Le prime difficoltà in Africa per la Francia si sono presto tramutate in una vera e propria Caporetto. Non solo la “Françafrique” – l’insieme delle ex colonie di Parigi in Africa, sottoposte per decenni ad un rigido controllo politico ed economico – sta andando rapidamente in pezzi, ma anche la presenza militare francese nel continente, massiccia fino a solo un anno fa, è stata ampiamente ridimensionata.
Molti dei regimi africani affermatisi negli ultimi anni grazie a colpi di stato militari di stampo nazionalista, infatti, di Parigi e dei suoi militari non ne vogliono più sapere. La maggior parte di loro ha da tempo stretto crescenti relazioni commerciali e militari con la Russia mentre Pechino continua a consolidare la sua influenza economica nel continente. Che i nuovi partner siano migliori di quelli vecchi è tutto da vedere, ma intanto l’influenza occidentale in Africa perde rapidamente terreno.
La Francia, da partner preferenziale (e di fatto obbligato, in virtù dei rapporti di dipendenza imposti da Parigi alle sue ex colonie) è divenuto ormai indesiderabile. E il ritorno a casa di migliaia di soldati francesi è il segno più eclatante della crisi dell’egemonia dell’esagono nel continente africano.
Pechino e Mosca certamente festeggiano, così come la Turchia e alcune petromonarchie che continuano ad ampliare la propria penetrazione nei paesi liberati da Parigi. Gli Stati Uniti – storico competitore della Francia nell’area – oscillano tra la soddisfazione e la preoccupazione: difficilmente le posizioni liberate da Parigi verranno occupate da Washington.
Parigi riduce ulteriormente la sua presenza militare
Ieri alcuni media di Parigi – lo Stato Maggiore per ora non ha confermato le indiscrezioni – hanno fornito i particolari del “ridimensionamento” militare francese in Africa, annunciato all’inizio del 2023 ed in parte già realizzato sull’onda delle proteste popolari o dei diktat di alcuni regimi.
Secondo quanto reso noto dalla stampa, la riduzione delle truppe riguarderà in particolare il Senegal ed il Gabon – rientreranno in patria 100 uomini sui 350 attualmente stanziati in entrambi i Paesi – la Costa d’Avorio (100 militari in meno su 600) e il Ciad (300 unità sulle mille presenti). L’unico punto fermo di Parigi rimane Gibuti, nel Corno d’Africa, dove però oltre ai 1.500 soldati francesi sono presenti numerosi contingenti e basi di vari paesi, tra cui la Cina, gli Stati Uniti, il Giappone, l’Arabia Saudita e l’Italia.
Per Parigi è una “Caporetto”
Per quanto le autorità francesi parlino di un ridispiegamento e di un cambiamento delle caratteristiche dello schieramento militare nel continente africano, al momento sembra proprio che l’uscita di scena di Parigi sia irreversibile. Fino a due anni fa, oltre alle 1.600 unità stanziate in Africa occidentale e in Gabon, la Francia disponeva di circa 5 mila uomini nella regione del Sahel, inquadrati nell’operazione Barkhane, giustificata dalla necessità di contrastare l’avanzata di milizie jihadiste.
L’ascesa al potere di numerose giunte militari vicine alla Russia – soprattutto in Mali, Niger e Burkina Faso – ha tuttavia portato alla progressiva quanto rapida estromissione delle forze francesi dal Sahel e alla loro sostituzione con mercenari di Mosca.
Parigi cerca di salvare il salvabile
Nel tentativo di tamponare l’evidenza perdita d’influenza, Macron ha considerato anche la possibilità di condividere alcune delle sue basi con le truppe statunitensi, che però sono in procinto di lasciare il Niger e il Ciad dopo la pressante richiesta dei governi locali. Un’altra opzione sarebbe quella di chiedere ospitalità alle basi di Washington per piccoli contingenti francesi, in attesa che eventuali cambi di governo nel Sahel permettano un ritorno di Parigi ai grandi numeri.
Come ha spiegato a marzo in commissione Difesa dell’Assemblea nazionale il capo di Stato maggiore francese, Thierry Burkhard, l’ipotesi è ritenuta «auspicabile se vogliamo ridurre la nostra visibilità mantenendo l’impronta minima necessaria per conservare un accesso» all’area.
Secondo Burkhard, la nuova struttura in via di elaborazione dovrebbe consentire di mantenere i rapporti con le autorità militari locali, di raccogliere informazioni e di perseguire partenariati operativi.
Evitando missioni di combattimento, i soldati francesi forniranno essenzialmente addestramento e capacità ai paesi partner, su loro richiesta, ha spiegato Burkhard il quale evidentemente spera che il ridimensionamento delle aspirazioni di Parigi convinca i paesi africani a evitare l’espulsione totale delle sue truppe.
Una presenza militare “meno visibile”
Conscio della gravità della situazione, all’inizio dell’anno Macron ha incaricato l’ex senatore ed ex ministro della Cooperazione, Jean-Marie Bockel, di discutere con i partner africani le nuove modalità da adottare per mantenere una qualche presenza militare francese in alcuni paesi. In un’audizione al Senato svolta a metà maggio, Bockel – nominato inviato personale speciale del presidente in Africa – ha spiegato che la Francia vuole oggi «una presenza meno visibile, ma mantenere l’accesso logistico, umano e materiale a questi Paesi».
Secondo la stampa d’oltralpe, nel corso dell’estate lo Stato Maggiore prevede di istituire un comando dedicato all’Africa, guidato da un generale già designato, di cui non si conosce però ancora l’identità.
Parigi starebbe cercando di evitare l’abbandono totale della Costa d’Avorio e del Senegal, considerati degli irrinunciabili “baluardi di stabilità” nella regione. Ma dopo la cacciata delle truppe francesi da Mali, Niger, Burkina Faso e Gabon, l’ondata di risentimento antifrancese ha coinvolto più recentemente anche Dakar, dove il nuovo primo ministro ed ex leader dell’opposizione Ousmane Sonko ha chiesto chiaramente al suo esecutivo di riconsiderare la presenza militare occidentale nel Paese. «A più di sessant’anni dalla nostra indipendenza, dobbiamo interrogarci sulle ragioni per cui l’esercito francese, ad esempio, beneficia ancora di numerose basi militari nei nostri Paesi, e sull’impatto di questa presenza sulla nostra sovranità nazionale e sulla nostra autonomia strategica», ha dichiarato il primo ministro il 17 maggio in occasione di una conferenza stampa congiunta con il leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon, in visita a Dakar.
Sonko ha ventilato la possibilità di chiudere le basi militari francesi nel Paese, ribadendo il desiderio del Senegal di ristabilire una piena sovranità, il che «è incompatibile con la presenza duratura di basi militari straniere in Senegal».
Contemporaneamente, il solido legame tra Macron e il presidente Alassane Ouattara potrebbe aver convinto Parigi ad anticipare in Costa d’Avorio l’impatto di un risentimento dilagante nella regione (il paese è circondato da paesi governati da giunte golpiste ostili alla Francia) alla vigilia delle elezioni presidenziali fissate per il 2025.
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