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27/02/2020

Una storia di mutui e precarietà: i dolori del giovane Boeri

A leggere le accorate parole sui giovani che non trovano chi sia disposto a dar loro credito per acquistare casa, si sarà commosso per primo il titolista di Repubblica, che ha pensato di riassumere il commento di Tito Boeri del 19 febbraio scorso col titolo strappalacrime “La verità, vi prego, sui mutui”. L’ex presidente dell’Inps si mostra seriamente e sinceramente preoccupato: le banche cattive non concedono mutui ai giovani precari perché non hanno capito che il mercato del lavoro è cambiato.

Proviamo a ricostruire. Il 17 febbraio Repubblica ospita una lettera di Boeri, che sulla stessa falsariga denunciava “Se la banca nega il futuro ai giovani”. Nell’articolo, il pluribocconiano Tito denunciava i comportamenti degli istituti di credito, rei, a suo avviso, di applicare regole troppo restrittive ai giovani con contratti di lavoro a tempo determinato che vanno a chiedere un mutuo. Per farlo, citava i dati di un sito specializzato, MutuiOnLine.it, ripresi anche da altre testate. La quota di mutui erogati ai minori di 36 anni si è ridotta quasi della metà dal 2006 a oggi: si è passati dal 44.8% del totale dei mutui al 22.6%. In altri termini, solo un mutuo su cinque va a finanziare i giovani tra i 18 e i 35 anni.

E perché, si chiede il Boeri nazionale? Ovvio, secondo lui: perché le banche hanno un modo antico di pensare. Ma il mondo del lavoro è cambiato e le banche non possono limitarsi a dare credito quasi esclusivamente a chi ha un dignitoso e noioso (ci fa capire il nostro) contratto a tempo indeterminato.

Ma le banche non ci stanno e, per bocca del Direttore Generale dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI), Giovanni Sabatini, rispondono per le rime. Il problema c’è, dice Sabatini, “ma non è creato dalle banche, è del Paese: che non cresce, non crea lavoro, non dà occupazione ai giovani”. E, a dimostrazione di ciò, aggiunge che prima di un problema di offerta (disponibilità delle banche a concedere mutui), c’è un problema di domanda: le banche non concedono mutui soprattutto perché i giovani non li chiedono. Si è passati, infatti, da una percentuale di domande provenienti dalla fascia di età in questione (35 anni o meno) pari al 49.2% del totale al 27.2% dei giorni d’oggi. In aggiunta, il numero di occupati in quel segmento della popolazione si è ridotto del 18% nello stesso periodo.

Siamo così al 19 febbraio, il giorno in cui si aprirono le cataratte delle lacrime di Boeri e in cui fu chiesta, finalmente, “la verità”. I dati sciorinati da Sabatini sono veri, dice, ma non spiegano, se non in parte, il crollo nella concessione di mutui: come si può pensare che i giovani non abbiano interesse a un mutuo con i tassi attuali? E già, perché se nel 2008 un mutuo ipotecario a 10 anni o più richiedeva interessi superiori al 5%, oggi siamo all’1%. Se si considera l’inflazione, gli interessi in termini percentuali sono nulli o addirittura negativi (immaginate di prendere 100 euro in prestito al tasso del 10% in un anno per comprare oggi una determinata quantità di beni. Tra un anno dovrete restituire 110 euro. Ma se, nel frattempo, il prezzo degli stessi beni sarà aumentato del 10 per cento, i 110 euro di domani avranno lo stesso potere d’acquisto dei 100 euro di oggi: in altri termini, il tasso di interesse reale è stato pari a zero). Come potrebbe un giovane razionale, con tutti i problemi di liquidità che oggi i giovani si trovano a patire, non essere tentato da acquistare una casa con un mutuo che, in termini di interessi, gli costa zero? Il problema, quindi, non può che derivare dalle banche.

Ma cosa sbagliano le banche? Ebbene “tra i beneficiari di mutui casa non si trovano mai giovani con contratto a tempo determinato o partita Iva. I beneficiari hanno tutti, o quasi, un contratto a tempo indeterminato”. Stupore e choc. Banche cattive. E anche stupide, aggiunge (senz’altro con il ghigno beffardo di chi la sa lunga) Boeri. “Un contratto a tempo determinato di un giovane laureato in una università prestigiosa (ovviamente prestigiosa, magari privata, ndr) dà più garanzie di un contratto a tempo indeterminato in una piccola impresa a rischio di chiusura. Un medico con partita Iva che sta entrando in specializzazione è più affidabile dal punto di vista del rientro del debito di una persona con contratto a tempo indeterminato in settori dove ci sono diffusi licenziamenti collettivi”. E poi (ecco l’arma segreta) non si può “non tenere conto del fatto che il 20% dei contratti a tempo determinato (una percentuale dunque diversa da zero) diventa a tempo indeterminato nell’arco di un anno”. Vi assicuriamo che la parentesi sul fatto che il 20% non è lo 0% non l’abbiamo aggiunta noi. E, dunque, la sfida: care banche, rendete nota la documentazione sui protocolli che adottate nella concessione dei prestiti ai giovani!

Non vorremmo deludere Boeri, ma se le banche non concedono mutui (e i giovani precari neanche li chiedono) è proprio perché il mondo del lavoro è cambiato, e le banche lo hanno capito prima e meglio di Boeri. Il quale questo mondo del lavoro fatto di tempo determinato, part-time, precarietà, freelance, vere e fittizie partite Iva, ha contribuito, nel suo piccolo, a crearlo. E ora cerca di coprire le tracce dei misfatti suoi e della sua compagnia di giro, provando a distogliere l’attenzione da una realtà quotidiana piagata da precarietà e disoccupazione.

Sia chiaro: le banche non sono note per le loro operazioni di carità. Prestano più facilmente ad amici e ad amici degli amici, soprattutto se hanno investito nelle aziende di questi amici e ne detengono azioni e/o obbligazioni, imbrogliano i risparmiatori sulla rischiosità degli investimenti e tengono nascoste magagne e bolle speculative fino a quando possono, investono in operazioni a rischio consapevoli che i profitti, se ci saranno, saranno privati e i costi di salvataggio eventuali saranno pubblici. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Ma, per un attimo, facciamo finta che tutti i bancari e i banchieri siano seri professionisti, che non sgarrino neanche per un attimo rispetto alla legge e non abbiano incentivi a mettere in atto comportamenti scorretti. Facciamo finta che le banche siano quegli asettici operatori razionali che si trovano tra le pagine dei libri di finanza. In questo caso, la banca farebbe comunque quello che deve fare: la banca. Concedendo prestiti e mutui se pensa di poterci guadagnare. E, se deve prestare soldi, informandosi prima sulle probabilità che i soldi vengano restituiti o, comunque, facendosi dare delle garanzie (sa, non è per sfiducia verso di lei, l’ipoteca sulla casa dei suoi genitori è solo una mutua rassicurazione).

Il mondo del lavoro, dunque, è cambiato. A un giovane che si avvia al mondo del lavoro vengono offerte principalmente posizioni precarie. Stage, assunzioni in prova, collaborazioni, lavoro formalmente ‘autonomo’. E, anche quando vengono assunti a tempo indeterminato, grazie al Jobs Act possono essere mandati via in qualunque momento, a condizioni molto vantaggiose per l’impresa. Insomma, per un giovane la precarietà è la norma. E i salari? Non è una notizia, neanche sul pianeta Boeri, che, soprattutto per i giovani, sono spesso da fame e al limite della sussistenza. Al di là delle vostre buone intenzioni, forse neanche voi prestereste 100 euro a un amico freelance in difficoltà. Figuratevi le banche, che sicuramente non hanno buone intenzioni. E l’amico freelance stesso, verosimilmente, di fronte a prospettive di reddito e di lavoro disgraziate ci penserà dieci volte prima di prendere su di sé il carico di un debito da ripagare nel corso di decenni, attingendo a remunerazioni miserabili.

Quando Sabatini dice che l’economia italiana non cresce, non crea lavoro, non dà occupazione ai giovani, dice il vero. Certo, lo dice per ragioni diametralmente opposte rispetto a noi, ma ha il merito di riportare la discussione sulla Terra. Le riforme strutturali del mercato del lavoro chieste a gran voce dalle istituzioni economico-finanziarie internazionali e dagli economisti bocconiani nostrani hanno creato e creeranno generazioni di precari, che fanno fatica a mettere il piatto in tavola, a fare progetti per il futuro, a permettersi beni durevoli e non. Allo stesso tempo, le regole europee, il trattato di Maastricht e le sue successive incarnazioni, la troika, i Monti, le Fornero, i Cottarelli e i Boeri di ogni età, razza e religione hanno implementato e/o giustificato ideologicamente i tagli alla spesa pubblica, la riduzione del deficit e del debito, gli aumenti dell’età pensionabile e la riduzione degli assegni di pensione, impedendo, di fatto, la riduzione della disoccupazione attraverso assunzioni dirette, investimenti pubblici e pensionamenti anticipati. Boeri non lo capisce o fa finta di non averlo capito e, con un capolavoro di ipocrisia, finge di cascare dal pero quando i dati ci dicono che i giovani non provano neanche a immaginare e costruire un futuro con un minimo di stabilità e considerano quindi mutuo e casa come una chimera da rimandare al futuro lontano. Paradossalmente sono le banche, motivate esclusivamente dalla sete di profitto, a fare luce su quello che a Boeri appare come un insondabile arcano: chi non ha prospettive di lavoro e percepisce salari da fame non pianifica l’acquisto di una casa. E, anche se lo facesse, non vedrebbe un soldo perché si presta solo a chi dà prospettive solide di ripagamento del debito. Giovani e lavoratori tutto questo non solo lo capiscono ma lo vivono sulla loro pelle tutti i giorni e sanno che la soluzione non verrà né da Boeri né dalle banche.

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