Orgoglioso dell’origine azera il settantenne Masoud Pezeshkian è il candidato che l’elettorato interno e l’opinione pubblica internazionale non s’aspettavano. Invece il ‘Consiglio dei Guardiani’, l’organo che vigila e seleziona le candidature e ha scelto i sei sfidanti per la carica di presidente della Repubblica Islamica iraniana (si vota il 28 giugno) non solo l’ha inserito nel gruppo, ma non ne limita la campagna elettorale. I Guardiani non brillano per terzietà però una volta proposti i contendenti non interferiscono granché. Solo che fra i pretendenti alla carica, seconda in gerarchia solo a quella della Guida Suprema, Pezeshkian risulta un elemento ben distante dagli altri cinque, tutti conservatori, quattro laici e un chierico. Lui è un riformista, non proprio il Mousavi d’un quindicennio addietro, sicuramente non un ‘principalista’.
Il suo passato è legato agli studi in medicina che, durante il buio periodo di guerra contro l’Iraq, gli ha offerto la possibilità di entrare nelle squadre mediche, gente che serviva la prima linea ma non stava sotto le bombe e i gas di Saddam. Di quell’epoca Masoud può sfoggiare la foto in divisa da combattente, certo non rivendicare un passato da perfetto basij come Jalili, il ‘martire vivente’ con tanto di menomazione d’un arto. Ma della serietà nella vita privata Pezeshkian si fa vanto: ha cresciuto la prole dopo la morte prematura della consorte, ha conservato lutto e fedeltà nella vedovanza, ha adempiuto ai doveri paterni nonostante i molteplici impegni professionali di chirurgo presso l’Università di Scienze mediche Tabriz.
Tradizione e osservanza dei costumi islamici riguardo alla famiglia colpiscono l’elettorato conservatore che potrebbe passare sopra ai suoi orientamenti riformisti. Nati trent’anni fa quando fu viceministro e poi ministro della Salute durante la presidenza di Khatami. Nel 2009, criticando la repressione delle proteste dell’Onda Verde, s’inimicò l’intero fronte conservatore, clericale e laico. Eppure ha continuato a essere eletto nel Majlis, ha sostenuto le aperture per l’accordo nucleare di Rohani nel 2015 e di recente ha criticato la nuova repressione delle rivolte giovanili che denunciavano l’assassinio di Masha Amini.
Estraneo ad appartenenze claniste, chi si stupisce che in questa fase di rigido controllo sulla rappresentanza politica un elemento come Pezeshkian possa calamitare voti fuori dal coro (si vocifera che i fan di Ahmadinejad convoglierebbero le preferenze su di lui per sparigliare il campo e ostacolare la coppia dei favoriti Jalili e Ghalibaf) può trovare nella sua dedizione a Khamenei l’ancoraggio nel sestetto che si gioca la presidenza. Una duplice fede: al ruolo di Guida Suprema, che il riformismo radicale vorrebbe cancellare o ridimensionare insieme al superpotere del velayat-e faqih, e alla persona nonostante l’età, nonostante l’ipotesi d’un “pensionamento”. Il motivo del sentimento sarebbe la comune radice etnica azera, magari lo stesso grande vecchio guarda con occhio benevolo questo candidato spurio, dato tutt’al più per out-sider.
Proprio in apertura di campagna elettorale Pezeshkian s’è rivolto alle minoranze etniche come fattore aggregante per recuperare il voto dei numerosissimi astensionisti nelle aree del nord-ovest del Paese, dove più dura e partecipata era la protesta dell’ultimo biennio. Esiste ovviamente un rovescio della medaglia: messa sul piano etnico la propaganda fa voltare le spalle ai persiani che si ritengono il fulcro della nazione, specie nelle aree rurali.
Secondo i politologi la debolezza di Pezeshkian riguarda alcuni punti nodali della politica economica. Il candidato insiste nel richiedere aperture a capitali stranieri, ma quelli occidentali sono da tempo bloccati dal noto embargo, gli asiatici risentono degli orientamenti d’una geopolitica oscillante e per nulla lineare, proprio gli investimenti del colosso cinese che vanno e vengono starebbero a dimostralo.
Insomma Masoud ci prova, occorrerà vedere chi userà chi. La sua presenza attirerà senz’altro più elettori, e questa è la mossa usata dal “Consiglio dei Guardiani” per aumentare la partecipazione al voto. Ma la disillusione popolare verso il riformismo è elevata e il fronte principalista è attrezzato a evitare sorprese.
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