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21/02/2023

“Io agente russo? Una follia. È la crisi del giornalismo”

È un giornalista investigativo leggendario. Da giorni è al centro di critiche velenose e silenzi tombali sul suo ultimo scoop: l’inchiesta secondo cui gli Stati Uniti, in collaborazione con la Norvegia, hanno condotto un’operazione segreta di sabotaggio per distruggere il gasdotto North Stream. Il Fatto ha raggiunto il Pulitzer americano Seymour Hersh.

La Russia vuole richiedere al Consiglio di Sicurezza Onu una commissione internazionale indipendente per indagare sul sabotaggio di North Stream 1 e 2. Lei cosa si aspetta, considerato il silenzio con cui la stampa Usa ha accolto la sua inchiesta?

Il silenzio non è una novità per me. Ma dalle telefonate che ricevo la storia non sta scomparendo dai media, tutt’altro. Sto cercando di capire le ragioni di questo sabotaggio, che in realtà parte da fine 2021.

Perfino gli uomini che l’hanno materialmente eseguito non erano per far saltare in aria il gasdotto. Hanno accolto l’idea di aiutare il presidente Usa Joe Biden nel tentativo di esercitare una minaccia credibile nei confronti di Putin, forse per cercare di fermarlo, all’inizio, prima dell’invasione dell’Ucraina. Ma c’era una chance su un milione di riuscire nell’obiettivo e infatti Putin non si è fermato.

Io però credo che quello che Putin voleva fare fosse tenere lontana l’Ucraina dalla Nato. Ma ogni volta che lo dico finisco nei guai, perché vengo dipinto come una sorta di agente segreto russo: una follia.

Putin non aveva intenzione di conquistare l’Europa: il suo obiettivo era assicurarsi una zona cuscinetto, come era stata l’Ucraina fino al 2014, fino a quando gli Stati Uniti hanno lavorato al colpo di Stato (con la Rivoluzione di Maidan, ndr). Non c’è dubbio che l’abbiano fatto.

Lei è stato criticato per tre aspetti della sua inchiesta: per aver usato una sola fonte giornalistica; perché alcuni dettagli sono stati smentiti da esperti di open source intelligence; per aver scritto che l’attuale capo della Nato cooperò con l’intelligence Usa fin dal Vietnam, solo che allora Jens Stoltenberg era un teenager...

Non parlo delle mie fonti. Ho una lunga storia di scoop basati su fonti anonime. Trent’anni fa pubblicai un’inchiesta sul New Yorker sul generale Barry McCaffrey. Durante la prima guerra del Golfo, nel 1991, McCaffrey aveva attaccato la divisione irachena Hammurabi, due o tre giorni dopo il trattato di pace che aveva posto fine alla guerra.

Quell’unità si era arresa, ma lui aveva ucciso tutti, circa 800 uomini. Avevano coperto la storia. Io lo rivelai. McCaffrey mi attaccò e uscì sul Washington Post una grande storia in cui mi accusava di mentire. La Casa Bianca, allora guidata da Bill Clinton, lo supportò in tutto. Le mie rivelazioni caddero nel vuoto, e il fatto che tutti fossero citati per nome e cognome non fece differenza.

Così quando i media dicono: “Non ci sono fonti citate, è un resoconto anonimo...”, io so già di cosa parliamo. Se il New York Times o il Washington Post scelgono di non riprendere certe notizie, di non scrivere, per me va bene: è un problema loro. Il giornalismo americano sta attraversando un periodo difficile.

E le obiezioni degli esperti di dati open source?

Gli esperti di open source sono sempre molto sicuri di loro, perché dicono: “I dati non mentono mai”. E mostrano mappe e carte... Ma nella nostra intelligence ci sono persone di notevole raffinatezza intellettuale, capaci di “confondere” i dati open source.

E Stoltenberg?

Era un leader delle proteste contro la guerra in Vietnam, venne anche arrestato, a Oslo. Aveva 14 o 15 anni. Se già a quell’età lavorasse o meno con la nostra intelligence non spetta a me dirlo, non lo so. È un personaggio marginale in questa vicenda.

Distruggendo la possibilità per Paesi come Germania e Italia di comprare gas a prezzi bassi dalla Russia e chiedendo di aumentare la spesa militare, gli Usa non rischiano di mandare in bancarotta i propri alleati?

È un tema molto interessante. Il problema non è questo inverno, ma il prossimo. Macron e anche il leader tedesco Scholz stanno parlando con la Cina per le energie rinnovabili. Noi americani abbiamo tutto il gas che vogliamo. La Russia ha perso parte del suo mercato, ma non molti soldi perché vende a India e Cina. In Asia i Paesi che supportano la Russia sono 35-40, ma gli americani non lo sanno perché i media non lo riportano, così come non scrivono del sabotaggio.

Pensa che Kiev possa vincere senza un profondo coinvolgimento della Nato?

(Fa una lunga pausa). Credo che, anche in caso di un maggiore coinvolgimento della Nato, il problema dell’Ucraina resterà tragico. Al momento, Kiev non ha abbastanza armi e la corruzione, ai livelli più alti, è enorme. Ma in Occidente facciamo difficoltà a parlare pure di questo.

Nessuna chance di vittoria, quindi?

La mia previsione è di 1 su 38 milioni. Putin ha sbagliato, è difficile dire una sola cosa positiva su di lui, ha iniziato il conflitto più sanguinoso in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Ma nella stampa americana si scrive: ‘Putin ha attaccato senza motivo’. Be’, di motivi ne aveva: 32 anni di menzogne sull’espansione della Nato a Est. Negli Usa la rabbia verso Putin offusca il dibattito.

Ricorda tutte quelle storie per cui sembrava che stesse morendo, che avesse il cancro? (Ride) Ho letto i suoi discorsi. Non è un idiota, non è un comunista. Ha una sorta di idea mistica della Russia, di ritorno a un passato grandioso, ma non di nuove espansioni.

La cosa curiosa è che, prima della guerra e nonostante la guerra, la Russia aveva grandi scambi economici con l’Occidente. Sopravvive alle sanzioni.

Come Cuba. L’embargo c’è dai tempi di Castro. Mi pare siano sopravvissuti.

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