Durante la visita del segretario alla difesa statunitense Lloyd Austin a Manila, è stato annunciato un nuovo accordo militare tra Stati Uniti e Filippine, che permetterà ai primi di posizionare attrezzature militari e soldati in ulteriori quattro basi del paese insulare.
Tra i due paesi esiste un trattato di mutua difesa sin dal 1951, che è stato rinnovato nel 2014, un anno non casuale essendo allora che tanti dossier internazionali sono andati facendosi più «caldi», come quello ucraino ad esempio con Euromaidan e l’inizio della guerra nelle repubbliche popolari del Donbass. Ora si raggiunge un ulteriore perfezionamento dell’accordo, con il quale Washington potrà avere presidi armati in ben nove basi militari.
Nella conferenza stampa successiva, Austin ha dichiarato esplicitamente che l’accordo è un passo avanti importante per affrontare l’assertività della Cina sulla questione Taiwan, e “rende le nostre democrazie più sicure e aiuta a sostenere un Indo-Pacifico libero e aperto”.
Suonano del tipico doppio standard occidentale queste parole, considerato che il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr., figlio di un altro storico presidente del paese, è arrivato al vertice dello stato con elezioni presidenziali dello scorso maggio molto contestate.
Per alcuni anni, prima e a cavallo del Covid, le Filippine avevano giocato su due tavoli, con l’ex presidente Duterte che puntava a ottenere benefici anche dal rapporto con Russia e soprattutto Cina. Ma già la grande esercitazione militare con i soldati a stelle e strisce dello scorso aprile aveva segnato il ritorno nell’alveo delle “democrazie” a pieno titolo.
È bene ricordare che le Filippine sono un paese in cui, come in Ucraina, il partito comunista è fuorilegge e qualsiasi candidato vicino alle istanze popolari subisce boicottaggi e persecuzioni.
Con la Cina, del resto, Manila ha dei conti in sospeso rispetto alla giurisdizione su alcune isole del Mar Cinese Meridionale, luoghi non secondari a livello strategico date le tensioni del quadrante Pacifico. Indiscrezioni del Washington Post hanno infatti fatto trapelare che una delle nuove basi militari a cui avranno accesso gli USA dovrebbe essere sull’isola di Luzon, luogo adatto per la gestione di qualsiasi operazione che coinvolga Taiwan.
Nello stesso tempo, il corpo dei Marines ha aperto una nuova base a Guam, a est delle Filippine. L’intensificarsi della presenza e dell’operatività statunitense nella zona non ha fatto di certo piacere a Pechino.
Per le autorità cinesi la pace è a rischio, e l’annuncio di questo accordo a ridosso della visita di Antony Blinken, la prima di un alto esponente dell’amministrazione Biden, fa sicuramente il paio con le dichiarazioni del generale statunitense Michael Minihan, secondo il quale la guerra con il Dragone potrebbe scoppiare già nel 2025.
Washington sta alzando la tensione nei pressi del suo principale avversario strategico. Una scelta che rivela la tendenza guerrafondaia occidentale, in un periodo in cui servirebbe invece allentare le tensioni e creare un nuovo sistema internazionale di sicurezza reciproca. Scherzano col fuoco, ma a bruciarsi potrebbe essere l’umanità intera.
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