Dopo tre anni di indagini quanto meno farraginose, la Procura di Bergamo è arrivata a chiudere l’inchiesta indicando 17 persone come possibili responsabili di “epidemia colposa”. Tra loro l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte, il ministro della sanità Roberto Speranza e naturalmente il presidente della regione Lombardia appena riconfermato – il leghista Attilio Fontana – e l’allora assessore alla sanità Giulio Gallera.
Sul piano politico, insomma, non si salva nessuna componente, dunque sarà complicato provare il classico gioco dello scaricabarile tra momentaneo governo e altrettanto momentanea opposizione.
Seguono altre figure apicali del dispositivo di contrasto alla pandemia: il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro, il presidente del Consiglio superiore di Sanità Franco Locatelli, l’allora coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico Agostino Miozzo, l’allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli e l’allora direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito.
E poi l’ex capo della Prevenzione del Ministero della Salute Claudio D’Amario, l’ex segretario generale Giuseppe Ruocco, il responsabile delle Malattie infettive Francesco Maraglino.
Secondo il consulente dei magistrati inquirenti, Andrea Crisanti (oggi senatore del Pd), si sarebbero risparmiati 4.148 morti con una chiusura della sola Val Seriana dal 27 febbraio, 2.659 dal 3 marzo.
Ed è proprio la mancata chiusura di quella valle il nodo del contendere, fin da quando il governo “giallo-rosa” (grillini e Pd) inviò esercito e polizia per imporre un lockdown ferreo (stile Codogno, per intenderci), rinunciandovi poi a seguito delle pressioni della Confindustria, subito fatte proprio dai vertici leghisti e berlusconiani che controllavano il Pirellone.
Come i nostri lettori ricorderanno – cliccando sui molti link di questo articolo – abbiamo da subito considerato quella rinuncia un vero e proprio atto criminale, che ha permesso il dilagare della pandemia in tutto il paese, con vertici di orrore quando le strutture di direzione della sanità lumbard decisero di mandare i “contagiati non gravi” nelle Rsa. Provocando così un’ecatombe di anziani tale da esser poi registrata come una riduzione generale dell’”aspettativa di vita”.
Insomma, i calcoli di Crisanti – certamente scrupolosi, ma comprensibilmente “cauti” – andrebbero moltiplicati in modo esponenziale.
Solo nella provincia di Bergamo – il sindaco piddino Gori, in quei giorni, faceva suo lo slogan leghista “Bergamo non si ferma!” – tra marzo e aprile del 2020 furono registrati 6.200 morti contro una media mensile precedente che si limitava a circa 800. Quelli “certificati Covid”, grazie a un tampone, erano stati circa la metà. Per gli altri neanche quello...
Il risultato fu, come si ricorda, una fila di camion militari che portava via i cadaveri – come nelle scene della peste manzoniana – perché i cimiteri locali non avevano la possibilità di “smaltire” nei forni crematori tutti quei corpi (che probabilmente ora qualcuno chiamerebbe “carico residuo”).
Il mantra padronale di quei mesi fu chiarissimo, ripetuto a ogni ora del giorno: non si può fermare la produzione per nessun motivo. Gli operai dovevano andare in fabbrica e produrre, senza protezioni, viaggiando su treni e autobus pieni come al solito, esponendosi ed esponendo le proprie famiglie al contagio con un virus che in quel momento non si sapeva come fermare (i vaccini arrivarono solo un anno dopo).
Seguiremo questa inchiesta insieme ai familiari delle vittime e ai comitati che chiedono da anni la verità su questa strage, divenendo addirittura oggetto di intimidazioni, perquisizioni, ecc..
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento