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14/04/2023

Deutsche Bank e la montagna dei derivati a livello mondiale

Nell’articolo “Deutsche Bank, uno zombie si aggira per i mercati”, pubblicato su Contropiano il 25 marzo scorso, Francesco Piccioni scrive, tra l’altro:
“(Deutsche Bank) È anche gestita, da sempre, da un gruppo di autentici banditi con la passione del ‘rischio’ per massimizzare il profitto, ma con il dono di Mida al contrario.

Per esempio, quando esplose la bolla dei ‘prodotti finanziari derivati’ insieme al crack di Lehman Brothers, venne fuori che DB aveva in pancia una esposizione verso questi “pezzi di carta” dal valore assolutamente incerto: l’equivalente di 20 volte il Pil tedesco.

Una cifra inimmaginabile, ma soprattutto non ripianabile da nessun ‘aiuto di stato’ o quantitative easing della banca centrale. Come si può pensare di destinare venti anni di produzione della Germania a coprire il buco finanziario di una sola banca?”
La cosa mi ha incuriosito, perciò ho sviluppato un piccolo approfondimento che propongo di seguito ai lettori di Contropiano.

Procedendo con ordine, nella “Deutsche Bank annual review 2013” – a pag. 188 – compare la tabella “Quantità nazionale e valore lordo di mercato delle transazioni di derivati”, da cui si desume che alla data del 31/12 del 2013 l’esposizione creditizia da derivati di DB assommava a 54.652 miliardi di euro (appunto, circa venti volte il PIL della Germania nel 2013).

Al 31/12 del 2022, secondo il “Deutsche Bank annual report 2022”, pag. 196, l’esposizione creditizia da derivati di DB era scesa a 42.527 miliardi di euro, con un calo del 22,2% rispetto al 2013.

La quantità di derivati in scadenza entro un anno è diminuita solo leggermente rispetto al 2013 (attestandosi sul 51,3% del totale), mentre sono diminuiti i derivati in scadenza da 1 a 5 anni (-40%) e quelli in scadenza dopo 5 anni (-30,7%).

Quindi, parrebbe che DB, nell’incerto scenario internazionale, abbia cercato di ridurre la sua esposizione sul medio e lungo termine, continuando a puntare sulle “scommesse” a breve termine (con scadenze entro un anno).

La DB è stata definita la “capofila dei derivati”, ma l’elenco delle banche esposte in derivati è veramente lungo.

Secondo l’articolo “Banche, allarme derivati: valgono 33 volte il PIL mondiale”, pubblicato su Il Sole 24 Ore online il 6 dicembre 2018;
“Fino a ottobre la mappa del rischio-derivati era spiegata all’80% dall’attività delle prime 55 banche dei tre blocchi Europa-Usa-Giappone, come risulta dal data base di R&S – Mediobanca.”
E aggiunge:
“La prima indagine annuale dell’ESMA (Autorità Europea degli strumenti finanziari e dei mercati), pubblicata il 18 ottobre scorso, ha però evidenziato che nei soli 28 Paesi UE l’entità delle transazioni in derivati è superiore a quanto ipotizzato: 660 trilioni di euro (660mila miliardi) a fine 2017.

Se è corretta l’assunzione della BRI (Banca dei regolamenti internazionali) secondo la quale i derivati trattati sui mercati europei rappresenterebbero meno di un quarto dei derivati di tutto il mondo, ciò significa che l’ammontare effettivo – se censito con metodi più capillari – potrebbe sfiorare appunto i 2,2 milioni di miliardi di euro”, “vale a dire 33 volte il PIL mondiale e quattro volte tanto quello che si pensava finora, amplificando in modo allarmante il rischio sistemico di prodotti per loro natura interconnessi.”
Merita qui ricordare che secondo le stime del FMI (Fondo Monetario Internazionale), alla fine del 2013 le attività finanziarie sull’intero globo terrestre assommavano a 993 bilioni di dollari (993 mila miliardi) mentre il prodotto lordo mondiale (World Bank) si attestava sui 75 bilioni di dollari (75 mila miliardi). In altre parole, il capitale finanziario era oltre 13 volte il prodotto della economia “reale” (cioè dell’insieme dei beni materiali e dei servizi prodotti sul pianeta) ed era per due terzi costituito da derivati finanziari (710 mila miliardi di dollari).

Anche ammettendo che la stima basata sulla assunzione della BRI sia esagerata e l’ammontare complessivo dei derivati “valga” meno di 33 volte il PIL mondiale, sicuramente non ha fatto che gonfiarsi rispetto al 2013.

Come scrissi nell’articolo “PIL mondiale e capitali finanziario”, pubblicato su “Transfom! Italia” il 18 giugno 2018,
“Vista nelle sue dimensioni ufficiali (cioè come “misurate” dalle maggiori istituzioni finanziarie capitalistiche a livello mondiale, la World Bank e la BRI), la cosa fa sicuramente impressione:

- l’economia reale capitalistica (quella che produce beni e servizi) è sovrastata – e schiacciata – da una massa enorme di capitali in cerca di una valorizzazione adeguata agli “appetiti” dei capitalisti;

- mentre l’economia reale produce continuamente profitti che vanno ad aggiungersi alla massa dei capitali eccedenti le possibilità di impiego nell’economia reale stessa al grado attuale di sviluppo della composizione organica del capitale.
In conclusione, di fronte alle cifre esposte e ai ragionamenti che ne conseguono, a mio giudizio è veramente difficile poter negare che la crisi “scoppiata” nel 2008 (e tuttora perdurante) sia una crisi di sovrapproduzione assoluta di capitale.

“Il limite del capitale è il capitale stesso” (Karl Marx, Il capitale, libro terzo, 1894)

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