di Francesca La Bella
Il Ministero dell’Interno del Bahrain ha annunciato alcuni giorni fa di aver arrestato dieci persone in quanto autori di azioni violente ed appartenenti al gruppo Sayara Al Ashtar, gruppo sciita di opposizione considerato terrorista dal Governo di Manama. Gli ufficiali della piccola monarchia del Golfo avrebbero dimostrato, inoltre, come due dei sospettati abbiano agito all’interno dei confini iraniani incoraggiando ed agevolando il reclutamento di giovani del Bahrain per attacchi contro il Governo e le forze armate tra il 2013 e il 2015. Avrebbero ipotizzato, infine, che l’addestramento degli stessi sia avvenuto in suolo iracheno grazie alle condizioni di instabilità del Paese.
Viene da chiedersi, a questo punto, quale sia il contesto nel quale si inserisce questa notizia. A partire dal 2011, in contemporanea con le più note rivolte dei Paesi nord-africani e medio-orientali affacciati sul Mediterraneo, anche il Bahrain ha assistito a proteste e manifestazioni anti-governative. La Primavera Araba bahrainita ha, in maniera non dissimile dagli altri Paesi coinvolti, indotto una maggiore partecipazione della popolazione alla politica in senso ampio, ma ha anche significato la forte repressione governativa di ogni forma di opposizione. Questo ha portato, quasi immediatamente, ad un arretramento di molti movimenti di protesta ed alla radicalizzazione dei rimanenti. A questo si deve poi aggiungere la divisione etnico-religiosa tra sunniti e sciiti. Nonostante la popolazione sciita sia nettamente la maggioranza nel Paese, il potere politico ed economico è nelle mani della minoranza sunnita praticamente da sempre. In un Paese dove, nonostante le limitate dimensioni, il Pil pro-capite è ben più altro della media dell’area, le differenze economiche e sociali tra le due parti sono state ancor più evidenti costituendo una delle motivazioni principali delle proteste.
Report delle maggiori organizzazioni per i diritti umani mondiali sottolineano, inoltre, come gli strascichi delle proteste del 2011 abbiano lasciato un segno profondo nella società bahrainita. Il settarismo e le divisioni interne alla società sono sempre più profonde, incalcolabile è il numero dei feriti, dei morti e degli scomparsi in questi anni e la struttura sociale del Paese è risultata profondamente mutata a causa della carcerazione di molti attivisti che avevano partecipato alle proteste. Le lunghe detenzioni hanno, infatti, privato le comunità locali di figure sociali fondamentali come medici, infermieri e avvocati che si erano spesi, durante le proteste del 2011 e negli anni successivi, nell’assistenza ai manifestanti.
L’ultimo tassello da aggiungere al quadro è sicuramente legato all’ambito internazionale. L’affidabilità e il campo di appartenenza dei governanti di Manama sono, infatti, considerati fattori importanti nelle dinamiche globali da diversi punti di vista. In primo luogo il Bahrain è sede del Comando Centrale delle Forze navali e della Quinta Flotta degli Stati Uniti. La posizione avanzata all’interno del Golfo Persico dell’arcipelago bahrainita viene, dunque, considerata strategica sia per il controllo dello Stretto di Hormuz sia per il monitoraggio delle attività iraniane nel Golfo Persico. In questo senso, la divisione sciiti-sunniti, la posizione geografica e le caratteristiche socio-politiche hanno da sempre reso il Bahrain terreno di scontro nella contesa tra Arabia Saudita ed Iran.
Non stupisce, quindi, vedere come l’Iran sia il primo accusato nel momento in cui vengono messi sotto processo appartenenti a movimenti sciiti. Il Governo di Manama si è, infatti, immediatamente espresso contro la presunta interferenza iraniana negli affari interni del Paese. Parallelamente l’Arabia Saudita viene considerato il primo partner per la famiglia al-Khalifa al potere in Bahrain e sempre maggiore è la capacità di influenza della Monarchia saudita nel Paese. Fin dalle prime fasi delle rivolte, infatti, il sostegno dei Saud al Governo di Manama è stato evidente e anche se, quattro anni fa, l’impegno era militare e di ampia scala, il fatto che la cooperazione tra i due Paesi sia oggi meno evidente non significa che sia minore.
Per capirne il reale significato politico, l’arresto dei dieci appartenenti a Sayara Al Ashtar non deve essere letto, quindi, come un atto giudiziario interno, ma come l’espressione di una più vasta politica di repressione delle opposizioni, perlopiù sciite, e di allineamento sempre maggiore con le richieste di sicurezza dell’asse sunnita a guida saudita. In questo senso il Bahrain, che a giorni dovrà affrontare il processo allo Sceicco Ali Salman, leader della principale coalizione di opposizione, con i prevedibili strascichi di sangue che ne conseguiranno, deve essere considerato uno dei principali terreni di battaglia nella guerra fredda, o meglio della guerra per commissione, tra Arabia Saudita ed Iran. Il conflitto di potere all’interno del Paese trascende, dunque, i confini dello stesso e così anche le conseguenze di una notizia di cronaca che potrebbe sembrare di poco conto.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento