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16/06/2015

Yemen - Colloqui di pace a Ginevra, raid e combattimenti nel paese

Una tregua umanitaria. E’ questo quello che ha chiesto ieri il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon aprendo i negoziati di pace a Ginevra tra i ribelli houthi e la delegazione yemenita sostenuta dai sauditi. Ban Ki Moon ha detto che la cessazione delle ostilità dovrebbe coincidere con l’inizio del mese sacro musulmano del Ramadan (il 18 giugno) e dovrebbe durare almeno due settimane così da permettere l’ingresso nel Paese degli aiuti umanitari.

“Oggi è in ballo l’esistenza stessa dello Yemen. Mentre le parti in lotta bisticciano, lo Yemen sta bruciando” ha affermato. Tuttavia, il suo invito sembra essere caduto subito nel vuoto. Il ministro degli esteri yemenita, Reyad Yassin Abdullah, ha già escluso infatti la possibilità di un cessate il fuoco a breve. “Se loro [i ribelli houthi, ndr] occupano ancora il Paese, uccidono innocenti distruggendo tutto, che cessate il fuoco può esserci?” ha dichiarato da Ginevra. Il ministro degli esteri si è mostrato, però, favorevole ad una “limitata” tregua nel caso in cui gli houthi dovessero ritirarsi dalle città – tra cui Aden e Taiz – e liberare più di 6.000 prigioni.

I negoziati di pace erano iniziati ieri con il piede sbagliato. Mentre i rappresentanti del presidente in esilio Hadi (sostenuto dal blocco sunnita a guida saudita) erano già a Ginevra, l’aereo che stava trasportando la delegazione houthi nella città svizzera, doveva atterrare a Gibuti perché, secondo l’accusa dei ribelli sciiti, l’Egitto (alleato di Riyad) non aveva dato loro il permesso per sorvolare il suo territorio.

Il “ritardo” è stato duramente criticato dal portavoce dei combattenti houthi che ha subito puntato il dito contro l’Onu incapace, a suo dire, di evitare quello che ha definito “un palese ostacolo e un tentativo incosciente” di impedire ai delegati di raggiungere i colloqui di pace. Dal suo account Facebook, Mohammed ‘Abd as-Sala, ha anche rivelato che il suo gruppo è riuscito a partire per Ginevra grazie alla mediazione dell’Oman e ha esortato l’Onu a condannare “questo atteggiamento che va contro i suoi tentativi di indire consultazioni politiche”. L’Oman, che finora è rimasto neutrale nel conflitto a differenza degli altri Paesi della regione che partecipano alla coalizione sunnita, aveva ospitato recentemente incontri tra houthi e Nazioni Unite che avevano spianato la strada per intraprendere i negoziati di Ginevra.

La sosta a Gibuti ha mandato su tutte le furie Seif al-Washli, consigliere della delagazione houthi. “E’ ovvio che [quanto accaduto] è dovuto alle pressioni saudite sull’Egitto e Sudan nel tentativo di bloccare la [nostra] delegazione e umiliarla” ha detto al-Washli. Accuse respinte però da il Cairo che, tramite il capo dell’aviazione, ha fatto sapere di non aver in alcun modo ostacolato la delegazione dei ribelli yemeniti.

Gli incontri di Ginevra dovrebbero durare due o tre giorni e sono mediati dall’inviato delle Nazioni Unite nello Yemen, Ismail Ould Shaykh Ahmed. Secondo gli analisti, le possibilità che si raggiunga in queste ore una tregua sono scarse perché al momento le due parti in lotta (da un lato gli houthi sostenuti dall’ex presidente Ali Abdullah Saleh e dall’altro Hadi appoggiato dalla coalizione sunnita) hanno posizioni troppo divergenti.

L’Arabia Saudita, ribadendo quanto già dichiarato da Hadi, ha affermato che i negoziati di Ginevra dovrebbero mirare all’implementazione della risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu che impone agli houthi di lasciare le città che hanno occupato l’anno scorso. Posizione condivisa anche da Ban Ki-Moon. “La regione – ha detto il segretario Onu – non può sostenere un’altra ferita aperta come la Siria e la Libia”.

Il conflitto yemenita chiama però in causa anche i paesi occidentali che, sebbene non in prima linea come nelle guerre civili libica e siriana, appoggiano i raid militari del blocco sunnita e solo di recente hanno esercitato qualche (leggera) pressione sui sauditi affinché si raggiunga una pausa umanitaria che possa permettere l’ingresso di aiuti umanitari per una popolazione stremata.

La situazione nel Paese – instabile dal 2011 – è peggiorata politicamente quando lo scorso settembre i ribelli zayditi (una variante dello sciismo) hanno occupato la capitale Sanaa per “arrestare la corruzione e porre fine alla discriminazione contro di loro”. Il presidente dimissionario Hadi era riuscito a sfuggire ad Aden a febbraio e poi, quando i combattenti houthi erano ormai prossimi alla città meridionale in cui aveva trovato riparo, era scappato in Arabia Saudita. Sebbene il conflitto sia frutto di rivalità interne, la guerra yemenita è parte di una guerra a livello ragionale tra il blocco sunnita guidato da Riyad e da quello sciita diretto da Teheran.

Gli iraniani hanno ufficialmente negato finora qualunque interferenza nei combattimenti in corso limitandosi a denunciare quella che chiamano “aggressione” saudita. Tuttavia, è innegabile che siano direttamente coinvolti visto gli interessi geopolitici in gioco. Oggi il vice ministro degli esteri iraniano discuterà del conflitto yemenita in un incontro organizzato dall’Organizzazione della Cooperazione islamica a Gedda, in Arabia Saudita.

I combattimenti, intanto, proseguono incessantemente. Stamane al-Qa’eda nella penisola Araba (Aqap, il ramo yemenita dell’organizzazione fondamentalista islamica) ha confermato la morte di Naser al-Wahish durante un raid aereo statunitense. Al-Wahish è la figura più importante di al-Qa’eda ad essere uccisa da quando è stato assassinato nel 2011 Osama Bin Laden (sulla cui morte, però, restano ancora molti interrogativi da chiarire). Era, infatti, il numero due dell’organizzazione e dirigeva il gruppo estremista nel Paese. Era stato anche il secondo di Ayman az-Zawahri, il capo di al-Qa’eda dalla morte di Bin Laden.

Ieri si sono registrati nuovi scontri tra tribù pro-Hadi e combattenti houthi sia a sud che nella regione centrale del Paese. Gravissima la situazione umanitaria: da quando è iniziata la guerra (26 marzo) sono più di 2.600 le vittime, 20 milioni circa le persone bisognose d’aiuto. Secondo quanto riferisce l’Organizzazione mondiale della sanità, inoltre, sono più di 3.000 i casi di dengue accertati.

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