L’Italia è noto come il paese dei campanili, ma molti di questi rischiano di rimanere silenti nel prossimo futuro. I comuni italiani sono ben 7.896, ma almeno il 6% di questi se la passano male, talmente male che sono sull’orlo del fallimento perché è allarme rosso sui conti comunali.
Sono infatti 470 i comuni in stato di crisi: 257 in predissesto e 213 in dissesto. Un numero pari addirittura al 6% del totale complessivo dei municipi italiani. A certificarlo è una ricerca della Fondazione nazionale dei commercialisti, la quale sottolinea come a soffrire maggiormente siano i piccoli comuni e le aree del Mezzogiorno
Ma quali sono le ragioni di questo allarme rosso? “Uno dei fattori scatenanti le criticità finanziarie – scrivono i ricercatori della fondazione – è l’incapacità di riscossione e quindi di assicurare all’ente l’effettività delle risorse necessarie a garantire la sostenibilità delle spese senza generare disavanzi”.
Un’elaborazione effettuata sui dati 2022 mette in evidenza che nelle regioni in cui si fa più fatica a incassare le entrate locali si registra un’incidenza più alta di dissesti. I picchi più alti si registrano in Sicilia (32%), Calabria (24%) e Campania (22%).
Provando poi ad analizzare il periodo 2012-2024, emergono i casi di cinque enti che hanno dichiarato il dissesto da quasi 10 anni (ben oltre la durata prevista dalla norma, come fa notare la ricerca).
C’è comunque un incremento di dissesti tra il 2018-2023 con un picco nel 2019 (35), un leggero calo nel biennio 2020-2021 per effetto delle misure straordinarie Covid e una ripresa nel 2023 (39).
A soffrire, come anticipato, sono soprattutto i piccoli centri: quasi il 45% dei casi riguarda comuni con popolazione inferiore a 5mila abitanti (e fra questi il 24% rappresentato enti con popolazione addirittura sotto i 2mila abitanti), mentre il 55% si trova nella fascia tra i 5mila e i 99.999 abitanti. Oltre i 100mila abitanti l’unico Comune capoluogo a rischio è Catania.
Una dinamica molto simile si verifica per i comuni in pre-dissesto: il 53% ha una popolazione inferiore a 5mila abitanti e si concentra per quasi la metà al Sud, mentre il 46% è raggruppato nelle classi con popolazione compresa tra i 5mila e i 100mila abitanti, anche in questo caso concentrato per il 44% al Sud.
Solo il 2% dei comuni si colloca nelle classi demografiche con popolazione superiore a 100mila abitanti e si tratta di capoluoghi di provincia situati prevalentemente al Sud (Alessandria, Andria, Avellino, Brindisi, Imperia, Lecce, Messina, Napoli, Palermo, Pescara, Potenza, Rieti). Il dato delle procedure di pre-dissteso o dissesto al Nord (il 12%) è concentrato nei Comuni con popolazione inferiore a 5mila abitanti.
Questa condizione ha anche molto a che a fare con lo spopolamento delle aree interne sulle quali lo stesso PNRR ha eliminato i fondi previsti per concentrarli nelle Zone Economiche Speciali sulle coste, nei pressi di porti e aeroporti.
Tra degrado idrogeologico ed eventi sismici, ripetuti e devastanti, e depressione economica, spopolamento etc., la geografia sociale del paese sta cambiando profondamente. In particolare la zona appenninica, le zone interne – con maggiore intensità nel centro-sud – si vanno desertificando. Ma la questione non sembra appassionare nessuno, né il governo né le regioni.
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