Se in Lombardia ha votato solo il 41,68 per cento degli aventi diritto e nel Lazio appena il 37,20, chi ha vinto e cosa ha vinto?
Ha vinto la smania del potere, per acchiappare posti di comando, non di governo regionale, per il semplice motivo che non ne ha autorevolezza, non ha ricevuto un mandato sufficientemente democratico. Non sarà il governo della cosa pubblica, ma il potere di tutela degli interessi lobbistici, oligarchici e corporativi, che è esattamente la cifra politica dell’attuale governo nazionale.
La destra si sentirà autorizzata a infestare enti regionali e a favorire appalti e subappalti per rafforzare il proprio potere, basato sul trucco delle percentuali e non sull’effettivo largo consenso, che i numeri assolutamente gli negano.
Quanto alla cosiddetta opposizione, la sconfitta è più che concreta: confrontate con i numeri reali, le percentuali sono sbriciolate in numeri risibili.
La democrazia rappresentativa non rappresenta che una minoranza. Il sistema politico è collassato. Il governo centrale e quello delle due più importanti regioni italiane hanno perso l’ancoraggio con la realtà sociale.
L’astensione non è stata una rinuncia, è una vera e propria sentenza di condanna senza appello, pronunciata dai ceti sociali penalizzati dalla pandemia prima e ora dall’inflazione prodotta dalla guerra.
Ci aspetta una lunga stagione di rabbia e rancore, non più controllabile né dalla debolezza programmatica, oltre che di leadership del PD; né dai 5S, che hanno creduto nella rendita di posizione e giocando di rimessa, ci hanno clamorosamente rimesso; men che meno dal cosiddetto terzo polo cui il ceto medio ha letteralmente e definitivamente girato le spalle.
Il partito di Meloni non ne esce più forte, solo più vorace: in Lombardia e nel Lazio piazzerà più fedelissimi in regione, di quelli più graditi ai palazzinari e ai ras della Sanità, alle camarille neocorporative.
Così la faglia tra ceti sociali si allargherà ancora, la coesione sociale verrà compromessa, i principi della democrazia verranno piegati agli interessi oligarchici: già oggi la distanza tra i poteri e la vita collettiva si è irrigidita, è diventata fastidio, disapprovazione, repulsa.
Per chi voglia mettere mano a una alternativa credibile per un cambio di prospettiva, c’è un vero e profondo lavoro politico da mettere in campo.
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