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24/02/2023

Un anno più vicini al baratro

Un anno fa la Russia governata da Putin metteva il mondo davanti al fatto compiuto, spedendo le truppe dentro i confini dell’Ucraina.

L’Occidente nel suo insieme si è ritrovato con una guerra “aperta” dentro casa dopo aver metabolizzato – e foraggiato – quella che già da otto anni si combatteva nelle regioni del Donbass.

Ancora oggi sono in molti a chiedersi quali siano stati i vantaggi prefigurati dal governo russo mentre optava per questa scelta.

A Mosca la spiegano come una sorta di guerra preventiva per allontanare il pericolo dalle proprie frontiere in presenza di una espansione della Nato dichiarata e perseguita, sia apertamente che silenziosamente.

A Washington e Bruxelles la spiegano come una aggressione russa ad uno stato indipendente – l’Ucraina – insita nella natura e nella fisiologia della Russia, sia nella variabile zarista, che in quella sovietica o nazionalista.

La realtà ci dice che entrambe le versioni hanno una loro base materiale e, se volete, una loro perversa “legittimità”.

La Russia ha ragione nel denunciare l’espansionismo della Nato verso est fino a minacciare i propri confini. Lo stesso Putin, nei decenni scorsi, aveva peraltro chiesto di far entrare la Russia nella Nato, ma ne era stato respinto.

Al contrario, tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia hanno dovuto aderire alla Nato ancora prima di aderire all’Unione Europea. Con l’ingresso delle Repubbliche Baltiche, le frontiere della Nato erano già arrivate ai confini della Russia. Con l’Ucraina che ha inserito nella propria Costituzione l’adesione alla Nato, il cerchio si sarebbe chiuso.

Delle due l’una: o l’Occidente integrava nella Nato anche la Russia oppure sarebbe stata inevitabile una contrapposizione sempre più ostile.

I paesi occidentali – e non solo loro, ovviamente – hanno una qualche ragione nel denunciare l’”illegalità” di una invasione militare verso un paese sovrano. Lo prevedono i fondamenti del diritto internazionale concordato ed a questi, fino a prova contraria, dovrebbero attenersi tutti gli Stati.

Ma l’illegittimità concreta di questa giusta ‘posizione di principio’ sta nei fatti concreti compiuti in questi decenni proprio dai paesi del blocco euroatlantico, che hanno invaso tra gli altri l’Afghanistan e l’Iraq, ridisegnato le frontiere nei Balcani, utilizzato le sanzioni unilaterali come una clava nelle relazioni internazionali.

Sorvoliamo poi sul fatto che l’Ucraina è sicuramente uno ‘Stato sovrano’, ma è tutt’altro che un ‘paese democratico’.

Sovranità nazionale e regime democratico non sempre coincidono. Tantomeno a Kiev, dove la guerra contro le minoranze russe, le persecuzioni politiche, l’egemonia nazionalista e neonazista, erano venute crescendo come metastasi sotto gli occhi più che tolleranti della “civiltà europea”.

Potremmo dunque arrivare ad una sintesi per cui Putin ha avuto torto spedendo i carri armati in Ucraina, ma la Russia ha ragione nel sentirsi minacciata dal corso degli eventi in Ucraina e da parte della Nato.

In questa apparente contraddizione c’erano tutti gli spazi per una soluzione negoziata, prima e durante l’attacco militare della Russia all’Ucraina.

Oggi tale possibilità viene apertamente negata e sostituita dall’opzione meramente militare, che punta alla sconfitta militare della Russia.

Un approccio del tutto sbilanciato che chiude ogni realistico spazio negoziale e affida la soluzione ad una prova di forza sul campo tra il blocco Nato e la Russia.

In pratica è la guerra e solo la guerra, con la speranza che le armi nucleari non abbiano ancora perso la loro funzione di mera deterrenza che deriva dalla “mutua distruzione assicurata”.

I tentativi diplomatici di arrivare ad un negoziato sono stati stroncati da mesi dall’alleanza guerrafondaia tra Usa, Gran Bretagna e Polonia (non a caso definita “la iena d’Europa”, addirittura da Churchill, ndr).

Il piano per la pace e la sicurezza globale presentato in questi giorni dalla Cina viene platealmente ignorato. I tentativi della Turchia sono serviti solo per gli scambi di prigionieri e per aprire i corridoi del grano.

Chi spinge per l’escalation, insomma, è chiaro...

L’escalation di toni a Washington e Bruxelles, l’invio di armamenti con cui si vuole rimpinzare l’Ucraina e mettere la Russia con le spalle al muro, aumentano ancora la velocità con cui la pallina della guerra sta scivolando sul piano inclinato.

Può sembrare paradossale, ma per arrestare le spinte su questo piano inclinato occorre capire quali sono le forze che pensano di avvantaggiarsi dalla guerra per risolvere i propri problemi interni. E queste forze, per la loro storia, natura, crisi, contraddizioni e interessi materiali, oggi sono prevalenti nell’Occidente capitalista, e negli Usa soprattutto.

Assai meno in Europa, Russia inclusa. Sono infatti gli Usa che temono il proprio declino – a partire dall’egemonia mondiale del dollaro – e vedono con terrore la nascita di un mondo multipolare capace di indebolire e sostituire il loro dominio unipolare.

Per fermare la guerra adesso o il prima possibile è necessario che questi interessi siano indeboliti e vadano in crisi. È questa la funzione che i movimenti popolari e contro la guerra dovranno svolgere. Ma il tempo stringe e il piano si va inclinando sempre di più.

Ci vediamo sabato in piazza, a Genova...

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