Se dobbiamo dare un giudizio sulla coalizione sociale che ha come portavoce, e sponsor più importante, il segretario Fiom Maurizio Landini ci viene da dire così: più che un soggetto politico, o sindacale, sembra un futuro anteriore. Cosa intendiamo?
Più volte, dalle dichiarazioni ufficiali al dibattito in rete, abbiamo infatti sentito una frase del tipo “quando la coalizione sociale sarà costruita” oppure, con linguaggio più politico, “quando la colazione sociale sarà delineata”. Proprio quello che, nel linguaggio grammaticale, si chiama futuro anteriore. Quando il delinearsi dello spessore di un soggetto, o della reale portata di un evento, viene collocato nel futuro. In questi casi, specie quando la grammatica cede il passo alla logica, viene da ricordare che il futuro anteriore, l’azione che rivelerà lo spessore del soggetto o la portata dell’evento, può essere sia qualcosa di certo come di pericolosamente ipotetico.
La due giorni di Roma, se si sta alle cronache e ai report di chi c’era, ha visto esponenti di soggetti di movimento come Communia, o come le camere del lavoro autonomo e precario, e associazioni di volontariato come Emergency o Libera e osservatori di Sel, Prc e civatiani assieme a qualche fuoriuscito, evidentemente da sinistra, del Movimento 5 Stelle. Ovviamente la parte del leone l’ha giocata Landini, per il peso mediatico che ha assunto la sua persona e per quello sindacale e organizzativo della Fiom. Quattro le linee di discussione: sapere e conoscenza, industria e ambiente, nuovi diritti e nuovo welfare, abitare e difesa degli spazi pubblici.
In questo senso, visti i temi, si può dire che si tratta autenticamente di temi sociali per come li concepisce l’attuale (a dir vero piuttosto ristretta) sinistra: un nucleo di diritti sociali inalienabili a prescindere dalla contingenza economica e dalle evoluzioni del quadro politico. Risalta un po' l’assenza di accenti su sanità e cura alla persona, a livello di immagine mentre nelle assemblee l’argomento è stato toccato, che dovrebbe essere un tema molto caldo per chi lavora sulla filiera sanità-salute-biopotere-sociale. Ma è anche vero che questi temi, una volta sviluppato il carattere sociale della coalizione, sono destinati ad emergere visto il disastro del complessivo sistema clientelare-liberista della sanità italiana. Questo progetto di messa a rete di sindacato, associazioni, movimenti di settore - perché, nel bene e nel male, la coalizione sociale è questo - sembra muoversi in autonomia, e questo è naturale, e con una certa circospezione. Perché sono tutti da sciogliere i nodi del rapporto con la Cgil prima e con la politica istituzionale poi. Qui risulta interessante fare un confronto con il passato. Nella stagione dei fori sociali del dopo Genova, di cui la coalizione è indubbiamente erede, questi nodi furono sciolti nel senso della convergenza verso un più ampio centrosinistra. Specie grazie alla spinta dei soggetti più forti, come il Prc, dell’ala istituzionale dei fori sociali. Finì con una coalizione sinistra-centrosinistra, tutta giocata sul piano della politica ufficiale, che portò Prodi, ex commissario della Ue liberista, alla presidenza del consiglio, con Padoa Schioppa (poi consulente del governo greco, quello colonizzato dal Fmi) ministro dell’economia, il protocollo peggiorativo degli scatti pensionistici e la conferma dell’intervento militare in Afghanistan. Era un governo non solo piena espressione di quanto contestato a Genova 2001 ma, anche, non in grado di valutare pienamente l’impatto, nel nostro paese, della crisi finanziaria che stava montando. E che, in forme diverse da allora, dura ancora. Dopo quella stagione la sinistra istituzionale, assieme ai movimenti di riferimento, esplose. Oggi la coalizione sociale, o la forma che assumerà, è destinata a dover passare di nuovo da questi nodi del rapporto con la Cgil e con il centrosinistra. Entrambi i soggetti in questione, come accade in politica, sono mutati - la prima ormai è solo un monumento di paralisi sindacale mentre il secondo è un clone della fu Forza Italia - ma i nodi da sciogliere non sono di quelli facili. Un esempio? Usiamo il meno politicista: se la coalizione sociale dovesse dire parole chiare sulla legge dedicata al terzo settore, attualmente al vaglio delle camere, qualche membro del soggetto di cui Landini è portavoce avrebbe più di un problema. La legge infatti, che sembra ispirata dall’esperienza, peraltro fallita, della Big Society di Cameron, e qui gli ispiratori londinesi di Renzi possibile ci abbiano anche messo bocca, sembra proprio un bel tassello per la privatizzazione dei beni comuni (non solo sanitari ma anche educativi). Eppure dalla due giorni non arriva, pubblicamente, voce sul tema. Anche perché qualcuno sembra in conflitto di interesse come possibile beneficiario di questa legge, che vuol privatizzare alla Cameron, e anche come difensore, almeno sul piano retorico, dei beni comuni. Quanto al nodo più politico-istituzionale, quello di porsi o meno verso il Pd nello stesso modo con cui Syriza si è posta verso il Pasok, per adesso è tenuto più lontano possibile.
Ma un punto più importante, anche perché non esistono movimenti senza contraddizioni più o meno generatrici di conflitto, è la concezione dell’economia che esce da queste giornate. Se prendiamo come punto di riferimento, nella concezione dell’economia della possibile coalizione sociale, il manifesto di Pianta, fatto assieme ad altri colleghi di Sbilanciamoci, qualche dubbio emerge. Infatti per quanto sia ben spiegata, e condivisibile in pieno, la filiera dei diritti da tutelare evidenziata da Pianta non si capisce bene quale economia, in Italia, sia in grado di sostenerla. Insomma, la coalizione sociale, per far quadrare il cerchio dello sviluppo parallelo di economia e protezione della cittadinanza, dovrebbe aver trovato il modo di far crescere il paese a ritmi cinesi, ma con con diritti da socialdemocrazia nordica degli anni ’70-’80, isolandosi dal liberismo Ue e senza veri conflitti con la Bce. Tutto questo in una cornice di democrazia verde, ambientalmente sostenibile. È evidente che, oggigiorno, il Manifesto di Pianta, appoggiato da Landini, è una petizione di principio scritta in linguaggio da economia dei diritti. Il punto è però che l’economia, figuriamoci il livello di comando che la sussume cioè la finanza, entra in plateale contraddizione con questi principi. E non è un piccolo dettaglio in un una eurozona che coordina quasi venti paesi, tra cui il nostro, dove i ribassi salariali sono lo strumento, anzi l’istituzione, che garantisce i capitali gettando sul lavoro tutta la propria crisi di accumulazione economica. Qui il discorso è chiaro: o Pianta e Landini si rendono conto che hanno un programma esplosivo, che porta una serie impressionante e dura di conflitti anche se presentato col sorriso, oppure qualcosa non va nella loro concezione del rapporto tra economia e diritti.
Altrimenti, si tratta di trovare un modello economico in grado di garantire questi diritti, farne motore di crescita di un paese, e nel mondo globalizzato non è uno scherzo. Oltretutto senza sovranità monetaria, con quella statuale ridotta a questione trascurabile, con il ruolo di governance pubblica ridotto ad aspetto spesso meramente simbolico.
L’altra questione da rilevare è quella sul reddito di cittadinanza, proposto da Landini. Senza entrare nel merito della proposta: chi conosce le procedure di revisione dei bilanci pubblici dell’eurozona, e le proposte tedesche di ulteriore irrigidimento, si sarà messo a sorridere. Il reddito di cittadinanza, misura irrinunciabile in una società in cui, causa anche le evoluzioni tecnologiche, il lavoro tende a contrarsi anche significativamente, è sicuramente una stella polare delle politiche che guardano al futuro. C’è un piccolo problema: di questo non bisogna convincere la Boschi, o il direttivo della Cgil, ma il combinato di istituzioni e procedure che sta tra Bruxelles, Francoforte e Berlino. E già oggi questo combinato di procedure di controllo bilancio italiano, tra two e six pack, è abbastanza stretto. Basta vedere i siti istituzionali europei per sapere che una misura come il reddito di cittadinanza in Italia verrebbe automaticamente bocciata da Bruxelles. E, se necessario, sanzionata dalle borse. Si tratta di raccogliere questa sfida per la durezza che comporta, non per come si vorrebbe che fosse. Oltretutto una misura del genere in Italia inciderebbe non poco sui rapporti Eurozona-Grecia. Per non dire che si tratterebbe di misure, quelle italiane, in piena linea di scontro con l’Europa. Così non ci vuole molto a capire che la strada per il reddito di cittadinanza passa per una alleanza, visibile e d’impatto, con Atene. In modo da far saltare le certezze sull’austerità nella plancia di comando europea. Con Atene sola, con le vertenze italiane fuori sincrono con la grande platea della politica continentale (come rischiano di essere) il rischio è di proporre una vertenza che non sfonda in Italia e mostra l’isolamento della Grecia. Una doppia sconfitta in un colpo solo. Il problema è che, in questo modo, la coalizione sociale in Italia si dovrebbe trovare subito in faccia i nodi Cgil e centrosinistra che di mettere in discussione il controllo del two e six pack - tanto meno il pareggio di bilancio in costituzione voluto da Bruxelles, votato dal Pd e da smantellare se si vogliono promuovere le misure della coalizione sociale - non ci pensano nemmeno.
Per il resto la visione del “sociale” della coalizione privilegia la sola dimensione assembleare e territoriale. Eppure nel 21esimo secolo solo iniziative strategiche sul campo tecnologico, del credito digitale alternativo e della comunicazione sono in grado di tutelare questa dimensione assembleare e territoriale. Ma qui la sinistra sconta ancora ritardi paurosi per la presenza di un ceto politico chiuso e corporativo che sia istituzionale o di movimento. Per non parlare dei media: qui siamo di fronte a soggetti dichiaratamente mediofobi, lo diciamo in senso buono, ma pronti a riversarsi sui giornalisti per apparire nei tg e nei talk. Qualcosa, per non dire molto, va rivisto. Anche perché senza un protagonismo dei movimenti nei flussi di comunicazione la minorità politica, come si sa da decenni, è assicurata. Ma su questo vale la pena di tornare in altri momenti, se la coalizione sociale si sviluppa.
Per concludere Landini ha assicurato che la coalizione “si farà” sui territori. Un altro futuro anteriore. Ma da vicino, dai territori, si capirà meglio quanto c’è di futuro e quanto di anteriore, nel senso di passato non più proponibile, nella proposta di Landini. Per adesso ci sono delle certezze, il percorso continuerà, e ci sono degli interrogativi sulla direzione di questo cammino. Di sicuro, con la crescita della Lega e il governo Renzi, radicarsi in modo significativo in un paese tanto spoliticizzato quanto impaurito dalla crisi, non sarà uno scherzo.
Redazione - 9 giugno 2015
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