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28/02/2020

L’ex vicepresidente Linera: “I miei giorni del golpe in Bolivia”

Sono abbastanza basito dalla leggerezza che traspare dall'analisi di Linera.

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Buenos Aires – “Nei giorni del golpe avevo solo tre priorità: fare in mondo che Evo Morales restasse vivo, mettere in salvo mia moglie e mia figlia di due anni e mezzo, difendere la mia biblioteca dalle fiamme. E non per forza in quest’ordine”. Scherza con il pubblico, Álvaro García Linera, vicepresidente della Bolivia, ora rifugiato politico a Buenos Aires, che nei giorni scorsi ha partecipato a un incontro organizzato dalla Summer School di Flacso (Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales, www.flacso.org).

Nato nel 1962 a Cochabamba (la città della “guerra dell’acqua”, la grande rivolta popolare, nel 2000, contro la privatizzazione dell’acquedotto), Linera è uno dei pochi casi sudamericani in cui la figura di intellettuale e quella di politico coincidono.

Il tema centrale dell’incontro è stata la situazione della Bolivia in una prospettiva latinonamericana. Impossibile non partire dalle elezioni, che si terranno il 3 maggio, dopo il golpe dello scorso novembre. Il Supremo tribunale elettorale ha proscritto la candidatura di Evo Morales a senatore, pur permettendo al Mas (Movimiento al socialismo, il partito di Evo e dello stesso Linera) di presentare un proprio candidato alla presidenza. Una decisione apparentemente contraddittoria che, secondo Linera, denota la forte pressione del Comité Civico di Santa Cruz, il gruppo che ha dato impulso al golpe. “Santa Cruz è una città passata in 50 anni da 50mila a due milioni di abitanti”, spiega Linera. “È fortemente conservatrice, la sede di comando delle grandi imprese agricole dominanti che avevano minacciato ritorsioni se Evo si fosse ricandidato alle elezioni del 2019”. Lì si sono ricompattate le forze armate e la polizia, vecchi-nuovi fattori di potere in America Latina, di nuovo in auge con la vittoria dei governi di destra: Brasile, Argentina di Mauricio Macri, Cile (dove a dire il vero non avevano mai perso potere).

E allora, perché permettere al Mas di presentarsi? “Il Mas” spiega Linera “è dato al 31-32 per cento nei sondaggi, più probabilmente si attesta al 35-38 per cento. Annullare la sua partecipazione alle elezioni sarebbe uno scandalo e i golpisti hanno bisogno di mantenere una parvenza di rispetto per le istituzioni. Non possono agire in maniera brutale tutto il tempo”.

All’indomani del golpe, tutti si sono chiesti come fosse stato possibile attaccare un governo considerato “sicuro” sia per le percentuali di voto, sia per il tasso di sviluppo e di democrazia raggiunto. “Oggi è chiaro che non eravamo così forti” osserva Linera. “Stiamo pagando le fatture del processo di uguaglianza. È chiaro che il vero obiettivo è questo e non la legittimità della ricandidatura di Evo”. Il 30 per cento della popolazione è passata dalla povertà e dall’indigenza alla classe media; il salario medio di un operaio da 55 dollari al mese è salito al 302 dollari.

“I ceti popolari sono cresciuti rapidamente, quelli medi pure, ma con ritmi più bassi” spiega Linera. “Questa convergenza tra i due ceti ha portato a fenomeni di scontento da parte della borghesia, di cui non ci siamo resi conto”. Si protestava per le polleras (le deputate native vestite con le gonne lunghe) in parlamento, alla maleducazione dei cholos (indigeni) di classe media che “invadevano” gli spazi finora occupati da bianchi (o autopercepiti come tali), impegnati nella difesa del “capitale etnico” (il sentirsi parte della comunità di origine europea).

“Era quello lo snodo sul quale avremmo dovuto cambiare il nostro discorso” ammette Linera. “Abbiamo continuato a parlare al collettivo, trascurando l’ascolto individuale. Se anche l’economia va bene, ma non si riesce a creare senso comune, si retrocede in politica, come dimostra proprio il caso boliviano. La politica è trasformazione e gestione del senso comune. Paradossalmente, in Venezuela si è verificato il contrario: l’economia va male, ma il paese riesce a difendere le sue rivoluzioni. Se si fallisce nella strutturazione del discorso, si è condannati a un’alternanza di ondate progressiste e reazionarie che può andare avanti per decenni”.

Non trascura Linera, nella sua analisi del golpe, il peso degli Usa. “I golpisti avevano risorse economiche straordinarie” dice. “I colpi di stato non si fanno gratis. Gli Usa non potevano più accettare che per 15 anni i paesi latinoamericani si siano riuniti senza di loro”.

Eppure è ottimista, l’ex vicepresidente, quando racconta: “Alla fine i miei libri si sono salvati. E questo è il momento più bello della vita. Quando non c’è più un cammino possibile, bisogna inventarlo”. E se lo dice uno che, durante la dittatura boliviana, si è fatto cinque anni di carcere senza processo e ne ha approfittato per prendere la seconda laurea in Sociologia, c’è da credergli.

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