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07/02/2023

L’ipotesi di una soluzione “alla coreana” per l’Ucraina


Oleksij Arestovich è stato consulente esterno dell’Ufficio di Presidenza ucraino, e prima ancora portavoce del Gruppo di contatto trilaterale sul Donbass, formato per una – impossibile – risoluzione pacifica della crisi che si è protratta per quasi un decennio in quella zona.

È insomma una figura che sa di cosa parla, quando accenna di possibili sviluppi della guerra in Ucraina. E in questo periodo sembra intenzionato a parlare molto, dopo le dimissioni che ha dovuto dare lo scorso 17 gennaio in seguito a una polemica su di un razzo caduto su un edificio a Dnipro, che secondo l’ex consigliere sarebbe arrivato lì dopo l’abbattimento delle forze aeree ucraine.

In una recente intervista ha dichiarato che gli esiti del conflitto non sono quelli che venivano propagandati qualche mese fa, dopo l’offensiva di Kherson, ovvero una rovinosa ritirata russa da tutti i territori considerati ucraini, compresa la Crimea e il Donbass.

Anzi, a suo avviso, l’Ucraina avrebbe bisogno di 400 mila uomini addestrati e armati con strumenti militari NATO per poter pensare di raggiungere questi obiettivi, cosa su cui Kiev non potrà contare nemmeno il prossimo anno per mancanze di strutture (anche se di certo non per mancanza di volontà).

Per questo Arestovich, che forse vuole accreditarsi come mediatore con la Russia per un’ipotesi di trattative col Cremlino, ha parlato come possibile soluzione quella di un Minsk-3 con molte più condizionalità del passato, e di una divisione dell’Ucraina sulla falsariga della Corea, cioè un paese diviso in due e polarizzato fra due influenze, quella russa e quella euroatlantica.

Arestovich non lo dice perché «amico di Putin», ma perché sa che in questa divisione, per la parte occidentale, si aprono diverse opportunità nella ricostruzione, con trattamenti di favore e bonus da concedere in quanto avamposto dello scontro internazionale con Mosca e, di conseguenza, con i suoi futuri alleati. Insomma, si parla di affari, alla fin fine.

Arestovich dice pure qualcosa in più, però. Da una parte mostra come velleitarie le altisonanti dichiarazioni della propaganda ufficiale, per cui le condizioni di pace sono ancora quelle del ristabilimento dei confini al 2014, e dunque la riconquista di Crimea e Donbass.

Nelle sue parole mostra anche preoccupazione su come la società affronterà il fallimento di questa ipotesi, e di sicuro immersa in una tale narrazione bellicosa ed eroicistica, non potrà che vedere rafforzarsi le forti spinte nazionalistiche – e con esse i gruppi nazisti – che la attraversano.

Dall’altra Arestovich ricorda che quello di cui lui parla non è solo la “sua” visione sulle possibili soluzioni della situazione ucraina, o l’aspettativa russa. È quello che in un qualche modo è stato già adombrato nel campo NATO, se si uniscono i puntini delle dichiarazioni di alti funzionari del Pentagono e generali statunitensi rivelate negli ultimi giorni, suscitando l’ira dell’amministrazione Zelensky.

Le contraddizioni interne del governo ucraino stanno aumentando giorno dopo giorno, e forse Arestovich, con questa visibilità pubblica ricercata e queste proposte, sta davvero correndo la gara non solo per avere un ruolo centrale nelle trattative con la Russia, ma anche nella fase successiva ad esse.

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