In autunno saranno 15 anni dalla rivelazione che i conti della Grecia erano stati truccati per consentire l’ingresso nell’euro da parte di Atene. Fu l’inizio della lunga era delle cure lacrime e sangue per il popolo greco, che dallo stesso euro era incastrato nei voleri della Troika.
La crisi del debito greca rese evidente come la gabbia dei vincoli europei poteva forzare la distruzione dello stato sociale e, a lungo termine, la ristrutturazione degli assetti proprietari, produttivi e di manodopera di un intero paese. Certo, la Grecia non contava come la Germania, ma si rese evidente che la trappola del debito serviva proprio a questo.
Come dicevo, a pochi mesi da questo nefasto anniversario, è il caso di cominciare a fare qualche considerazione sulla situazione ellenica. Anche perché dal miglioramento del rating del debito, concesso da Standard & Poor’s a maggio, all’annuncio che Atene avrebbe ripagato in anticipo oltre 8 miliardi di prestiti, sono apparsi vari articoli di glorificazione dei risultati greci.
L’occasione per mettere in fila alcune prime valutazioni arriva con il primo luglio: domani, infatti, entrerà in vigore una legge che permette di reintrodurre la settimana lavorativa di 48 ore, 8 al giorno per 6 giorni la settimana. Già basterebbe questo per capire che c’è poco da glorificare nella Grecia modellata dalla Troika.
Da lunedì, gli imprenditori del settore industriale, delle telecomunicazioni, del commercio al dettaglio e dei servizi garantiti 24 ore su 24 potranno richiedere questa estensione della settimana lavorativa. Ovviamente, il tutto viene millantato come un guadagno per i lavoratori.
La riforma viene presentata come uno strumento per combattere il lavoro nero. In Grecia, infatti, è già permesso alle aziende di richiedere due ore al giorno di straordinario non pagato, seppur solo per brevi periodi e su base volontaria.
In questo modo, si dice, finalmente queste ore verranno riconosciute al lavoratore, con una retribuzione maggiorata del 40% nel sesto turno di lavoro, addirittura del 115% se effettuato in giorno festivo.
Ci mancherebbe che il lavoro non venisse pagato, e che quindi, lavorando di più, non si guadagnasse di più... sorgono però un po’ di dubbi sulla logica della nuova legge.
Innanzitutto, non si capisce come l’istituzionalizzazione di una giornata in più di lavoro dovrebbe far emergere il lavoro nero o gli straordinari non pagati.
Soprattutto se queste ulteriori otto ore saranno persino più costose per il padrone, che le due forme di impiego sopra citate le usa proprio per aumentare il margine di profitto.
Ci sarà ovviamente chi usufruirà dell’opportunità, perché risulterà in linea di massima conveniente regolarizzare quel turno in più. E tuttavia significherà lasciare le cose così come stanno, continuando a favorire lo sfruttamento intensivo della manodopera, guadagnando sul “plusvalore assoluto“, si sarebbe detto una volta.
I greci, dati Eurostat 2023 alla mano, sono già coloro che lavorano più ore alla settimana (39,8 contro le 36,1 della media UE). Con la riforma che arriva a compimento domani e che è stata varata nel settembre scorso, è stato pure previsto che chi fa un lavoro a tempo pieno potrà farne anche uno part-time, per un massimo di 13 ore giornaliere.
Possiamo immaginare quanto, se i datori di lavoro decideranno di regolarizzare i propri dipendenti secondo le nuove norme, le registrazioni ufficiali segneranno semplicemente un innalzamento dell’orario lavorativo che è già un dato di fatto.
Un’elaborazione di Openpolis, sempre su dati Eurostat, ha mostrato che nel 2021 già il 12,6% dei greci lavorava più di 48 ore a settimana, anche in questo caso primi in UE.
E dico se decideranno di usare le nuove misure perché, come specificato, non saranno convenienti per i bilanci delle aziende, e i lavoratori non hanno di certo la forza contrattuale per imporle.
Il salario minimo è stato alzato fino a 830 euro mensili, ma non è minimamente sufficiente a far fronte all’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione.
Nel 2022 il salario mensile medio lordo era arrivato a 1.176 euro, in aumento del 5,2%, ma l’aumento dei prezzi è stato del 9,3%. E non si tratta di una dinamica legata solo al recente picco inflazionistico, perché già all’epoca i salari medi reali erano di circa il 25% più bassi rispetto al 2009.
C’è di più, perché lo spauracchio del default è stato usato anche come testa d’ariete contro le organizzazioni sindacali. Vari contratti collettivi sono stati sospesi, e così se nel 2010 quasi tutti i lavoratori rientravano in uno di essi, nel 2024 solo il 24% dei lavoratori del privato ha questo tipo di copertura.
Salari da fame e copertura dei contratti collettivi ridotta all’osso: è facile capire perché la ricerca di un doppio lavoro sia una necessità e perché il lavoratore si trovi in una condizione di debolezza nei confronti del padrone. E si capisce anche perché le due ore di straordinario erano tutto fuorché ‘volontarie‘.
Infine, è sempre attraverso uno sguardo d’insieme che si può smontare l’ultima motivazione con cui è stata giustificata la riforma, ovvero la mancanza di manodopera qualificata.
Sono solo alcuni piccoli segmenti di alcune filiere che avranno necessità di stabilizzare l’allungamento di orario di alcuni dipendenti, che oggi è difficile trovare in Grecia.
Il turismo, settore che attualmente sta trainando la crescita ed è risaputamente a basse competenze, sguazza nella disoccupazione a due cifre e nello sfruttamento intensivo. Il limite delle 40 ore settimanali, non a caso, era già stato tolto la scorsa estate per questo settore.
Ma esso non è di certo attrattivo per i giovani laureati di un paese che ha già largamente tagliato le sue spese in istruzione, su ordine di Bruxelles. Solo tra il 2012 e il 2017 mezzo milione di persone se ne sono andate dalla Grecia, per lo più giovani, e tra di essi intorno ai 180-200 mila erano laureati.
Secondo uno studio di quegli anni dell’organizzazione imprenditoriale Endeavor Greece, il 71% di loro si è diretto verso un altro paese europeo, e tendenzialmente quelli che offrivano più opportunità: Germania e Francia innanzitutto. Si chiude il cerchio cominciato coi memorandum della Troika.
Il caso greco rivela la funzione di fondo che hanno avuto i trattati europei e l’euro. La gabbia dei vincoli di Bruxelles ha favorito l’abbattimento dello stato sociale e delle tutele dei lavoratori, la riorganizzazione delle filiere continentali intorno a un centro forte, e il furto di cervelli di questo centro dalle periferie deindustrializzate.
Un progetto che doveva portare la UE a giocarsela con altri grandi attori globali come gli USA e la Cina. Un progetto che stanno pagando i popoli della periferia economica del continente e i settori popolari in generale di tutti gli stati membri della comunità europea.
Altro che miracolo greco. È sul sangue dei popoli che questa UE si appresta ad altri cinque anni di ipercompetizione e guerra.
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