L'anniversario
Una voce flebile sussurra "I
never meant to cause you any sorrow..." facendo ammutolire l'intero
club, in una notte afosa di Minneapolis. E' il 3 agosto del 1983. Il
cantante imbraccia una chitarra, ha un'acconciatura alla Little Richard e
indossa giacca viola e camicia bianca con le ruches. Il suo nome è
Rogers Nelson, per gli amici Prince.
Dopo La lunga introduzione strumentale di una chitarrista appena
diciottenne, Wendy Melvoin (la metà del leggendario duo Wendy &
Lisa), il Principe di Minneapolis inizia a cantare un brano che avrebbe
fatto la storia, dando il titolo all'album pubblicato poco più di un
anno dopo, il 25 giugno 1984. "Purple Rain", sesto Lp nato dalla fervida
fucina di Prince. Poco più di un mese dopo, il 27 luglio, uscirà
l'omonimo film a cui il disco faceva da colonna sonora. Una pellicola
bizzarra, diretta da Albert Magnoli, in cui il buon Rogers Nelson
vestiva i panni di The Kid, un giovane cantante da night-club in perenne
competizione con altre due band, destinato a sfogare sul palco tutte le
frustrazioni di una vita familiare deprimente, a causa dei suoi
genitori litigiosi e violenti. The Kid canta di una pioggia viola che
appartiene alla fine del mondo: "Blood and sky mixed (I know times are
changin’/ it’s time we all reach out/ for something new…)" e che ha a
che fare con il restare accanto alle persone care, fidandosi e
affidandosi. La pioggia è l’elemento purificatore, mentre il viola è
l’alba, un nuovo inizio.
Di lì a poco, l'album e il film proietteranno Prince nella stratosfera della pop culture. Il genio di Minneapolis inizierà a riempire le arene, al pari di Bruce Springsteen, Madonna e, soprattutto, quel Michael Jackson con il quale ingaggerà una perversa (e in parte fuorviante) competizione.
Magistrale sintesi di soul, funk e rock hendrixiano (ascoltare per credere l'assolo finale della title track),
"Purple Rain" venderà oltre 25 milioni di copie in tutto il mondo,
mentre il film incasserà al botteghino oltre 70 milioni di dollari
contro un budget di poco più di sette.
Il
resto è storia. Di un album, di un brano e di un genio, che avrebbe
continuato a dispensare perle di creatività per almeno altri tre
decenni, fino alla sua tragica - e Dio sa quanto prematura - scomparsa,
avvenuta il 21 aprile 2016. "Sometimes its snows, in April", cantava. E
in aprile se n'è andato, lasciando un vuoto incolmabile tra i suoi fan e
tra tutti gli appassionati di musica.
Ora, a quarant'anni esatti
dall'uscita di quel capolavoro, la sua Minneapolis non aspetta altro che
festeggiare il suo genio. Oltre a una serie di concerti che, tra gli
altri, si svolgeranno proprio nello storico locale in cui "Purple Rain"
debuttò nel 1983, ai fan sarà data la possibilità di vedere da vicino,
gratuitamente, il costume che Prince indossò nel film. L'abito sarà
infatti in mostra fino al 27 luglio nell'atrio della Gale Family Library
all'interno del Minnesota History Center. Il costume, disegnato da
Louis Wells, Vaughn Terry, e Marie France, è stato acquisito nel 1987
dall'istituzione storico culturale. Concerti e tavole rotonde si
terranno anche a Paisley Park, il quartier generale in cui Prince
visse fino a quel tragico giorno del 2016, quando - secondo i risultati
dell'autopsia - un'overdose accidentale da Fentanyl se lo portò via.
"Purple
Rain" sbarcherà anche sui palcoscenici. L'anteprima mondiale, prima del
debutto a Broadway, dell'adattamento teatrale si terrà allo State
Theater di Minneapolis. L'opera, diretta da Lileana Blain-Cruz, è basata
sulla sceneggiatura originale scritta da Albert Magnoli e William
Blinn.
Oggi, 25 giugno, inoltre, il film originale esce in versione
4K e su diverse piattaforme digitali, sotto l'egida di Warner Home
Video. La nuova versione in 4K Uhd della pellicola, che nel 1985 vinse
il premio Oscar per la miglior colonna sonora, comprende anche un bonus content con otto video musicali.
(Claudio Fabretti)
La recensione
È durante il giro di concerti lungo tutto il Nord America che Prince presenta a sorpresa alcune canzoni che andranno a comporre il sesto album. Tutto avviene una sera dell'agosto 1983, in Minnesota, quando il pubblico radunato al First Avenue per un concerto di beneficenza si trova ad applaudire tra le altre "I Would Die For You", "Baby I'm A Star" e "Purple Rain". Le cose sul palco funzionano talmente bene che Prince decide di usare le registrazioni per il suo nuovo progetto in studio. Ma c'è di più: durante il lungo tour il musicista ha seriamente pensato a una sceneggiatura cinematografica da concretizzare in un vero e proprio lungometraggio dal sapore autobiografico, dove si racconteranno le vicende di Kid, l'alter ego dello stesso Prince, combattuto tra una vita familiare non proprio idilliaca, con un padre dispotico e violento, e le sue aspirazioni artistiche, spesso frustrate. In mezzo, la storia d'amore tra il protagonista e la solita splendida ragazza, inevitabile in script di questo genere. Le riprese, iniziate a Minneapolis nel novembre dello stesso anno, avrebbero portato al rock movie "Purple Rain", affidato alla regia di un certo Albert Magnoli che si trovò a filmare una produzione tutt'altro che milionaria. La colonna sonora sarebbe stata affidata alle nuove tracce registrate questa volta da Prince in piena collaborazione con il suo gruppo denominato Revolution. Ensemble che aveva accolto tra le sue braccia la nuova chitarrista Wendy Melvoin, subentrata al dimissionario Dez Dickerson.
L'esperienza cinematografica conferma l'espansione degli interessi del nostro ma anche l'intenzione di allargare quello che sta diventando un vero e proprio clan. E tra musicisti e artisti che si avvicendano accanto a Rogers Nelson non possono certo mancare le belle donne che, con la loro sensualità, vengono spesso celebrate dalle liriche spinte e provocatorie dell'artista. E se durante il tour seguito a "1999", l'accompagnatrice principale era stata Vanity (poi leader delle Vanity 6, prodotte dalle stesso Prince, attrice e sposa di altri musicisti), per il 1984 la protagonista assoluta è la sconosciuta Apollonia Kotero, portata addirittura di fronte ai microfoni durante le registrazioni dell'imminente sesto album. E quello che accade durante l'anno che celebra l'America e le Olimpiadi di Los Angeles ha dell'incredibile: in una stagione a stelle e strisce dominata in lungo e in largo dalla seconda British Invasion (con Duran Duran, Culture Club, Eurythmics, ma anche Def Leppard, sugli scudi), di fronte all'immenso successo di Michael Jackson e dei quasi dissolti Police, Prince frantuma quasi tutti i record, battendo in volata il contemporaneo ritorno di Bruce Springsteen nato in the Usa: "Purple Rain", nella sua versione a 33 giri, si issa in cima alle classifiche americane per ventuno settimane consecutive (solo "Thriller" aveva saputo fare meglio con 28!), produce due singoli al numero uno, "When Doves Cry" e l'omonima ballata, vende otto milioni di copie (cifra oggi salita a 15, sempre per quel che riguarda il mercato statunitense), e si estende in un tour estenuante e spettacolare. Ma le sorprese non sono certo finite: il film, costato non certo uno sproposito, diviene un successo enorme e supera i 100 milioni di dollari d'incasso, portando la colonna sonora addirittura al premio Oscar!
In questo tornado di eventi, Prince non perde certo di vista l'aspetto musicale. La prima novità riscontrabile è strumentale: se il precedente lavoro era di fatto dominato dall'impasto tastieristico, in "Purple Rain", Prince decide di mettere in primo piano la chitarra. E tra svisate, ricami ed espressioni facciali del titolare, tutto sembra ricondurre al mito di Jimi Hendrix. E i media non si tirano indietro, alimentando il paragone. Che Prince, giudicato spesso vanitoso e presuntuoso, soffre e giudica scomodo: "Sono più legato allo stile di Carlos Santana, al suo modo di suonare più delicato, femminile", sussurra, a più riprese, un principe ormai deciso a non rivelare più niente agli organi di stampa. Ma l'intro dell'album non ammette repliche: "Let's Go Crazy" è un irruento e agilissimo esempio di rock adrenalinico; un'apertura affidata alla voce di Prince in pose da predicatore, il suo invito a lasciare i pensieri dietro l'angolo, a scatenarsi in una catartica danza. I Revolution costruiscono un'impalcatura sempre sorretta dall'ormai classico Minn-Sound, e la chitarra del maestro a condurre le danze, fino all'estremo sacrificio, le ultime note tirate a grande velocità con l'evidente supporto hendrixiano del wah wah. Ma non c'è respiro: le rullate pirotecniche, l'ammaliante suono dei synth quasi in odore di psichedelia, un'andatura incalzante utile a descrivere la nuova love story tra Prince e Apollonia, chiamata anche a pertecipare ai cori in "Take Me With You". Una passione che non frena di fronte a nulla: "Beautiful Ones", una ballata spaziale, baciata da una produzione iper-moderna, con il drumming rallentato e un incessante uso di delay, l'invocazione di Prince che non cade mai nel mieloso, grazie anche a un interpretazione vocale ora disperata, ora viziosa, spesso isterica. Il ritorno all'irruenza viene accolto dalla chitarra insinuante di "Computer Blue", ma la produzione stellare con un lavoro di echi incredibile e la sovrapposizione delle voci cancella ogni idea di rozzezza senza per questo snaturare l'animo rock del brano, dove nel finale Prince rende anche i suoi omaggi alla scuola degli heavy-singer. La nuova vicenda dalle tinte erotiche, a tratti molto hardcore, vede protagonista una famelica femme fatale, quella "Darling Nikki" che il genietto incontra nella hall di un albergo a cinque stelle, sorprendendola nell'atto di masturbarsi con le pagine di un quotidiano. Sostenuta da un struttura armonica coraggiosa e da un andamento futuristico, la donna seduce Prince e gli fa vivere una notte di sesso estremo, lasciandolo solo e inerte nel letto disfatto.
Il mega-successo di "When Doves Cry" (oltre due milioni di copie vendute) viene inaugurato da una distorta sequenza pentatonica per confluire in un andamento sincopato e obliquo dove non c'è traccia di basso! Quasi la descrizione di una storia giunta al sua capolinea, la confessione estrema dell'autore di fronte alla solitudine di un amore spezzato. Il finale è affidato a un clamoroso e inatteso solo tastieristico, velocissimo eppure poetico, degno per un finale di stampo quasi cinematografico. Con "I Would Die For You" si entra nella dimensione live, con Prince che confessa, sul consueto ed eccitante passo tipico del Minneapolis-Sound, con spazzole, tastiere ed echi, di non essere né uomo né donna, ma solo un comprensivo amante. Il concerto prosegue con il brano forse più tradizionale nel suo andamento funky-soul, "Baby I'm A Star", contraddistinto da un ritmo potente, lucido e preciso. L'ormai mitico finale è affidato alla ballata "Purple Rain", eterno evergreen del Principe, manifesto anche estetico del suo periodo viola (o porpora): solenne, romantica, con un trasporto chitarristico lirico e hendrixiano e la conclusione orchestrale, dilatata, per nove minuti di estasi pop.
Grazie alle canzoni di "Purple Rain", Prince trova la quadratura appropriata per sfondare definitivamente anche a livello sociale. Il segreto è tutto in un songwriting asciugato, modellato verso una forma di canzone più classica, almeno a livello di minutaggio dei singoli brani, ma mai compromessa alle logiche di mercato, se non a quelle dello stesso Prince.
(Davide Sechi)
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