Bernie Sanders, dopo essere stato il candidato più votato nelle presidenziali del Partito Democratico in Iowa la settimana scorsa, questo martedì ha replicato il successo nel New Hampshire.
In questo Stato il senatore del Vermont aveva già vinto le primarie per le elezioni del 2016 contro Hillary Clinton con il 60% dei voti contro il 37%.
Nel discorso di fronte ai suoi sostenitori il leader radicale ha detto: «questa vittoria è l’inizio della fine di Donald Trump».
Sanders arriva primo con più di settanta mila voti – il 25,7% – e si aggiudica 9 delegati, gli stessi del giovane “centrista” Pete Buttigieg – chiamato dai sostenitori di Sanders “Wall Street Pete” – che però ha preso quasi 4 mila voti in meno, attestandosi al 24,4%. Giunge terza Amy Klobuchar con quasi il 20% dei voti, una altra “centrista” lautamente finanziata dall’establishment, senatrice del Minnesota che rappresenta l’anima del Partito Democratico “dialogante” con il Partito Repubblicano, autrice di molte proposte di legge bipartisan.
Elizabeth Warren, dell’ala sinistra dei democratici ed ex consigliera di Obama, giunge quarta con meno del 10% dei voti, mentre colui che appariva il “pezzo da novanta” dell’establishment democratico – JR Biden Junior, ex vice di Obama – raccoglie poco più dell’8% delle preferenze giungendo quinto.
I giovani
Un dato piuttosto rilevante riguarda l’elettorato giovanile.
Secondo gli exit poll condotti da Edison Media, ben il 51% dei votanti tra i 18 e i 29 anni ha votato per Sanders in NH, più di tutti gli altri candidati messi assieme. Tra i 30 e i 44, la cifra del suo supporto scende al 36%, seguito dal 22% di Buttigieg.
Questo piccolo Stato del Nord-Est, con circa un milione e trecentomila abitanti – di cui il 90% bianchi – assegna 24 delegati più 9 “superdelegati” (quelli nominati dal partito) sui quasi 4.000 che, alla Convention di luglio in Wisconsin, sceglieranno il candidato che sfiderà Trump. Per l’attuale presidente le primarie Repubblicane sono una pura formalità, non essendoci una figura anche solo minimamente in grado di scalfire il suo consenso granitico nel Partito.
I due Stati che saranno le prossime tappe delle primarie presidenziali sono il Nevada, il 22 febbraio, e il Sud Carolina, il 29 febbraio, prima del “Super Martedì” del 3 marzo.
Quel giorno si voterà in 15 Stati, tra cui California e Texas, che esprimono il numero maggiore di delegati.
L’altro miliardario
Proprio il 3 marzo scenderà in campo nelle primarie democratiche il miliardario Mike Bloomberg, che dopo la débâcle dell’Iowa ha raddoppiato la spesa televisiva negli spot elettorali.
La sua campagna pubblicitaria, per cui ha già speso 350 milioni di dollari, è la più costosa mai fatta da un candidato democratico; una sfida per cui il 3 volte sindaco di New York, ex-repubblicano, impegna ben 1 miliardo di dollari!
Sanders si fa un vanto di non avere ricevuto alcun finanziamento dalla lista di amministratori delegati delle prime 500 aziende quotate in borsa (S&P500), ma di aver raccolto con sottoscrizioni di poco inferiori ai 20$ in media più soldi di tutti gli altri sfidanti democratici (più di sette milioni di dollari da un milione e mezzo di donatori). Tranne appunto il 16° uomo più ricco al mondo, Mike Bloomberg, che si finanzia da solo.
L’establishment economico-finanziario vede come il fumo negli occhi l’ascesa del senatore del Vermont.
L’ex potentissimo ceo di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ha definito la nomination del vecchio senatore indipendente: «una rovina per l’economia americana».
Più chiari di così...
La candidata “economicamente” più sostenuta dagli amministratori delegati delle aziende S&P500 – che possono donare fino a 2.800 Dollari per le primarie e la stessa cifra per quelle generali – è Amy Klobuchar, insieme a Pete Buttigieg (da qui il soprannome “Wall Street Pete”), supportati da 7 ceo ciascuno, tra cui Reed Hastings di Netflix che sostiene Buttigieg, mentre Joe Biden è supportato da 5 amministratori delegati.
Il fenomeno Sanders non nasce dal nulla
L’outsider democratico aveva annunciato la sua candidatura un anno fa circa, il 19 febbraio 2019 sul canale televisivo CBS.
Dopo la sconfitta “onorevole” alle primarie del 2016, che avevano eletto Hillary Clinton con 16 milioni di voti contro 13 milioni del suo sfidante, la candidata sconfitta da Trump è di fatto “scomparsa” dai radar della politica. A differenza di Sanders, che ha costruito un movimento dando continuità allo sforzo profuso allora durante le primarie, in particolare da giovani e giovanissimi alla loro prima esperienza politica.
Ha “guidato” l’ascesa di una truppa tutta al femminile, deputate “radicali” sostenute dai Democratic Socialist of America – tra cui Alexandria Ocasio-Cortez – vera “macchina da guerra” dietro le quinte del fenomeno Sanders, con la loro radicata rete di attivisti di base impegnati nel territorio in differenti campagne politico-sociali.
Sembra un paradosso, ma il socialismo in questi anni è divenuto “popolare” negli Stati Uniti, e le varie proposte che ne compongono una articolata visione d’insieme sono divenute talmente conosciute e ficcanti da costringere, per esempio, tutti i candidati delle primarie democratiche ad avere una proposta particolare per ognuno dei punti enunciati da Sanders, il quale ha di fatto imposto la propria egemonia culturale su temi che vanno dalla sanità all’istruzione, dal “Green New Deal” al salario minimo...
Una visione d’insieme, uno “zoccolo duro” di attivisti che militano oltre le scadenze elettorali e a cui si sommano, per il voto, una nutrita schiera di volontari, più l’endorsement talvolta inedito di gruppi di base e organizzazioni sindacali che vedono in Sanders e nella sua visione d’insieme il proprio “delegato politico”, unita ad una efficace raccolta fondi, rendono concretizzabile, a più di dieci anni dall’inizio della crisi, una sfida che sembrava impossibile.
Le parole di una sostenitrice di Sanders danno la cifra della sua scelta: «Non voglio vivere in un Paese dove il futuro mi fa paura».
Pensiamo che la paura stia realmente cambiando di campo negli States. E questa è oggettivamente una buona notizia per il resto del mondo.
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