La seconda rata di Mafia Capitale demolisce, parzialmente, il business dell'"accoglienza" dei migranti. Ancora una volta bisogna sottolineare due cose: tutti i partiti dell'amministrazione locale risultano coinvolti e la parte del leone - nel ramazzare soldi pubblici - la fanno quegli stessi fascisti che ancora in queste ore "manifestano" contro i migranti in carne e ossa.
Il nuovo blitz all'alba per il momento dà i numeri (44 arrestati), ma un solo nome: quello di Luca Gramazio, "figlio d'arte", di quel Domenico cresciuto nella sezione del Msi di piazza Tuscolo, uno dei vertici del "triangolo nero" di Roma Sud, negli anni '60 e '70, insieme a via Noto e Acca Larenzia.
Granazio è accusato di partecipazione all'associazione mafiosa capeggiata da Carminati, mettendo così a frutto personale la carica di consigliere regionale del Pdl. Il solito vecchio gioco: tu mi procuri i voti, io ti affido un servizio pagato con soldi pubblici, tu mi dai parte del guadagno (illecito).
Il business, anche questa volta, riguarda i campi di "accoglienza" per migranti, rifugiati e rom. Gli arresti sono stati effettuati tra Roma, Rieti, Frosinone, L'Aquila, Catania ed Enna. I reati contestati dalla procura distrettuale antimafia di Roma sono associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori ed altro.
E' la seconda puntata dell'inchiesta che ha portato in carcere "er cecato" - il terrorista dei Nar, ma contiguo anche alla banda della Magliana, Massimo Carminati - oltre al boss delle coooperative del Pd, Salvatore Buzzi. L'ordine di cattura conferma "l'esistenza di una struttura mafiosa operante nella Capitale, cerniera tra ambiti criminali ed esponenti degli ambienti politici, amministrativi ed imprenditoriali locali", che andavano a costituire un "ramificato sistema corruttivo finalizzato a favorire un cartello d'imprese, non solo riconducibili al sodalizio, interessato alla gestione dei centri di accoglienza e ai consistenti finanziamenti pubblici connessi ai flussi migratori".
Un ruolo centrale, secondo i magistrati, era ricoperto da Luca Odevaine che, "in qualità di appartenente al Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale, è risultato in grado di ritagliarsi aree di influenza crescenti" nel costruire un business sicuro.
E non sembra una illazione eccessiva ritenere che questo ramo dell'inchiesta parta proprio dalla collaborazione con gli inquirenti da parte dello stesso Odeavine, salito ai vertici dei poteri capitolini - nonostante una vecchia condanna per droga - come vice capo di gabinetto con Walter Veltroni, poi capo della polizia provinciale con Nicola Zingaretti e poi approdato al Coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell’Interno.
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