di Michele Giorgio
Centinaia di migliaia di
libanesi poveri e i tanti altri che vivono poco sopra la linea della
povertà rischiano di dover affrontare anni persino più duri di quelli finora trascorsi. Il Libano chiederà assistenza tecnica al Fondo
monetario internazionale (Fmi) per elaborare un piano di stabilizzazione
per la sua crisi finanziaria ed economica.
Ottenuta, due giorni fa, la fiducia, il nuovo governo guidato dal
premier sunnita Hassan Diab, si prepara a mettere il paese nelle mani
degli «esperti» dell’Fmi, ben noti per la politica dei tagli drastici
alla spesa pubblica pur di far quadrare i conti.
«Il Libano sta chiedendo consiglio al Fmi perché la ristrutturazione
del debito (83miliardi di dollari, ndr) deve essere condotta in modo
ordinato per evitare di danneggiare il sistema bancario del paese», ha
spiegato una fonte governativa all’agenzia Reuters.
All’orizzonte ci sono riforme, ossia manovre lacrime e
sangue, sollecitate anche dal Gruppo di sostegno internazionale (Isg) al
Libano, di cui fa parte l’Italia. La crisi economica e finanziaria che
rischia di strangolare il paese perciò la pagheranno i più deboli
mentre si impoverisce la classe media. Le famiglie più in difficoltà
vendono elettrodomestici essenziali, come forni e frigoriferi, pur di
incassare qualche dollaro.
Non ha ottenuto i risultati sperati la lotta a corruzione,
malgoverno, carovita e disoccupazione dilagante che dallo scorso ottobre
migliaia di cittadini portano avanti con manifestazioni e presidi
permanenti a Beirut e in altre città. Lo zoccolo duro della protesta comunque non intende fare passi all’indietro.
Due giorni fa, mentre il Parlamento si accingeva a votare la
fiducia al governo Diab, le forze di polizia hanno fatto uso di cannoni
ad acqua per disperdere la folla che, al grido di «nessuna fiducia»,
lanciava sassi contro gli agenti schierati a protezione di deputati e
ministri. I feriti negli scontri sono stati circa 300, tra i quali un
parlamentare.
«Riconquisteremo la fiducia dei libanesi e metteremo in atto riforme
serie con la massima onestà e trasparenza», ha assicurato Diab in
Parlamento, annunciando la riduzione dei tassi di interesse a sostegno
delle imprese e delle famiglie. Solo una parte dei libanesi è disposto a
concedergli tempo e fiducia.
Intanto dall’alto, nell’evidente tentativo di placare la piazza, si
batte di nuovo sul tema dei costi per il paese causati dalla presenza
di un milione e mezzo di profughi siriani, fuggiti dalla guerra nel loro
paese, che vivono ai margini delle città e in campi improvvisati. Un
punto che mette d’accordo un buon numero di libanesi, convinti
che i rifugiati – braccia a basso costo – stiano provocando
disoccupazione e il calo degli stipendi nel settore privato.
Il presidente Michel Aoun qualche giorno fa ha chiesto ancora una
volta il rimpatrio in tempi stretti del maggior numero di profughi
poiché, ha spiegato, gran parte delle regioni siriane sono state
«pacificate».
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