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23/02/2020

L’ultima frontiera del profitto: “sterminate le piccole imprese!”

Per cambiare il mondo, occorre conoscerlo. Sennò si fanno bei sogni e poi ci si sveglia disarmati.

Dopo tredici anni di crisi globale ci sembra abbastanza evidente che l’Occidente non riesce ad uscirne. Mentre Cina e altri paesi scalano velocemente le posizioni nell’economia globale.

Tanto che ormai possiamo vedere contrapposti almeno due diversi modelli economici. Che non sono “capitalismo” e “socialismo” classicamente (e ideologicamente) intesi, ma più concretamente neoliberismo ed economia mista.

Da un lato la prevalenza assoluta delle grandi imprese multinazionali, ovviamente privatissime, libere fino all’arbitrio più totale e in grado di destabilizzare intere macro-aree con una sola decisione; dall’altra una prevalenza del pubblico, programmazione, funzionalizzazione del “privato” – anche di grandi dimensioni – a una logica di crescita “collettiva”.

Ma più della contrapposizione ormai evidente, conta il fatto che qui in Occidente la mancanza più che decennale della “crescita” sta generando processi economici degeneri. Il profitto, infatti, non trovando più lo spazio confortevole della “crescita” viene sempre più ricercato nella concentrazione del capitale.

Le grandissime imprese multinazionali – grazie a un sistema finanziario e politico creato su misura per loro (un processo che data ormai oltre 50 anni, per chi ricorda La crisi della democrazia e la teorizzazione ancora acerba dello Stato imperialista delle multinazionali) – assorbono di continuo quelle più piccole, a cominciare dalle maggiori, quelle di dimensioni più simili alle proprie.

È di questi giorni un esempio tutto italiano, con Banca Intesa – primo istituto italiano – che ha lanciato un’opa (definita “ostile” dal soggetto interessato) su Ubi Banca (terza banca nazionale), che aveva a sua volta assorbito la Popolare di Bergamo e altri istituti minori.

Questi processi non generano nuova ricchezza (come ancora raccontano i Cottarelli, Fornero, Senaldi, Calenda, ecc.), anzi ne cancellano parecchia, perché il profitto viene ottenuto con i “risparmi” dovuti alle famose “sinergie”. In pratica, si chiudono molte filiali, si licenzia buona parte dei dipendenti, si ottengono più clienti (nel caso delle banche ognuno dotato di liquidità, piccola o grande che sia), li si “tratta” sempre di più per via informatica, riducendo al minimo contatti, proteste, ecc.

Lo stesso avviene anche nei gruppi produttive (industrie, ecc.), in una spirale di riduzione degli operatori reali a vantaggio di sempre meno oligopolisti. Vengono “invasi” settori prima lasciati volentieri alla spesa pubblica perché poco remunerativi (sanità, pensioni, infrastrutture, trasporti pubblici, ecc.), ma ora sfruttabili in chiave eminentemente finanziaria.

Una modificazione della struttura economica che ha inevitabilmente il suo corrispettivo nella politica, con progressiva riduzione della democrazia. Forse non tutti ricordano uno degli editoriali più espliciti del presunto – molto presunto... – “nonno della democrazia italiana”, al secolo Eugenio Scalfari, in difesa dell’oligarchia.

La ricerca di vie di fuga messe in moto da questi processi economici e politici è ciò che sta terremotando in tutto l’Occidente i sistemi politici, con l’emergere di proposte esplicitamente reazionarie, nazionaliste, neofasciste; ma anche, all’opposto, con la rivitalizzazione di un pensiero “socialista”, sia pur vago (Sanders negli Usa, Corbyn in Gran Bretagna, ecc.).

La vittoria neoliberista sul movimento operaio era stata pressoché completa, anche se sono sopravvissute ovunque eroiche “sacche di resistenza”. Al punto che il grande capitale multinazionale ha potuto procedere oltre, alla demolizione dei suoi eterni alleati – la piccola e media impresa, il ceto medio professionale, l’artigianato, ecc. – che oggi come in passato si ritrovano a dover trovare una nuova visione economica e politica. Che non c’è.

Lo spaesamento deve essere davvero enorme, se l’editoriale di TeleBorsa – a firma del sempre acuto Guido Salerno Aletta – può portare questo titolo...

Buona lettura.

***** 

Sterminate le piccole imprese!

Guido Salerno Aletta – Agenzia Teleborsa

Il capitalismo finanziario ha deciso: non potendo più crescere per via organica a causa della crisi permanente, bisogna cannibalizzare il segmento più vitale dell’economia, quello altrimenti inafferrabile, anarcoide: le piccole imprese devono sparire.

Il sistema politico esegue, complice.

Le Grandi Imprese, il Grande capitale, hanno un Mondo Perfetto a loro disposizione: è fatto di colossali Fondi di Investimento, di Mercati Finanziari Globali aperti h24, di Rating su misura, di Proxi che suggeriscono ogni mossa, di Grandi Opportunità.

Anche in Europa, tutto è fatto per loro: dagli acquisti dei bond con il PSPP (Private Sector Purchase Program) della Banca Centrale Europea ai finanziamenti del Piano Juncker, per non parlare del recentissimo Green New Deal della Unione Europea.

Le Piccole Imprese delle Srl, il Popolo delle Partite Iva, le Banche popolari vanno invece cancellate dal panorama economico e sociale: non sono controllabili politicamente, e non sono neppure ricattabili dal Mercato, perché non sono quotate.

Non sono scalabili dall’esterno, perché i piccoli imprenditori non fanno entrare nessuno nelle loro imprese. Prendono il denaro a prestito dalle banche con oculatezza. I disastri che combinano, poi, sono altrettanto ben congegnati: quando falliscono, lasciano solo debiti. Hanno già spolpato completamente le loro aziende: alle banche ed ai creditori commerciali non rimane assolutamente niente per rivalersi: le locuste, o le termiti, sono nulla al confronto.

Gli Imprenditori singoli, le Piccole e medie Imprese, come le Banche Popolari, non sono gestibili neppure politicamente: sono un mondo di libertà economica e sociale che non risponde a nessuno.

Le Grandi imprese, invece, quando falliscono, sono destinate ad un “nuovo giro”: c’è sempre qualcuno che ci gira intorno, aiutato da altre banche. Uno Straniero che abbocca, il solito Allocco foraggiato, lo trovano sempre.

Guardate che cosa si è fatto in questi anni con le Banche Popolari: la gran parte sono state distrutte, sventrate con gli obblighi di ricapitalizzazione e di quotazione in Borsa. Sono state fatte fallire, per essere inglobate: il Marcio era tutto lì, guarda caso.

E poi, le piccole imprese industriali e commerciali, come i titolari delle Partite Iva, non sprecano mai i loro soldi in laute quanto inutili consulenze, non fanno pubblicità un tanto al chilo; e neppure buttano denari per rinnovare anzitempo gli impianti: tirano al risparmio, all’osso, fino all’ultimo centesimo.

Le Grandi Imprese, invece, sono attente agli equilibri politici: non possono permettersi di stare all’Opposizione. Si fanno fare le leggi su misura, attraverso la pressione sui giornali, attraverso le lobby delle Associazioni di categoria.

È il momento di tirare fuori le unghie ed i denti: le recenti norme sulle crisi delle Srl sono congegnate apposta per mettere le mani sui patrimoni personali degli imprenditori, mentre le disposizioni sui pagamenti digitali e sulla fatturazione elettronica hanno finalità fiscali pervasive fino all’inverosimile. Le banche ed i commercialisti sono Agenti dell’Erario: la scusa della Evasione Fiscale funziona a meraviglia.

Devono sparire tutte: Srl, Partite Iva, Banche popolari.

Sterminate le piccole imprese!

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