La recente approvazione definitiva della legge-cornice sull’autonomia differenziata, firmata anche da Mattarella senza colpo ferire, ha rilanciato dibattito ed iniziativa su una vicenda che si trascina dal 2001 e che pone problemi anche di natura strategica alla sinistra di classe.
È innanzitutto importante superare un’impostazione da talk-show (o, se si preferisce, da teatrino politico) che rende debole questa battaglia contro un progetto, ormai in fase di prima attuazione, che sconvolge il sistema-Paese e porta un ulteriore attacco ai territori e alle classi sociali più deboli.
Quindi un primo nodo è quello che occorre mantenere sempre uno stretto legame tra una lotta che ha sicuramente aspetti territoriali (aggravamento della questione meridionale) ma che non può mai essere slegata da contenuti sociali perchè si rifletterà negativamente anche sulle classi subalterne settentrionali.
Pertanto restano validi gli aspetti migliori del meridionalismo comunista che non ha mai contrapposto Nord e Sud.
Ciò significa, tra l’altro, che la risposta all’autonomia differenziata non può essere soltanto o, prevalentemente, di tipo giuridico-istituzionale (in questo articolo, dato il taglio dello stesso, non toccheremo le questioni relative alle proposte di referendum abrogativo o di ricorsi alla Corte Costituzionale) ma va centrata molto più efficacemente sulla critica al modello di sviluppo che c’è dietro perchè esso non è più attuale ed è controproducente anche rispetto a chi ha sostenuto un progetto che, con espressione di successo ma “aclassista”, è stato definito come “secessione dei ricchi” (occorrerebbe ricordare e precisare che, quando si usa la citata espressione, i ricchi anche al Nord sono esigua minoranza).
D’altro canto, la destra di Governo ha buon gioco perchè gli oppositori del centrosinistra sono effettivamente poco credibili non soltanto perchè, a suo tempo, sono stati loro a modificare il titolo V della Costituzione ma, tuttora, non hanno fatto una vera autocritica: né Bonaccini ha ritirato la pre-intesa raggiunta dall’Emilia-Romagna con l’allora Governo Gentiloni, né lo ha fatto De Luca che nel 2019 ha richiesto la formale apertura di trattative da parte della Campania col Governo per avere maggiore autonomia su sette materie.
In quest’ultimo caso, si arriva a sostenere che si tratta di una richiesta di “burocrazia zero” contro il centralismo dei Ministeri come se questa semplice affermazione servisse a cambiare la sostanza della richiesta fatta.
Inoltre, va ricordato che Francesco Boccia – Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie del Governo Conte II – aveva già preparato una bozza di legge-cornice per l’attuazione dell’articolo 116, co. 3, della Costituzione.
Pertanto, se è vero che nella battaglia contro l’autonomia differenziata occorre non sottovalutare la ricerca di convergenze più ampie, è altrettanto vero che, come sinistra di classe, non si può avere il ruolo di “utili idioti” per andare verso una sorta di autonomia differenziata soft.
La contraddittorietà del centrosinistra influisce pesantemente nella comprensione della politicità dello scontro in atto che viene letto in termini riduttivi come “scambio” tra forze di maggioranza, in realtà ci troviamo difronte ad un vero e proprio progetto di Terza Repubblica da non scollegare nemmeno rispetto all’altra proposta di “riforma” riguardante la separazione delle carriere in magistratura il tutto all’insegna di un tratto complessivamente autoritario di questo Governo com’è confermato anche dal nuovo “Dl sicurezza” a firma dei Ministri Piantedosi, Nordio e Crosetto (ddl n. 1660).
In realtà, non si tratta, per quanto riguarda il centrosinistra, di un’incapacità di lettura del significato dell’attacco politico-istituzionale in atto ma di una parziale/sostanziale condivisione di fatto del disegno della destra non solo sull’autonomia differenziata ma anche sul premierato in quanto non vanno dimenticate nel passato le proposte sul semi-presidenzialismo o le leggi sull’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Regione, o l’appoggio al sistema maggioritario elaborate e realizzate dal centrosinistra.
L’esigenza della chiarezza politica, quindi, non discende da un rifiuto aprioristico di alleanze ma dipende dal fatto che solo se denunciamo la politicità dello scontro in atto potremo contare sulla mobilitazione delle crescenti fette di popolazione che si rifugiano nell’astensionismo.
In tal senso, è importante non concentrarsi soltanto sul Meridione che, ricordiamo, rappresenta una minoranza della popolazione, e per fare ciò è importante far notare ai sostenitori del progetto divisivo che l’autonomia differenziata negli ultimi anni è andata profondamente e strutturalmente in crisi; infatti la “mini-locomotiva” lombardo-veneta non si può più agganciare alla locomotiva tedesca andata in recessione con lo scoppio della guerra Nato - Russia in Ucraina.
Ad esempio, è significativo il dato di Unioncamere che evidenzia come nel 2023 le esportazioni della Lombardia verso la Germania siano calate di ben l’ 8,4% con una tendenza all’aumento nel primo trimestre 2024 (dati ISTAT).
Da quanto sinora argomentato, emerge, però, che problemi di impostazione possono emergere anche rispetto ad una parte del fronte meridionalista non soltanto per questioni d’impostazione generale (non bisogna cedere a controproducenti posizioni da “Lega sud”) ma per elementi di merito.
Infatti alcune parole d’ordine non sono più rappresentative della realtà produttiva del Paese e, in particolare, del Meridione.
Questo è il caso dell’appello al boicottaggio di alcuni “prodotti settentrionali”come prosecco, parmigiano e gorgonzola (si veda, ad esempio, la posizione di Pino Aprile) che se può avere effetto su alcune fasce della popolazione meridionale riflette, però, un’analisi che vede il Meridione prevalentemente come “mercato di consumo”, invece, in Italia è da anni prevalente il modello “export oriented” quantunque oggi lo stesso sia in stagnazione per le tensioni internazionali e l’aumento delle spinte protezionistiche.
L’aspetto relativo alla centralità di questo modello è maggiormente confermato proprio nel Meridione che nel 2023 ha visto i maggiori incrementi rispetto al 2022 in Regioni come la Campania, che con un incremento del 28,9% delle esportazioni è stata la Regione che a livello nazionale ha avuto il maggior incremento seguita dal Molise con un incremento del 21,1% e dalla Calabria col 20,9%.
Del resto, se si restringe il campo al comparto degli alimentari e delle bevande – che dovrebbe essere quello dove operare il boicottaggio – si potrà notare che anche in questo caso i prodotti “nordisti” hanno un forte sbocco all’estero: l’Emilia-Romagna ha avuto nel 2023 un incremento delle esportazioni del 5,5% e la Lombardia del 7,1%.
Insomma il danno economico dell’eventuale boicottaggio non sarebbe rilevante mentre le conseguenze politiche di una simile azione sarebbero deleterie in termini di contrapposizione Nord/Sud; naturalmente anche nel caso di questi settori meridionalisti non vanno sottovalutate possibili convergenze ma sempre nella chiarezza politica.
Nel frattempo è appena il caso di ricordare che mentre l’attenzione veniva concentrata sull’approvazione definitiva alla Camera del ddl Calderoli, il Governo, passate le elezioni europee, procedeva all’invio di un altro pacchetto di armi all’Ucraina all’interno di una progressiva tendenza all’economia di guerra che pone altri pesanti interrogativi sulla fattibilità dell’autonomia differenziata.
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