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12/06/2015

Studio Ocse: "Le grandi navi non sono un vantaggio per la collettività"

Vista la recente approvazione della Darsena Europa e l'imminente bando, proponiamo un articolo del sito specializzato The Meditelegraph, del gruppo editoriale del Secolo XIX, una piattaforma che si occupa di analisi dell'economia marittima, logistica e dei trasporti nel mediterraneo. Il portale informativo molto accreditato, propone uno studio dell'Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) a cura di Olaf Merk che "boccia la corsa degli armatori alle mega-portacontainer". Redazione - 11 giugno 2015

Lo studio in inglese può essere letto a questo link.

Questi i 5 dubbi dello studio descritti nell'articolo:

Genova - Uno studio dell’Ocse (il suo autore, Olaf Merk, sarà a Genova venerdì in occasione dell’assemblea Feport, l’associazione europea dei terminalisti) boccia la corsa degli armatori alle mega-portacontainer.

Navi più grandi, più economie di scala. Ma anche più possibilità di controllare il trasporto dei container via acqua, un terzo dei traffici marittimi mondiali, il 90% di tutto ciò che è veicolato dentro contenitore. Nemmeno negli anni Settanta, ai tempi delle super-petroliere, era così evidente che in mare vale solo la legge del più forte. Costruire mega-navi comporta rischi economici, affrontati dai big del settore per mettere all’angolo i concorrenti più deboli.

Ma - primo problema rilevato dall’Ocse - le economie di scala prodotte dalle mega-portacontainer si stanno esaurendo. Il passaggio da una capacità di 9.000 a 15 mila teu ha ridotto di un terzo i costi di gestione in 10 anni, mentre il passaggio da 19 mila a 24 mila teu darà agli armatori risparmi da quattro a sei volte inferiori, e già oggi - rispetto alle navi del passato - il 60% delle ridotte spese è dato dalla maggiore efficienza dei motori associata alle tecniche di slow steaming.

Due: le economie di scala sono esclusivamente a favore degli armatori. Il consumatore finale anzi rischia di pagare di più: la corsa dei porti a intercettare il traffico delle mega-navi è pagata per buona parte con i soldi dei contribuenti. Secondo le stime dell’Ocse, nella spesa generale annuale dei trasporti, le mega-navi incidono per circa 400 milioni di dollari: un terzo per nuove gru, un terzo per dragaggi, un terzo per nuove banchine e retroporti.

Inoltre in molti Stati non esiste pianificazione territoriale. I costi a carico della collettività si duplicano per rivalità di campanile o distribuzione di fondi a pioggia. Problema italiano? No, europeo: l’Ue ha razionalizzato i porti con l’istituzione degli scali “core” sulle maggiori reti infrastrutturali del Continente (Ten-T), ma tra una spintarella e l’altra questi porti “core” sono diventati 104 in luogo di 83.

Quattro: assicurazioni. È stato calcolato che l’affondamento di una nave da 19 mila teu costa un miliardo di dollari, e questo incide in termini di costi di P&I. Senza contare che oggi non esistono al mondo mezzi in grado di poter rimuovere i relitti, e sono pochissimi i bacini di carenaggio dove riparare queste navi.

Infine, l’armonizzazione del lavoro: le mega-portacontainer sin qui ordinate saranno immesse sul mercato nei prossimi cinque anni ignorando non solo il ciclo economico attuale (assestamento di consumi e trasporti) ma più banalmente l’organizzazione dei porti, benché molti armatori siano anche terminalisti. Le maggiori dimensioni aumentano i movimenti-ora progressivamente ridotti in questi anni dagli investimenti dei terminalisti. I maggiori tempi di carico e scarico non tengono conto delle rigidità degli uffici pubblici, delle pause riposo degli autotrasportatori, della chiusura della dogana nel week end (anche in Nord Europa). Il braccio di ferro tra realtà e ambizioni dei super-armatori è insomma appena cominciato.

Tratto da: link

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