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12/06/2015

Il Fmi apre il fuoco contro la Grecia

Il Fondo Monetario Internazionale si toglie la maschera materna (il suo direttore è in fondo una donna, Christine Lagarde) e torna alla determinazione criminale che lo ha sempre caratterizzato. Oggi, infatti, ha preso la decisioni interrompere la "trattativa" con la Grecia, formalmente rompendo anche il "fronte dei creditori" (che comprende l'Unione Europea e la Bce; insomma, la Troika).

«Le discussioni tecniche si sono fermate. Permangono delle distanze su molti aspetti chiave e non c'è stato alcun progresso per chiuderle: siamo ben lontani da un accordo». Non è un mistero che le "distanze" riguardano il programma che la Troika ha da tempo preparato per tutti i paesi europei, a cominciare dai più deboli: un mix di tagli alle pensioni e al welfare, privatizzazioni di quel che è rimasto di proprietà pubblica (molto poco, in Grecia come in Italia), distruzione delle tutele dei lavoratori, aumento delle tasse indirette (a partire dall'Iva, che pesa sui consumi di massa, quindi soprattutto sui più poveri), ecc.

Atene, il governo a guida Syriza, resiste come può e sa, da cinque mesi a questa parte, anche dando fondo a tutte le tecniche "bizantine" che tanto disturbano i teutonici e gli anglosassoni. Ma senza cavare un ragno dal buco; ossia senza riuscire ad ottenere né "la riforma del'Unione Europea e dei trattati" né, più modestamente, qualche eccezione limitata.

Ora a Washington e Bruxelles hanno deciso che questo è il momento buono per l'affondo finale, anche per non far allargare a macchia d'olio il numero di paesi che vorrebbero derogare ai trattati e alle "ricette" (nei prossimi mesi si terranno elezioni politiche in Spagna e Irlanda, dove si prevedono esiti disastrosi per i partiti che hanno fin qui accettato ogni diktat).

La decisione è modestamente sorprendente, visto che la direttrice del Fondo, Christine Lagarde, ripeteva a ogni stormir di fronda che «il Fmi non abbandona mai i tavoli e restiamo pienamente impegnati e pronti a riprendere i negoziati». Ma ogni regola ha la sua eccezione, e dunque «in questo momento le discussioni tecniche si sono fermate e la nostra squadra è rientrata a Washington da Bruxelles».

Il portavoce del Fmi, Gerry Rice, ha spiegato in tono gelido che «Ci risulta che le autorità greche stanno discutendo a livello politico e che stanno preparando alcune nuove proposte. La palla è nel loro campo. Siamo pronti a riprendere le trattative ma al momento non ci sono date previste».

Le posizioni del governo Tsipras in difesa delle pensioni e contro l'aumento delle tasse indirette vengono definite dal Fmi «insostenibili»; anzi rappresenterebbero esplicitamente i «maggiori ostacoli» ad un accordo con in creditori. Fino alla provocazione vera e propria: «In Grecia pensioni e salari rappresentano il 18% della spesa primaria. Non è possibile raggiungere gli obiettivi di bilancio di medio termine senza una riforma delle pensioni. E tutti riconoscono che lo schema pensionistico greco è insostenibile». Quasi come il suo debito, non restituibile. Quel sistema «riceve trasferimenti annui pari al 10% del Pil dallo Stato, a fronte di una media europea del 2,5%. La pensione media greca è allo stesso livello che in Germania, ma si va in pensione sei anni prima e il Pil pro capite è la metà di quello tedesco».

Che le pensioni elleniche siano a livelli tedeschi è assolutamente falso (altrimenti avremmo vagonate di pensionati greci che vanno in Germania per turismo, invece che il contrario). Rice, questo oscuro addetto alla comunicazione per conto di un'istituzione criminale, ha inoltre saggiamente omesso di ricordare che anche i prezzi greci sono a livello tedesco (o italiano, o francese); perché in un mercato comune la prima cosa che si "allinea" sono proprio i prezzi. Mentre salari, pensioni, produttività, ricchezza individuale o familiare restano profondamente divergenti.

Ma la defezione del Fmi non è l'unica minaccia che ieri Tsipras ha dovuto incassare. Anche Jean-Claude Juncker - il presidente della Commissione europea - dopo due giorni in cui ha strombazzato al mondo che si negava al telefono con i governanti di Atene, ha voluto scagliare la sua pietra: «La mucca è stata per troppo tempo sul ghiaccio sottile, è ora di tirarla fuori dal ghiaccio».

Ma sbaglia chi interpreta questa battuta come una propensione a "salvare" il negoziato e mantenere Atene dentro l'euro. Da molti segnali si evince che all'interno della Ue si stia pensando ormai al modo in cui defestrare Tsipras (insieme all'odiatissimo Varoufakis, l'unico che tecnicamente sa decriptare il linguaggio involuto dei finanzieri che comandano a Bruxelles).

Lo dimostra, in parte anche l'insuccesso del mini vertice a tre tra lo stesso Tsipras, Merkel e Hollande, a margine della prima giornata del vertice Ue-America Latina. Siccome da lì non era arrivata alcuna notizia chiara, ci ha pensato l'ascaro Donald Tusk, ex premier polacco promosso presidente del Consiglio europeo: «Non abbiamo bisogno di negoziati, ma di decisioni. Il governo greco deve essere un po’ più realistico. Non c’è più tempo per giocare d'azzardo, il gioco è finito». Non c'è peggior servo che l'ultimo dei servi...

L'accerchiamento è perseguito senza tralasciare alcun dettaglio. Il presidente di Bundesbank, il superfalco Jens Weidmann (uno che vede Mario Draghi quasi come un "pericoloso comunista"), ha spiegato urbi et orbi che "a ogni ora che passa il default greco diventa più vicino". I compassionevoli killer  di Standard&Poor's hanno declassato ulteriormente il debito ellenico - CCC da CCC+, con "outlook negativo" (tradotto: potrebbe andare anche peggio) -  lanciando alla speculazione internazionale il segnale "scatenate l'inferno".

Se la palla è in campo greco, bisognerà vedere come verrà rinviata. Perché una cosa è chiara a tutti meno che alla Troika: non si può cavare il sangue dalle rape...

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