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19/03/2015

Livorno - Bidoni tossici: dopo 3 anni TUTTI ASSOLTI

La sentenza del giudice Del Forno è un incentivo al principio per cui il profitto viene prima della salute e dell'ambiente.

Nel numero scorso di Senza Soste, il 101 in distribuzione fino alla scorsa settimana, abbiamo dedicato una pagina intera alla Procura di Livorno facendo una carrellata di episodi che dimostrano come in questa città, ricchi e potenti sono storicamente immuni da sentenze avverse. Anche in questo caso non è stato immune da questo principio il processo per il disastro causato del cargo Venezia il 17 dicembre 2011 quando furono dispersi in mare, a causa di una violenta tempesta, 226 bidoni contenenti catalizzatori al nichel e al molibdeno di proprietà della raffineria Isab di Priolo Gargallo (Siracusa). Una parte di questi furono recuperati, ma in mare ne sono rimasti 71 e una trentina sono stati trovati aperti. Che il processo non sarebbe stato "inquisitorio" si è visto dall'inizio quando fu subito escluso l'armatore, la potente società Grimaldi, che nel frattempo si è presa anche un pezzo di banchine del porto di Livorno. Proponiamo di seguito l'articolo uscito nel nostro cartaceo n. 99 in occasione dell'anniversario dei 3 anni da quel fatidico giorno in cui iniziò la vicenda dei bidoni tossici.

Redazione - 18 marzo 2015

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Il terzo “compleanno dei bidoni”

17 dicembre 2011: il disastro del cargo Venezia. In questi giorni si è tenuta un’altra udienza del processo, ma si teme un finale all’italiana.

La sera del 16 dicembre 2011 il cargo Venezia della compagnia Grimaldi salpa da Catania per Genova nonostante previsioni meteorologiche proibitive. In coperta ci sono due semirimorchi con 226 bidoni che contengono catalizzatori al nichel e al molibdeno di proprietà della raffineria Isab di Priolo Gargallo (Siracusa). Si tratta di materiali usati nell’industria petrolchimica come “spugne” per rimuovere lo zolfo dal gasolio. Dopo un certo periodo d’uso devono essere rigenerati e proprio per questo vengono inviati in Lussemburgo. Nelle prime ore del mattino, con un vento di 120 chilometri all’ora e onde alte nove metri, il Venezia arriva nelle acque della Gorgona. Il comandante, Pietro Colotto, è costretto a una brusca manovra per evitare la collisione con il cargo Cragside. La nave si inclina di 39°, le catene si rompono e 198 bidoni, con circa 34 tonnellate di sostanze tossiche, finiscono in mare. Alle 7,30 il Venezia arriva a Genova e Colotto dà l’allarme.

Inizia il pasticciaccio
La Capitaneria di Porto di Livorno invia subito un fax a tutti gli enti interessati, e specifica che i bidoni contenevano sostanze “soggette ad accensione spontanea entro 5 minuti dal contatto con l’aria”. Ma nessuno, né il Comune, né la Provincia, né il Ministero dell’Ambiente, né le Prefetture di Livorno e Pisa, ritiene di dover prendere provvedimenti o di avvisare la popolazione. La vicenda diventa di dominio pubblico solo il 29 dicembre, quando la Capitaneria avvisa anche la Guardia Costiera e i Comuni di Cecina e Bibbona e la notizia compare sulla stampa. Il Comune di Livorno cerca di scaricare le responsabilità della mancata informazione sulla Capitaneria di Porto, che a quel punto rende pubblico il fax smentendo clamorosamente il sindaco Cosimi e l’assessore all’ambiente Grassi. L’Arpat, dal canto suo, effettuerà la prima ispezione sui fusti rimasti a bordo ben 35 giorni dopo l’incidente. Solo allora si scoprirà che le schede di carico - dove si parlava di cobalto - erano sbagliate.

Caccia ai bidoni
Le ricerche iniziano il 6 febbraio ad opera della nave Minerva Uno. Il 14 vengono individuati i due semirimorchi e 96 bidoni, di cui una trentina già aperti; le fotografie mostrano le sostanze fuoriuscite già depositate sul fondo marino. Il 1° marzo la Minerva interrompe le operazioni, che vengono riprese il 21 maggio dalla nave Sentinel. Intorno alla metà di giugno vengono localizzati altri 30 bidoni, e uno rimane impigliato nella rete di un peschereccio, per cui ne rimangono dispersi 71. La Capitaneria multa la Grimaldi di 1000 euro per i ritardi nelle operazioni: a tutt’oggi è l’unica sanzione imposta all’armatore. Ma la Grimaldi interrompe definitivamente le ricerche, che riprendono in agosto con la nave Magnaghi della Marina Militare, a spese della collettività. Ma senza esito.

Il processo
In un paese in cui le indiscrezioni sui processi sono all’ordine del giorno è sorprendente come in questo caso si sia osservato il più rigido segreto istruttorio e nulla sia mai trapelato fino a quando, nel dicembre 2013, il Pm Masini ha chiesto il rinvio a giudizio del comandante del Venezia, del capo magazzino della Isab e dello spedizioniere. Nei mesi precedenti numerosi cittadini e associazioni ambientaliste avevano presentato un esposto molto dettagliato nel quale si chiedeva di valutare anche le responsabilità degli enti pubblici per il mancato avviso alla popolazione, dell’Arpat per il ritardo nelle analisi e soprattutto della Grimaldi in quanto compagnia armatrice. Per illustrare l’esposto era stato chiesto un incontro a Masini ma il Pm non lo aveva ritenuto opportuno. La prima udienza si è svolta il 24 gennaio 2014, la successiva a marzo. Il giudice Trovato aveva deciso di astenersi per una questione di incompatibilità ed è stato sostituito dal giudice Del Forno. Il processo è ripreso il 4 dicembre scorso, e in quest’ultima udienza sono stati ammessi come parti civili le associazioni Ecomondo, Anpana, Lipu e Wwf, mentre non sono state accolte le richieste di singoli cittadini in quanto non sarebbe dimostrato il danno da loro subito. Il dibattimento è ancora nelle fasi preliminari, ma si ha l’impressione che il disastro verrà interpretato come il risultato di errori individuali - le manovre del comandante, le modalità di carico ecc. - lasciando fuori i ”pesci grossi”. Gli imputati intanto hanno chiesto il rito abbreviato, che in caso di condanna garantirebbe la riduzione di un terzo della pena. Inoltre, secondo Il Tirreno, qualora le analisi dell’Arpat non dimostrassero livelli di inquinamento significativi, potrebbe cadere anche l’accusa di disastro ambientale, così sarebbe servita la soluzione “tarallucci e vino” e tutti tornerebbero a casa felici e contenti. A questo proposito sorge spontanea una domanda: quando mai l’Arpat ha accertato livelli di inquinamento significativi? Ricordiamo a questo proposito le mitiche “diossine non tossiche” sprigionatesi dall’incendio della ditta Galletti, una scoperta scientifica di portata epocale. La presenza delle associazioni quindi sarà utile per tenere alta l’attenzione, far emergere aspetti che nelle indagini possono essere stati sottovalutati ed evitare un clima da “volemose bene” che sembra già apparecchiato. La prossima udienza è fissata per il 22 gennaio. Noi ci saremo.

Ciro Bilardi

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