cornice di significato (luoghi, movimenti, luci, colonna sonora) non è propriamente “politica” ma rimanda fortemente ai processi più complessivi di significazione del social. Così il consenso elettorale, es. verso Meloni, passa grazie a forme simboliche non politicizzate. Questo è un punto di forza del messaggio elettorale di oggi.
TikTok proprio perché fa parte del linguaggio del politeismo globalizzato, quello che perde la nozione di insieme sociale, assembla la centralità di una nuova nozione di spazio non più facente parte di un insieme sociale ma di sfere autonome di significato: mette in evidenza la stanza, la cucina, la palestra, la sala da ballo, il centro fitness. Da ognuno di questi luoghi può partire il messaggio come se si fosse in una piazza, parlando al proprio pubblico e non a un’intera società, e la stessa piazza viene rappresentata secondo le forme simboliche del politeismo globalizzato.
L’elettorato di Meloni su TikTok ha fortemente utilizzato, durante le ultime elezioni sia questo linguaggio, politico e impolitico allo stesso tempo, sia le modalità di rappresentazione dei luoghi del politeismo globalizzato sia la danza come strumento forte dell’espressività sociale.
2. La danza in digitale: nuovi riti emergono
Della danza sappiamo molte cose tra le quali il fatto che è funzionale a un ordine collettivo. La danza dell’elettore di Meloni su TikTok che esprime – da casa sua, dalla palestra, dal centro fitness – il ballo del desiderio di espulsione di immigrati e percettori del reddito di cittadinanza è significativa di come il messaggio elettorale, il sostegno a Giorgia Meloni, si sia cristallizzato nel linguaggio del politeismo globalizzato, il paradossale ordine del nostro mondo.
La danza è desiderio di ordine ed elaborazione di una ritualità che espelle il male in molteplici forme simboliche. Quella da casa propria, collegati allo smartphone e a TikTok, esprimendo sdegno verso immigrati e più poveri, è la ritualità del politeismo globalizzato, con un linguaggio che è sia politico che impolitico, che tenta di ripristinare un ordine infranto dallo stesso politeismo globalizzato del quale utilizza il linguaggio. Questo ci fa capire come sia emerso un nuovo dispositivo linguistico e simbolico, che ha effetti elettorali.
La base sociale della destra sta qui: nel dispositivo linguistico e simbolico del politeismo globalizzato, invocando un ordine che nega le stesse forme simboliche utilizzate per esprimersi, utilizzando il nuovo senso della rappresentazione dello spazio, la danza nelle forme digitali che permette di esprimere la rappresentazione rituale dell’ordine ripristinato. E in tutto questo, mentre il resto della società si allontana dalla politica, si esprimono consenso e voti verso la destra.
3. Presenza e apocalisse tra De Martino e noi
Dal lavoro antropologico di Ernesto De Martino facciamo emergere due concetti per capire come sia radicato il substrato sociale che alimenta il consenso al cartello elettorale di centrodestra. Si tratta del concetto di presenza e di quello di fine del mondo. La presenza in De Martino è, grosso modo, la capacità delle soggettività di saper conservare le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato a una determinata situazione storica. È evidente che l’antropologia visuale di TikTok ci rende il social come strumento di espressione della reazione alle mutazioni storiche attraverso l’espressione della danza digitale nella connessione con i luoghi del politeismo globalizzato. In modo da declinare il politeismo, oggetto di studio di De Martino, nelle sue manifestazioni tipiche delle culture digitali e in questo caso dell’acquisizione di consenso elettorale. La presenza, la reificazione della cultura di destra nelle nostre società, avviene quindi tramite questo veicolo digitale molto diverso da quelli utilizzati in passato ma anche da quelli costitutivi del centrodestra delle origini (la tv berlusconiana) presentandosi come l’approccio di massa successivo all’uso dei social da parte della Lega di fine anni ’10.
Il concetto di apocalisse aiuta a estendere la comprensione delle dinamiche di radicamento del substrato sociale che alimenta il consenso al centrodestra. De Martino spiega chiaramente come la fine del mondo sia “la fine del proprio mondo” e che l’estensione del mondo colpito dall’apocalisse è pari alla portata cognitiva della cultura che la percepisce. Nel substrato culturale di centrodestra la fine del mondo è ristretta ma concentrata: si va dalla crisi della sovranità della “nazione” ai drammi del cortile di casa. Ma, appunto, poco importa che sia ristretta la visione del mondo, l’importante è che sia forte la reazione a ciò che si percepisce come fine del proprio mondo che coincide con un ordine sociale strapaesano rappresentato attraverso gli strumenti cognitivi del politeismo globalizzato come TikTok.
E qui si comprende la funzione salvifica di questa sorta di tarantismo operato nei media digitali: ribadire la propria presenza, reagire all’apocalisse del proprio piccolo mondo, espellere ritualmente cosa minaccia il proprio mondo (immigrati e più poveri) attraverso la manifestazione del consenso elettorale, la delega a figure politiche. La crisi della domesticità della società italiana viene così risolta ritualmente, ed oggi significa digitalmente, unendo i differenti strati sociali della destra alimentando il consenso elettorale al centrodestra.
4. Criteri del fascismo originario
Come abbiamo visto la differenza tra il fascismo storico e l’attuale destra è marcata dal punto di vista politico e antropologico. Questo non significa che l’attuale substrato sociale di destra non veicoli anche comportamenti tipici del fascismo anche se non nella maniera politica così immediatamente sovversiva, da destra, come nel lontano passato.
Umberto Eco negli anni ’90 ha fissato, durante una conferenza alla Columbia University diventata poi un libretto di culto, le forme archetipiche del comportamento fascista. Forme che sopravvivono al fascismo storico depositandosi in altre culture di destra. Vale la pena di elencarne alcune: la diffidenza per la cultura, la paura della diversità che genera razzismo, la frustrazione a causa della crisi economica, il complottismo, l’uso di una neolingua, caratterizzata da una sintassi elementare.
La ritualità digitale che alimenta la subcultura di destra, e il consenso elettorale al centrodestra, tende a generare una lingua tanto più povera nella sintassi tanto più è ricca dei riferimenti simbolici offerti dal mondo digitale del politeismo globalizzato. Un modo per veicolare, di generazione in generazione, le forme comportamentali del fascismo storico senza, al momento, esprimerne la violenza politica ma, piuttosto, il peso elettorale in una società dell’astensione.
Se dobbiamo quindi definire una antropologia della destra al potere partiamo da un approccio molto diverso rispetto alle culture politiche tradizionali ma che cerca però di capire quello che, parlando di destra, si è sempre cercato di comprendere: la prospettiva politica, le forme di riproduzione del potere, il sostrato sociale originario.
La nuova destra, generalista e piena di differenze interne, è così alimenta da una antropologia del potere, da un substrato sociale tipico del politeismo globalizzato, che nutre il soggetto elettorale detto centrodestra. Questo ne determina il nuovo livello di pericolosità politica riproducendosi, con una neolingua che è, anch’essa, prodotto digitale del politeismo globalizzato. Si tratta di una destra che si riproduce nelle criticità delle società del benessere assumendone però forme simboliche e modalità espressive. Il feroce darwinismo sociale del liberismo non è in discussione in questa destra e la legittimità della sua esistenza politica si deve a questo e all’opportuna distanza, seppur con qualche difficoltà interne, dal periodo della dittatura.
Ma guardiamo piuttosto al fatto che, riproducendosi in questo ambiente, il sostrato sociale della destra veicola comportamenti del passato che – in una nuova veste e in una nuova grande crisi – potrebbero tornare alla violenza del passato grazie alle nuove forme digitali di espressività diffusa. Il punto fondamentale della destra al potere è quindi questo: va capita per come è, come si riproduce, nella nuova ritualità sociale e non per come ce la ricordiamo o come temiamo che possa essere un domani. Non è attraverso le proiezioni ma nell’analisi clinica che questa destra si afferra davvero nel momento in cui è una quota di potere politico immessa nel dispositivo neoliberista che passa sulla società come un rullo compressore.
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